1. NONOSTANTE LO STATUS DI RIFUGIATO POLITICO TUTTO ERA PRONTO PER ARRESTARE IL DISSIDENTE ABLYAZOV “A FINI ESTRADIZIONALI” E CONSEGNARLO AL KAZAKHISTAN 2. “OGGI” PUBBLICA IL DOCUMENTO ALL’ORIGINE DELLO SCANDALO KAZAKO. DUE PAGINE SCRITTE ALLE 4,30 DEL MATTINO DEL 29 MAGGIO, DOPO IL BLITZ NELLA VILLA DI CASAL PALOCCO 3. L’IDENTIFICAZIONE DELLA MOGLIE DI ABLIAZOV COL PASSAPORTO CENTRAFRICANO, COL COGNOME AYAN, DIVERSO DA QUELLO DEGLI ALTRI DOCUMENTI (SHALABAYEVA), PER SOSTENERE LA FALSITÀ DEL DOCUMENTO E FORNIRE UNA RAGIONE PER FERMARE LA DONNA 4. SU DENUNCIA DALLA FAMIGLIA ABLYAZOV LA PROCURA DI VIENNA HA APERTO UN’INCHIESTA PER SEQUESTRO DI PERSONA, IN QUANTO L’AREO UTILIZZATO PER IL RIMPATRIO APPARTENEVA ALLA COMPAGNIA AVCON, BATTENTE BANDIERA AUSTRIACA 5. INTERVISTATA MADINA, LA FIGLIA DI ABLYAZOV: “NON SONO TRANQUILLA IN NESSUN POSTO”

1. SUL SETTIMANALE «OGGI», IL DOCUMENTO ALLA BASE DELLO SCANDALO
Nonostante lo status di rifugiato politico tutto era pronto per arrestare il dissidente Muklhtar Ablyazov «a fini estradizionali» e consegnarlo quindi alle autorità del Kazakhistan. Lo rivela il settimanale Oggi che nel numero domani in edicola (anche su www.oggi.it) pubblica integralmente il documento all'origine dello scandalo Kazako. Sono due pagine scritte alle 4,30 del mattino del 29 maggio, negli uffici della Squadra Mobile di Roma, subito dopo il blitz nella villa di Casal Palocco e il fermo di Alma Shalabayeva e del cognato Bolat Seraliyeu.

Controfirmato in modo illeggibile da almeno una decina di persone, probabilmente agenti e dirigenti della Questura romana, il verbale fornisce in forma embrionale tutte le coordinate dello scandalo che un mese e mezzo più tardi farà tremare Governo e apparati della Repubblica, permette di ricostruire il blitz scattato cinque minuti dopo la mezzanotte con tutto quello che è successo nelle ore immediatamente successive.

Nel documento viene ovviamente coperto l'intervento dell'ambasciata kazaka e per spiegare l'origine e l'obiettivo del blitz fa riferimento a una «nota del 28 maggio 2013 con la quale il servizio Sirene (il sistema per la condivisione di informazioni in area Schengen cdr) ha informato la Questura di Roma che il sopracitato Ablyazov risulta domiciliato in via Casal Palocco 3 con l'invito di procedere all'arresto ai fini estradizionali...».

Fallita la cattura del dissidente, gli uomini della Digos registrano le generalità dei sette occupanti della villa ed è curioso che avendo recuperato documentazione di ogni genere, decidano di identificare la moglie di Abliazov col passaporto Centrafricano, in cui la donna col cognome Ayan, diverso da quello degli altri documenti (Shalabayeva) scelto per ragioni di sicurezza, per essere più difficilmente rintracciabile dai nemici del marito. Una scelta che secondo una fonte vicina alla famiglia, si prestava a sostenere la falsità del documento e forniva quindi una ragione per fermare la donna.

2. LA MAGISTRATURA AUSTRIACA INDAGA PER SEQUESTRO DI PERSONA
Nel numero domani in edicola il settimanale Oggi rivela che sull'espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, si è mossa anche la magistratura austriaca. Su denuncia dalla famiglia Ablyazov la procura di Vienna ha aperto un'inchiesta per sequestro di persona, in quanto l'areo utilizzato per il rimpatrio apparteneva alla compagnia Avcon, battente bandiera austriaca. Tecnicamente il presunto reato si sarebbe quindi realizzato in territorio austriaco e il pubblico ministero, se l'inchiesta andrà avanti potrà decidere di estendere le indagini anche ai protagonisti dello scandalo in Italia.

3. LA FIGLIA (BONA) DI ABLYAZOV HA PAURA: "NON SONO TRANQUILLA IN NESSUN POSTO"
Enrica Brocardo per Vanity Fair

Siamo in una saletta di un hotel nel centro di Ginevra. Tra un paio di ore il premier Enrico Letta risponderà di fronte alla Camera per il «question time». «A quanto pare dirà che la deportazione di mia madre è legale».

Usa questo termine Madina, «deportazione», lo stesso utilizzato da suo padre, il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, nelle sue accuse contro l'Italia. Dice che la posizione di Letta l'ha appresa dai suoi avvocati, i quali a loro volta l'avrebbero saputa da alcuni senatori.
Per fortuna, però, si sbaglia. Il premier, dopo aver parlato lo scorso 10 luglio di «crescenti interrogativi», si è mosso rapidamente per portare l'Italia fuori da una situazione imbarazzante.

I fatti. Sua madre, Alma Shalabayeva, e sua sorella Alua, di 6 anni, lo scorso 31 maggio sono state espulse dall'Italia e rimandate in Kazakistan. Per loro il posto meno sicuro sulla Terra, visto che Ablyazov è considerato il nemico numero uno del presidente Nazarbayev, e che il Kazakistan è noto per avere qualche «lacuna» nel rispetto dei diritti umani. Poi, lo scorso 12 luglio, la revoca dell'espulsione. Un atto che però potrebbe arrivare tardi in questa storia. Una vicenda molto brutta e complicata.

Difficile non provare tenerezza di fronte a questa donna di 25 anni, treccia e fisico da adolescente, nonostante sia già moglie e madre e nonostante, dice lei, «dopo mio padre, sono io quella con più carattere». Una determinazione di cui ha bisogno: in questo momento è la sola a poter parlare in difesa della sua famiglia.

Madina vive in Svizzera da sei anni, da quando si è sposata con il figlio dell'ex ministro dell'Energia kazako, l'uomo al quale suo padre subentrò quando i suoi rapporti con Nazarbayev erano ancora buoni. «Si era trasferito qui 15 anni fa, io l'ho raggiunto da Londra», spiega. Suo marito è un imprenditore del settore immobiliare. Lei, per ora, fa la mamma di una bambina di 4 anni, e di un maschio di un anno e mezzo.

Che cosa sa delle condizioni di sua madre e sua sorella?
«So che sono a casa dei miei nonni, i genitori di mia madre, gli unici parenti stretti rimasti in Kazakistan. Dopo che l'aereo è atterrato ad Astana, le hanno comunicato i capi di imputazione e le hanno detto: "Si trovi un posto dove stare". "Non ho nessuno qui", ha risposto lei, e così le hanno trasferite ad Almaty (rispettivamente la capitale e l'ex capitale del Paese, ndr). Sono tenute sotto controllo 24 ore su 24. Ci sono telecamere di sorveglianza, e alla Tv nazionale hanno mostrato dei video di lei dentro e fuori casa mentre aiutava mio nonno a camminare o puliva il giardino».

Vi parlate al telefono?
«Sì. La chiamo. Ma devono aver "sovraccaricato" la linea, perché spesso il telefono risulta occupato oppure staccato. Mando messaggi: "Che cosa succede?". Ovviamente ascoltano le nostre conversazioni. Non è difficile accorgersene: i servizi segreti kazaki non sono come la Cia, quando ti intercettano puoi sentirli dall'altra parte che masticano chewinggum o che parlano fra di loro».

Per ora stanno bene?
«Mia madre è sotto stress ma sta bene. Mia sorella, per fortuna, è piccola. Non abbastanza da aver già dimenticato tutto. Ha sei anni e ricorda ancora gli uomini che fanno irruzione, i pianti e le urla, ma confido che presto questi ricordi svaniscano. Le mancano i suoi cugini. Non aveva mai vissuto da sola con mia madre».

E lei, come ha passato questo mese e mezzo?
«È stato orribile. Un mix di sentimenti: confusione, rabbia, tristezza. Ho pianto tanto, ma adesso sento di voler lottare».

Sua madre si sentiva al sicuro a Roma?
«Sì. È la più ingenua di tutta la famiglia. Crede ancora nella giustizia, nella libertà e nella democrazia. E, comunque, che motivo c'era di prendersela con lei? Persino noi, inizialmente, abbiamo pensato che si trattasse di un errore».

Eppure molti anni fa, in Kazakistan, avevano già tentato di rapire suo figlio.
«Come le ho detto: mia madre è un'ingenua, tende a dimenticare facilmente, e non c'è modo di cambiarla. Deve capire che è sempre stata a casa, sostiene suo marito ma non si è mai occupata di politica, è una casalinga. Crescere quattro figli: questa è stata tutta la sua vita».

Lei si ricorda del tentato rapimento?
«Avevo dieci, undici anni all'epoca, e mio padre era ministro dell'Energia. Mia madre non voleva che andassimo alla scuola privata, ma siccome l'istruzione pubblica in Kazakistan funziona malissimo, decisero di iscrivermi nell'istituto fondato dalla figlia del presidente. Lo frequentavano anche i suoi nipoti, ed era quindi più sicuro, c'erano delle guardie. Mio fratello, invece, rimase in un istituto pubblico. Non riuscirono a portarlo via grazie alla reazione di uno degli insegnanti».

Adesso dov'è? È in pericolo anche lui?
«È a Londra. È stato pedinato e, come tutti noi, non può considerarsi al sicuro. Ma sa come sono i ragazzi: ha 21 anni, però è come se ne avesse 16. Io sono più preoccupata».

Il più piccolo dei suoi fratelli, invece, vive con lei a Ginevra.
«Sì, ha 12 anni: è come un terzo figlio».

Lui sa cosa è successo? Come spiegare un fatto del genere a un bambino?
«Ci ho provato. Non credo che capisca fino in fondo, e anche emotivamente non prova ciò che posso provare io. Inoltre viveva già con me, è abituato ad avere la madre lontana».

In passato lei si è mai sentita a rischio? A quanto ha raccontato, la tengono sotto controllo da tempo.
«Circa due anni fa, durante il processo per la BTA Bank (di cui suo padre è stato uno dei maggiori azionisti prima che, nel 2009, venisse accusato di aver illegalmente sottratto dalle casse 4 miliardi di euro, ndr) gli avvocati della banca mostrarono a mio padre foto della nostra famiglia: sapevano dove eravamo, che cosa stavamo facendo. Da allora, abbiamo cominciato a guardarci intorno. L'anno scorso, qui a Ginevra, hanno scattato fotografie a me e ai miei figli, e ci hanno seguito. Nella mia macchina ho trovato un'apparecchiatura che segnalava la nostra posizione».

L'ha trovata lei?
«Sì. Era nel portabagagli. Me ne sono accorta perché non si apriva bene. Ho tirato su tutto quello che c'era e l'ho visto».

Teme per i suoi figli?
«Certo. Dopo quello che è successo, non posso più sentirmi tranquilla in nessun posto. Prima pensavo che certe cose succedessero solo nei film».

Mi perdoni se insisto ma, considerata la vita di suo padre, la sua non è mai stata una famiglia «normale».
«La prima volta che ho lasciato il Kazakistan avevo 14 anni, mio fratello maggiore 10 e il piccolo un anno. Ce ne andammo dopo che mio padre fu incarcerato, nel 2002, proprio perché ci sentivamo in pericolo. Fu lui a dirci di abbandonare il Paese. Così ci trasferimmo in Gran Bretagna. Eravamo consapevoli dei rischi che avremmo corso in Kazakistan, ma in Europa ci ritenevamo al sicuro. Pensavamo che l'Inghilterra fosse una nazione democratica dove i diritti umani vengono rispettati. Siamo stati ingenui».

Ci sono persone che si occupano della sicurezza sua e della famiglia?
«Abbiamo alcune guardie del corpo. Ma la verità è che se il governo kazako ti vuole prendere, lo fa, guardie del corpo o no. Quello che è accaduto in Italia lo dimostra. Hanno abbastanza denaro da comprare tutto ciò che vogliono».

In che modo pensa di difendersi?
«Mia madre in un certo senso si stava nascondendo, nessuno sapeva dove si trovasse. Lo avevamo deciso per lei, perché fosse tranquilla, e soprattutto per mia sorella: volevamo che avesse una vita normale, come gli altri bambini. Ma questo ha permesso di portarla via senza far rumore. A questo punto il modo migliore per difendersi è venire allo scoperto. Che io sono qui lo sanno tutti».

Suo padre, invece, non si sa dove sia. Riuscite a comunicare?
«Nemmeno io so dove si trovi. Chiama di rado, per la mia e la sua sicurezza».

Cosa gli accadrebbe se lo trovassero?
«Lo ucciderebbero. Ci vorrebbe qualche giorno, magari un mese, ma alla fine lo ammazzerebbero. Lo accusano di tutto, compreso di essere un terrorista. Ma quello che è successo mostra chi sono i veri terroristi. Una delle figlie del presidente, Dinara, vive qui a Ginevra, con le due figlie. Avremmo potuto fare lo stesso con la sua famiglia, rapire lei e le nipoti. Ma siamo meglio di così».

Non si arrabbi, è una domanda che devo farle. Prima di diventare un oppositore, suo padre è stato parte dello stesso governo che lei accusa oggi di corruzione. E in Gran Bretagna ha parecchi guai con la giustizia. È certa che sia del tutto «pulito»?
«Mio padre è un uomo di saldi principi. Le accuse nei suoi confronti hanno motivazioni politiche. È cominciato tutto nel 2000, quando entrò in conflitto con il genero del presidente. Era stato chiamato al governo in quanto uomo d'affari, ma poi iniziarono i ricatti: "Non puoi avere un tuo business e una carica politica". Avrebbero voluto che cedesse quello che aveva costruito negli anni per poco o niente. Già dal primo giorno si era reso conto che le cose non andavano affatto bene, era isolato e infelice».

Ha mai pensato di seguire le orme di suo padre e darsi alla carriera politica?
«Non ci penso proprio. Voglio tenermene il più alla larga possibile. Gli ho già detto che, se un giorno dovesse tornare a fare politica in Kazakistan, io mi trasferirei dall'altra parte del pianeta. Magari sceglierei la California».

Ha preso in considerazione l'idea di venire in Italia per seguire più da vicino l'evolversi della situazione?
«I miei avvocati mi hanno sconsigliato di farlo, perché potrebbe essere rischioso. E inoltre, che cosa potrei fare di più? Alzare la voce? Intanto loro hanno mia madre e mia sorella. E lui (intende il presidente, lo chiama spesso soltanto "lui", ndr) può fare quello che gli pare».

Che cosa spera?
«Che tornino presto. Purtroppo non è così semplice. È un grosso caso, perché tanti sono i soldi che il governo kazako può pagare. Mi sento come se tutto il mondo fosse contro di noi. Non è facile lottare, ma non ho altra scelta».

Che cosa prova pensando che i suoi figli cresceranno in un mondo dove, come dice lei, contano solo denaro e potere?
«Spero che non sarà più così quando saranno grandi. Mi auguro che possano avere una una vita normale ovunque lo desiderino. E una vita normale è proprio quello che sto cercando di dar loro: da casa al parco, da casa a scuola. Sono giovani, mentre "lui" ha 73 anni. Il tempo gioca a loro favore».

 

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