“ABBIAMO UNA BANCA?” - FASSINO IN AULA COME PARTE LESA NEL PROCESSO CONTRO SILVIO E PAOLO BERLUSCONI, CHE RICEVETTE AD ARCORE IL NASTRO DELLA TELEFONATA CON CONSORTE E LA FECE PUBBLICARE SUL “GIORNALE” - PER L’EX SEGRETARIO FU UN TRAPPOLONE AI DANNI DEI DS A TRE MESI DALLE ELEZIONI - L’AVVOCATO DEL BANANA: “FASSINO VUOLE SOLO SOLDI”…

Paolo Colonnello per "la Stampa"

«Il Giornale è stato protagonista di una campagna di aggressione tesa a delegittimare me è il mio partito». Il sindaco di Torino ed ex segretario dei Ds, Piero Fassino, ricorda molto bene i primi giorni del 2005 quando su una frase, nemmeno completa e trafugata dai computer in uso alla Procura di Milano, venne crocifisso dal quotidiano della famiglia Berlusconi: «Allora, abbiamo una banca?». Dall'altra parte del telefono c'era Giovanni Consorte, ex presidente di Unipol impegnato nella scalata di Bnl.

registrazione del dialogo, come si sa, arrivò al quotidiano di via Negri, dopo essere passata da Arcore la vigilia di Natale 2004, portata come una strepitosa strenna all'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dall'ex amministratore delegato di Rcs, la società incaricata dalla Procura per le intercettazioni nell'inchiesta sui «furbetti del quartierino». Così ieri, nel processo che vede imputato proprio il Cavaliere e suo fratello Paolo nel concorso in rivelazione di segreti d'ufficio, Fassino è stato ascoltato come testimone e parte lesa.

«Quando lessi sul giornale la pubblicazione di quella telefonata, ebbi una reazione di grande stupore. Si trattava di una telefonata dai contenuti puramente informativi, senza alcun rilievo giudiziario. Una telefonata che un dirigente politico fa normalmente nei suoi rapporti con il mondo economico e finanziario».

Quanto quell'intercettazione servì per montare una campagna contro il segretario Ds a tre mesi dalle elezioni, secondo Fassino si rileva dai tempi della pubblicazione: «All'inizio fu soltanto il Giornale a scriverne tutti i giorni, in una seconda fase se ne occuparono anche gli altri. Così ci ritrovammo al centro di una vera e propria aggressione. Si voleva accreditare che ci fossero interessi materiali di partito o, addirittura, miei personali».

Perché allora non querelò subito, chiede l'avvocato Pietro Longo, uno dei difensori di Berlusconi. «Non ho presentato querela per il semplice motivo che ci vogliono presupposti notevoli rispetto alle diffamazioni, ma non ritengo che un leader politico debba rivolgersi alla magistratura se non per vicende di rilevante gravità. E in questo caso è stata ordita una trappola di estrema gravità, se verranno provate le accuse».

Per questo, spiega Fassino, «mi sono costituito parte civile, affinché la giustizia riconosca che io sono stato oggetto di un'aggressione che mi ha danneggiato». In quanto denaro quantifica questo danno, «lei vuole solo del denaro», insiste l'avvocato Longo. Ma Fassino non raccoglie la provocazione e fuori dall'aula spiega: «Longo può stare tranquillo, la richiesta di denaro arriverà attraverso i miei avvocati. Il tema vero adesso è accertare che quello che è stato fin qui denunciato sia vero e, se è vero, risulta evidente che ciò che è accaduto è stata una trama ordita per aggredire la mia persona al fine di delegittimarmi alla vigilia di elezioni delicate».

Durante l'udienza sono stati ascoltati come testimoni anche Valentino Valentini, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Maurizio Romiti. Il processo riprenderà il 4 ottobre prossimo.

 

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