UN SUR-REALITY EGORIFERITO - LA BOLDRINOVA E I GRILLINI SI SCANNANO INUTILMENTE ALLA CAMERA PER DUE ORE

Mattia Feltri per "la Stampa"

Al millesimo intervento dai contorni vagamente dozzinali, anche gli dèi si sono ribellati rovesciando sulla Camera scrosci di pioggia. I tuoni hanno cominciato a ululare alle parole di Arcangelo Sannicandro, vendoliano appassionato, che stava ripetendo - ventesimo nel pomeriggio - come l'adempimento fosse previsto dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari.

Così una seduta dalla durata prevista di due minuti e quaranta secondi si è protratta fin quasi alle due ore: un'ora e cinquanta delle quali per imbastire un dibattito allucinogeno sul tema «è giusto che siamo qua o è sbagliato?». Secondo un'interpretazione suggerita dalla stessa presidente Laura Boldrini («La Camera non chiude per ferie: commissioni ed aula possono essere convocate in qualsiasi momento», aveva detto il 9 agosto agli auguri di buone vacanze), si era diffusa la notizia che ieri Montecitorio avrebbe affrontato una giornata di lavoro straordinario; e per cui gli assenti correvano il rischio di meritare i titoli di irresponsabili e scansafatiche.

Non era proprio così: la presidente (o il vice di turno, nel caso Roberto Giachetti, sostituito in modo insolito e sostanzialmente inutile da un'irrefrenabile Boldrini) avrebbe dovuto comunicare all'aula che il decreto contro il femminicidio sarebbe stato incardinato nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia. Punto. Fine.

Una norma studiata settanta anni fa quando non esistevano telefonini e mail, ma ancora sacra. Invece, col timore di passare per membri di casta, un centinaio di deputati sono accorsi a Roma attratti da una semplice formalità e per una spesa che in uno spettacolare ribaltamento di prospettiva - il grillino Walter Rizzetto ha quantificato, fra trasporti e servizi, «in 150-200 mila euro».

È che la presidente, sbrigata la faccenda, ha voluto rispondere alla polemiche dei giorni precedenti e spiegare che la convocazione dell'aula era un obbligo anzitutto costituzionale, ignorando forse che i cinque stelle, ma anche i leghisti, contestassero invece il carico emotivo di cui era stato rivestito un fugace passaggio burocratico, e per il quale sarebbero bastati e avanzati un parlamentare per gruppo, a volersi accordare.

E infatti il leghista Nicola Molteni ha accusato la Boldrini di «eccesso di protagonismo» ed «eccesso di ego». Al che lei, per dimostrare la sua sobrietà, ha risposto leggendo testualmente il messaggio di ripresa dei lavori da lei postato su Facebook. Lì s'è capito definitivamente che non si trattava un disputa protocollare di alto profilo.

È andata avanti così per quelle due ore scarse. A parte le onorevoli deputate (la socialista Pia Locatelli, la vendoliana Titti Di Salvo, pure Paola Binetti), che irritualmente coglievano l'occasione per dettagliare sull'importanza del decreto e sullo stato delle donne in Italia, spalleggiate da qualche collega maschio di buona volontà, gli altri chiedevano parola soprattutto per sbeffeggiare la presidente oppure per sbeffeggiare gli sbeffeggiatori. Laura Boldrini, altera e irosa, si prendeva la briga di chiosare ogni intervento, cioè ringraziare o correggere o rimproverare.

«Ma lei ha capito che è un obbligo essere qui? Che cosa parla di sprechi?», ha detto a Rizzetto. «Quindi non va bene il tempo, dovevamo essere più brevi. Interessante questa lettura, c'è chi dice che invece avremmo dovuto dare più spazio», ha detto a Carlo Sibilia (M5S) per il quale le giornata se ne stava andando in ghirigori scenografici. «Si sa che non sa esprimersi se non insultando», ha detto al leghista Gianluca Buonanno, che l'aveva paragonata a donna Prassede dei Promessi Sposi e le aveva chiesto se stesse partendo per il mare o la montagna.

«Mi spiace che il livello sia questo, non è un segno di maturità», ha detto al sarcastico cinque stelle Massimo Artini, che l'aveva esortata a pubblicare «sulla pagina ufficiale della presidenza della Camera, cioè la sua pagina Facebook» le foto che l'indomani l'avrebbero ritratta alla scrivania.

Insomma, si è indugiato su toni un pochino ginnasiali, ai quali ha collaborato fattivamente il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, che nel lasciare il palazzo aveva rilevato garrulo che i suoi erano più numerosi di quelli di Beppe Grillo. I quali, invece, suggerivano inascoltati che, se davvero c'era tutta quest'ansia di rimettersi sotto, bastava che la Boldrini esortasse le commissioni a studiare la pratica subito, e non da settembre.

Ecco, niente altro. Una bella escursione ferragostana nel nulla. Perché in una giornata del genere sarebbe stato più utile, chissà, domandarsi se non sia il caso di modificare la Costituzione su quel punto marginale, o i regolamenti parlamentari su una questione di procedura, e fare in modo che, complice la tecnologia, nel terzo millennio siano le comunicazioni a raggiungere i parlamentari, e non viceversa.

 

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