I MIGRANTI DELLA FECONDITÀ - VIAGGIO NELLA “DEXEUS”, LA CLINICA SPAGNOLA A CUI OGNI ANNO SI RIVOLGONO CENTINAIA DI DONNE ITALIANE DISPERATE CHE NON RIESCONO AD AVERE FIGLI - IN SPAGNA A DIFFERENZA CHE IN ITALIA, È POSSIBILE CONCEPIRE UN FIGLIO CON GLI OVULI DI UNA DONATRICE O CON LO SPERMA DI UN DONATORE - TRA POCHI GIORNI LA CORTE COSTITUZIONALE DOVRÀ PRONUNCIARSI PER STABILIRE SE IL DIVIETO CHE VIGE NEL PAESE DEL VATICANO È LEGITTIMO…

Maria Novella De Luca per "la Repubblica"

«Grazie, gracias, mille grazie». Sorrisi di neonati, di madri e di padri, fiocchi rosa, fiocchi azzurri. Le immagini formano un unico grande arazzo: Valentina, Matteo, Domenico, Alice, centinaia di foto e centinaia di nomi italiani. Il primo compleanno, il primo triciclo. La vita che inizia, l´avvenire che si schiude. Scherzano le addette del Dipartimento Internazionale: «Ogni anno riceviamo decine di inviti a battesimi e feste di bambini italiani concepiti qui. E molti genitori continuano ad inviarci le foto dei loro figli che crescono». Centro "Dexeus" di Barcellona, istituto di medicina della riproduzione tra i più famosi d´Europa, Gran Via Carlos III, nemmeno mezz´ora dall´aeroporto di El Prat.

Le pareti di vetro e cristallo catturano la luce dietro l´antica facciata neoclassica, insieme ai riflessi dell´acqua che scorre in due lunghe vasche-fontane. È in questo avveniristico ospedale privato diretto da Pedro Barri Raguè, famoso ginecologo e uno dei padri della fecondazione assistita in Spagna, che migliaia di coppie italiane in fuga dalla legge 40 e con la speranza nel cuore, sono approdate dal 2004 a oggi in cerca di un figlio. Oltre 500 soltanto nel 2011, l´80% di tutte le pazienti straniere del Dexeus, e di queste più della metà per accedere alla fecondazione eterologa.

Ossia al concepimento in vitro di un bambino con l´ovocita o lo sperma di una donatrice o di un donatore. Pratica severamente vietata in Italia, ma sulla quale tra pochi giorni la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi, e decidere se quel divieto è legittimo o no. Sentenza dalla quale dipende il destino di gran parte di quelle coppie che ogni anno abbandonano l´Italia, per affidare il loro sogno di genitori a un centro estero di fecondazione assistita.

Ricorda Alessandra P., approdata in Spagna nel 2010 dopo aver tentato di diventare madre in Italia nel pieno dei divieti della legge 40. «C´era un clima di sospetto e paura negli ospedali italiani. Mi dissero che non potevo congelare gli embrioni, che si potevano fecondare soltanto tre ovociti, e che mi dovevano essere trasferiti nell´utero tutti insieme. Una tragedia: ho partorito tre bambini all´inizio del quarto mese, sono morti in pochi minuti, avevo già 40 anni, ho rischiato la vita per la follia ideologica di una legge sbagliata... Per anni mio marito e io abbiamo vissuto nel lutto. Poi abbiamo deciso di riprovare, di ritrovare il filo di quel sogno. Nel 2010 ho fatto una ovodonazione a Barcellona, sono rimasta incinta subito e oggi siamo genitori di Benedetta, la gioia della nostra esistenza».

«Con immenso affetto Vanessa e Giulia». Una mamma e la sua bambina abbracciate guardano lontano nella foto-ritratto che la dottoressa Maria Josè Gomez Cuesta, responsabile del laboratorio di "Fertilizzazione In Vitro" tiene alle spalle della sua scrivania. «Sono molto legata a loro, un grande successo dopo un grande dolore», racconta la dottoressa Gomez, per tutti Fina, un concentrato di passione e rigore, che per quattro anni ha lavorato in Toscana, all´ospedale della Versilia, dal 2003 al 2008.

«Ero arrivata con un grande entusiasmo, il centro di Procreazione assistita era tutto da costruire, ma nel 2004 è stata approvata nel vostro paese la legge 40, una legge atroce, pericolosa per le donne e per i bambini, di profonda ingiustizia sociale. Ho provato a resistere, ma con tutti quei divieti era diventato impossibile aiutare le coppie, e così sono tornata qui, al Dexeus, che è il centro dove mi sono formata, dove abbiamo laboratori all´avanguardia, sia per la fecondazione in vitro che per l´analisi pre-impianto, in particolare lo studio dei cromosomi dell´embrione, attraverso la tecnica Cgh, comparative genomic hybridization».

E nel laboratorio dove inizia la vita, l´aria è perfetta e asettica perché nulla contamini gli embrioni che sono custoditi in incubatori a 37 gradi, la temperatura del corpo materno, su ogni incubatore (una sorta di cassetto) c´è il nome della madre, mentre sui monitor scorre la vita dell´uovo fecondato che cresce, si sviluppa, fino a quando potrà essere trasferito nell´utero della paziente. «Molte coppie italiane mi hanno seguito - dice Fina Gomez - soprattutto quelle che avevano bisogno della fecondazione eterologa, ricordo una ragazza giovanissima, a 25 anni non riusciva a produrre ovociti, un dramma, e poi qui è rimasta incinta».

Perché il centro Dexeus, oltre a essere un polo multidisciplinare per la salute della donna, è una delle cliniche più famose dove viene praticata l´ovodonazione. Per concepire un bambino le donne ricevono l´ovocita di una donatrice che viene fecondato con il seme del partner. A meno che non si tratti di coppie omosessuali, perché in quel caso il seme viene prelevato da una banca dello sperma esterna al centro.

«In Spagna - spiega Andrea Barri, responsabile dell´ufficio marketing - sono consentite tutte le tecniche tranne l´utero in affitto, e alle tecniche possono accedere anche le donne single. In generale le nostre pazienti italiane hanno tra i 36 e i 40 anni, sono sposate, hanno una formazione universitaria, e arrivano su consiglio dei loro ginecologi, o di altre donne che qui sono diventate madri. Al Dexeus però siamo rigorosi sui limiti d´età: accettiamo di sottoporre le donne alla fecondazione assistita soltanto fino a 50 anni. Oltre no, perché i rischi per la loro salute sono troppo elevati».

È stata l´eldorado dei "migranti" italiani della provetta la Spagna, dove in questi anni le cliniche della fertilità sono diventate decine, prima che il lucroso business si spostasse anche nei paesi dell´Est o in Grecia, centri con requisiti di sicurezza assai minori però. E nemmeno la svolta a destra del governo Rajoy, sostenuta dalla Chiesa, ha toccato i capisaldi della legge, una delle più "liberal" del mondo.

«Un ciclo di ovodonazione costa 8.700 euro, un ciclo di fecondazione in vitro 5.700, mentre le donatrici ricevono un rimborso di circa 900 euro. Siamo molto attenti nella scelta delle donatrici - aggiunge Andrea Barri - se la nostra paziente ha occhi neri e capelli neri, sceglieremo una ragazza con le stesse caratteristiche somatiche. Per questo a volte bisogna aspettare qualche settimana, perché tra chi riceve e chi dona ci sia la maggiore somiglianza possibile».

Sembra tutto semplice ma è invece proprio questa triangolazione genetica a preoccupare gli avversari della fecondazione eterologa, che resta in Italia uno dei punti cardine della legge 40, dopo che nel 2009 la Corte Costituzionale aveva fatto decadere l´obbligo di impianto dei tre embrioni, i divieti di congelamento e di analisi pre-impianto. Paola F. ha 38 anni, convive con il suo compagno da 10, e dopo il terzo tentativo fallito di Fivet (fecondazione in vitro) a Firenze, ha deciso di partire.

«I medici italiani sono bravissimi, il centro che mi segue è davvero eccellente, ma non c´è nulla da fare: nonostante tutte le stimolazioni produco pochissimi ovociti, e di pessima qualità... E per me non c´è altra speranza che diventare madre con l´uovo di un´altra donna. Aspetterò la sentenza, magari fosse possibile farlo qui, con i propri medici, senza dover andare all´estero, in un paese straniero. Ma non ci credo: il divieto resterà, in Italia comanda la Chiesa, e noi donne infertili continueremo a emigrare».

«Non siamo un centro che fa miracoli - avverte però il professor Pedro Barri Raguè, direttore del Dexeus, dove nel 1984 è nato il primo bambino spagnolo concepito in vitro - ma abbiamo un´alta percentuale di successi, cioè gravidanze ottenute. Cerchiamo di essere vicini alle pazienti, molte arrivano da fuori, come le italiane, che vengono da noi soprattutto per l´ovodonazione, visto che l´età delle madri continua a salire in tutta Europa, o per accedere a una unità specifica dove ci occupiamo di quelle pazienti che hanno subito più di un fallimento. Ma c´è anche un buon numero di donne, circa il 20%, alle quali purtroppo dobbiamo dire che per loro al Dexeus non possiamo fare nulla».

 

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