DOPO GLI SCAZZI SULLA MANOVRA, NELLA MAGGIORANZA VOLERANNO GLI STRACCI SULLA LEGGE ELETTORALE – MARCO DAMILANO: “PER LA PREMIER NON È FACILE FAR ACCETTARE AGLI ALLEATI UNA LEGGE CHE IN CASO DI VITTORIA LE CONSEGNEREBBE TUTTI I POTERI (VOTO PROPORZIONALE, INDICAZIONE DEL CANDIDATO PREMIER, PREMIO PER LA COALIZIONE VINCENTE). LA LEGA CHE HA MESSO IN MINORANZA GIORGETTI E CHE NON SI IDENTIFICA COMPLETAMENTE CON IL GOVERNO NON HA ALCUN INTERESSE A VOTARE UNA LEGGE ELETTORALE CHE ELIMINEREBBE I COLLEGI, QUINDI LA SPARTIZIONE DEI TERRITORI CHE SOPRATTUTTO AL NORD FAVORISCE I CANDIDATI DI SALVINI…”
Estratto dell’articolo di Marco Damilano per “Domani”
MATTEO SALVINI - GIORGIA MELONI - ANTONIO TAJANI
Quando all’alba di sabato Giorgia Meloni ha riacceso il telefono a Bruxelles, consegnato per motivi di sicurezza, ha scoperto che nel frattempo a Roma era nata una maggioranza guidata dal leghista Claudio Borghi. Una sorpresa amara.
Negli stessi minuti in cui, con il favore delle tenebre, nel Consiglio europeo la premier riusciva a bloccare la Germania sull’uso degli asset russi agitando lo spauracchio della bocciatura nei parlamenti nazionali, il via libera della Lega non sarebbe stato affatto scontato, nella commissione Bilancio del Senato lo spauracchio prendeva forma e andava in scena la notte dello psicodramma.
Tra maxi-emendamenti, strappi, minacce di crisi, riscritture, ieri la quasi rissa tra il presidente della commissione di Fratelli d'Italia e il senatore Lotito, un revival di antiche stagioni. Meloni ha fatto lo stesso errore compiuto dal suo predecessore a Palazzo Chigi Mario Draghi, quattro anni fa, di questi tempi: pensare che Giancarlo Giorgetti rappresenti la Lega.
Al passaggio tra il 2021 e il 2022 il fraintendimento portò Draghi a ritenere che il partito di Salvini avrebbe appoggiato la sua candidatura al Quirinale, come gli aveva garantito Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico. In questo caso è successo l’incredibile, il maxi-emendamento che riscriveva la legge di Bilancio, presentato dal ministro dell'Economia della Lega e bocciato dal relatore della legge dello stesso partito. Chiedersi da che parte sta il leader, il Capitano, Salvini. E se resterà un caso isolato.
È illusorio pensare che lo stop and go sulle pensioni provochi uno scossone nei consensi della maggioranza e nella fiducia del governo Meloni. Ma è il segnale che illumina sulla fine della legislatura. La stabilità è il valore sbandierato in ogni dove dalla premier Meloni.
[…]
La stabilità serve a poco, senza affidabilità. È questo il bene che il balletto sulla legge di bilancio ha messo in discussione, prima di tutto agli occhi di quei cittadini che con il riscatto della laurea hanno firmato un patto con lo stato.
giorgia meloni e giancarlo giorgetti foto lapresse 1
Tra dieci giorni si entra nel 2026, con la possibilità di dire e di scrivere: l’anno prossimo si vota per le elezioni politiche. In mezzo c’è il referendum costituzionale sulla magistratura. E c’è l’ipotesi di una nuova legge elettorale.
Che stando ai retroscena sembra cosa fatta, su modello della legge che regola le elezioni regionali, il Tatarellum, celebrato al Senato in un convegno, con le parole chiave della stabilità, governabilità, rappresentatività. Voto proporzionale, indicazione del candidato premier, premio per la coalizione vincente.
Doveva essere una passeggiata, da mesi nel campo delle opposizioni si discute e ci si divide sulle contromisure. E invece non sarà facile arrivare al traguardo. Per Meloni non è facile far accettare agli alleati una legge che in caso di vittoria le consegnerebbe tutti i poteri. Soprattutto ora che i due partiti partner di governo si stanno profondamente dividendo al loro interno.
Nella Lega la guardia scelta di Salvini, che non è la corrente del generale Vannacci, ha messo in minoranza Giorgetti e ha lanciato in prospettiva anche un avviso a Luca Zaia. La Lega che dice no e che non si identifica completamente con il governo non ha alcune interesse a votare una legge elettorale che eliminerebbe i collegi, quindi la spartizione dei territori che soprattutto al nord favorisce i candidati di Salvini.
In Forza Italia l’irruzione in scena della corrente del presidente calabrese Roberto Occhiuto, con la richiesta della cosiddetta scossa liberale per il centrodestra, costringe Antonio Tajani a muoversi per segnalare l’esistenza di Forza Italia, finora cresciuta nei sondaggi e nei consensi grazie a una strategia dell’invisibilità.
matteo salvini giorgia meloni antonio tajani foto lapresse.
[...] intanto il vicepremier e il ministro degli Esteri ha sentito il dovere di intervenire sulla legge elettorale: «Dubito che si possa mettere il nome del candidato premier sulla scheda, sarebbe incostituzionale».
Ma la questione è come far contare i partiti all’ombra della statista Meloni. Per la premier quanto successo al Senato da un lato accelera la necessità di una nuova legge elettorale, dall’altra la complica. Lo strano caso della maggioranza Borghi potrebbe ripetersi.



