BENGASI USA E GETTA - LA MORTE DELL’AMBASCIATORE IN LIBIA STEVENS RITORNA CICLICAMENTE PER METTERE ALL’ANGOLO LE VOGLIE DI CASA BIANCA DELLA CLINTON - I REPUBBLICANI VOGLIONO UN COMITATO D’INCHIESTA

Guido Olimpio per il "Corriere della Sera"

La storia di Bengasi, con l'uccisione dell'ambasciatore Stevens e di tre funzionari Usa, è come un fiume carsico. Scompare e riappare, a seconda del momento politico. Una vicenda destinata a riaccendersi in vista delle elezioni di medio termine ma ancora di più per le presidenziali 2016 nel caso Hillary Clinton si candidi. Lo dimostra quanto avvenuto in questi giorni.

Primo passo. Il capo della maggioranza alla Camera, il repubblicano John Boehner, ha chiesto la formazione di un comitato speciale per indagare su tutti gli aspetti di una vicenda dagli aspetti ancora misteriosi. Secondo passo. Il segretario di Stato John Kerry dovrà testimoniare sempre sullo stesso tema il 21 maggio davanti al Congresso. Due iniziative legate a documenti sulla strage diffusi dall'organizzazione Judicial Watch.

Tra le carte c'è una email scritta da uno dei collaboratori del presidente Obama, Ben Rhodes, all'allora ambasciatrice americana all'Onu, Susan Rice. Nel messaggio viene concordato di affermare che l'assalto al consolato di Bengasi l'11 settembre 2012 era legato ad un video blasfemo contro i musulmani e non «al fallimento della politica» in Nord Africa. In sostanza un episodio limitato e circoscritto, un'esplosione di rabbia e non un'azione pianificata da gruppi terroristici. Per i repubblicani la Casa Bianca - insieme al Dipartimento di Stato - ha dunque mentito.

Il capo d'accusa non è certo nuovo. Già nelle settimane successive all'attacco la linea del presidente era finita sotto tiro. E con questa le mosse della diplomazia guidata da Hillary Clinton, colpevole di aver sottovalutato le molte minacce arrivate e di aver poi negato i rinforzi per garantire la protezione del consolato. Secondo i repubblicani il colpo poteva essere parato.

La Casa Bianca ha ovviamente respinto gli addebiti, ma è altrettanto vero che dopo il 2012 il Pentagono ha schierato unità di pronto intervento dei marines a Sigonella e in Spagna. Reparti in grado di intervenire nel caso una rappresentanza diplomatica Usa sia minacciata o in pericolo. Dunque un'ammissione indiretta che si doveva fare di più. Ed è evidente che in periodi di confronto politico teso la «carta Bengasi» è una lancia da puntare sui democratici, presentati come coloro che hanno abbandonato al loro destino quattro valorosi servitori dello Stato.

L'altro fronte è quello della caccia ai colpevoli. Obama aveva promesso che gli Stati Uniti avrebbero punito i responsabili dell'assalto di Bengasi. E in questi due anni di possibili sospetti ne sono emersi molti. Dai militanti locali ai quadri di Al Qaeda. Uno dei principali è Abu Sufian bin Qumu. Detenuto a Guantanamo fino al 2007, trasferito poi in una prigione libica, è tornato libero nel 2008 e dopo la cacciata di Gheddafi ha assunto la guida di Ansar Al Sharia.
Poi c'è Ahmed Abu Khattala, incriminato dal Dipartimento della Giustizia americano, ma tranquillo al punto da andarsene in giro per Bengasi. Un altro nome è quello di Seif Allah bin Assine, molto attivo in passato in Cirenaica.

L'intelligence e il Pentagono, seguendo le indicazioni della Casa Bianca, hanno preparato dei piani operativi per catturare i terroristi in Libia. E, un anno fa, la Delta Force ha rapito a Tripoli Abu Anas al Libi. Ma l'incursione non ha avuto altri seguiti, se si escludono le segnalazioni sulla presenza dei droni nei cieli dell'Est. Washington ha avuto il timore di intervenire per non mettere in difficoltà il debolissimo governo libico, tenuto in scacco dalle milizie e da un intreccio di rapporti ambigui, gli stessi che hanno favorito l'uccisione di Chris Stevens.

Preoccupazioni che hanno poi trovato conferme nella situazione venutasi a creare proprio a Bengasi.
Gli attentati scandiscono le giornate così come l'eliminazione di ufficiali, violenze intensificatesi con la spinta di formazioni integraliste molto vicine alla realtà qaedista. Una battaglia tutti contro tutti che si è portata via - a sentir loro - anche alcuni esponenti islamisti.

 

JEB BUSH E HILLARY CLINTONJEB BUSH E HILLARY CLINTONCHRIS STEVENS CON IL CAPO DEI RIBELLI LIBICI JALILohn Kerry con il presidente Barack Obama Susan Rice

Ultimi Dagoreport

emanuele orsini romana liuzzo luiss sede

FLASH! – IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, EMANUELE ORSINI, HA COMINCIATO IL "RISANAMENTO" DELL’UNIVERSITÀ "LUISS GUIDO CARLI" ALLONTANANDO DALLA SEDE DELL’ATENEO ROMANO LO SPAZIO OCCUPATO DALLA "FONDAZIONE GUIDO CARLI" GUIDATA DALL’INTRAPRENDENTE ROMANA LIUZZO, A CUI VENIVA VERSATO ANCHE UN CONTRIBUTO DI 350 MILA EURO PER UN EVENTO ALL’ANNO (DAL 2017 AL 2024) - ORA, LE RESTA SOLO UNA STANZETTA NELLA SEDE LUISS DI VIALE ROMANIA CHE SCADRÀ A FINE ANNO – PRIMA DELLA LUISS, LA FONDAZIONE DELLA LIUZZO FU "SFRATTATA" DA UN PALAZZO DELLA BANCA D’ITALA NEL CENTRO DI ROMA...

rai giampaolo rossi gianmarco chiocci giorgia meloni bruno vespa scurti fazzolari

DAGOREPORT - RIUSCIRÀ GIAMPAOLO ROSSI A DIVENTARE IL CENTRO DI GRAVITÀ DELL’INDOMABILE BARACCONE RAI? - IL “FILOSOFO” DEL MELONISMO HA TENUTO DURO PER NON ESSERE FATTO FUORI DAL FUOCO AMICO DEL DUPLEX SERGIO-CHIOCCI. A “SALVARE” IL MITE ROSSI ARRIVÒ IL PRONTO SOCCORSO Di BRUNO VESPA, CON IL SUO CARICO DI MEZZO SECOLO DI VITA VISSUTA NEL FAR WEST DI MAMMA RAI - A RAFFORZARE LA SUA LEADERSHIP, INDEBOLENDO QUELLA DI CHIOCCI, È INTERVENUTA POI LA FIAMMA MAGICA DI PALAZZO CHIGI, “BRUCIANDO” IN PIAZZA IL DESIDERIO DI GIORGIA DI ARRUOLARLO COME PORTAVOCE - L’OPERAZIONE DI ROSSI DI ESSERE IL BARICENTRO IDEOLOGO E PUNTO DI RIFERIMENTO DI TELE-MELONI, SI STA SPOSTANDO SUI TALK-SHOW E L’INTRATTENIMENTO, A PARTIRE DALLA PROBABILE USCITA DI PAOLO DEL BROCCO, DA UNA DOZZINA DI ANNI ALLA GUIDA “AUTONOMA” DELLA CONSOCIATA RAI CINEMA, IN SCADENZA AD APRILE 2026 - IL NOME CHE SCALPITA PER ANDARLO A SOSTITUIRE, È UN AMICO FIDATO DI ROSSI, L’ATTUALE DIRETTORE DEL DAY-TIME, LO SCRITTORE-POETA-CANTANTE-SHOWMAN ANGELO MELLONE - MENTRE A RAI FICTION...

roberto vannacci matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - UNO SPETTRO SI AGGIRA MINACCIOSO PER L'ARMATA BRANCA-MELONI: ROBERTINO VANNACCI - L’EX GENERALE DELLA FOLGORE STA TERREMOTANDO NON SOLO LA LEGA (SE LA VANNACCIZZAZIONE CONTINUA, ZAIA ESCE DAL PARTITO) MA STA PREOCCUPANDO ANCHE FRATELLI D’ITALIA - IL RICHIAMO DEL GENERALISSIMO ALLA DECIMA MAS E ALLA PACCOTTIGLIA DEL VENTENNIO MUSSOLINIANO (“IO FASCISTA? NON MI OFFENDO”)  ABBAGLIA LO “ZOCCOLO FASCIO” DELLA FIAMMA, INGANNATO DA TRE ANNI DI POTERE MELONIANO IN CUI LE RADICI POST-MISSINE SONO STATE VIA VIA DEMOCRISTIANAMENTE “PETTINATE”, SE NON DEL TUTTO SOTTERRATE - IL PROGETTO CHE FRULLA NELLA MENTE DI VANNACCI HA COME TRAGUARDO LE POLITICHE DEL 2027, QUANDO IMPORRÀ A SALVINI I SUOI UOMINI IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. ALTRIMENTI, CARO MATTEO, SCENDO DAL CARROCCIO E DO VITA AL MIO PARTITO - INTANTO, SI È GIÀ APERTO UN ALTRO FRONTE DEL DUELLO TRA LEGA E FRATELLI D’ITALIA: LA PRESIDENZA DEL PIRELLONE…

berlusconi john elkann

FLASH! – “AHI, SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO...”: DA QUALE FANTASTICA IPOCRISIA SPUNTA LA FRASE “MESSA IN PROVA” PER LIQUIDARE IL PATTEGGIAMENTO DI JOHN ELKANN, CONDANNATO A 10 MESI DI LAVORO DAI SALESIANI? - QUANDO TOCCÒ AL REIETTO SILVIO BERLUSCONI DI PATTEGGIARE CON LA GIUSTIZIA, CONDANNATO A UN ANNO DI LAVORO PRESSO UN OSPIZIO DI COLOGNO MONZESE, A NESSUNO VENNE IN MENTE DI TIRARE FUORI LA FRASE “MESSA IN PROVA”, MA TUTTI TRANQUILLAMENTE SCRISSERO: “SERVIZI SOCIALI”…

bomba doha qatar trump netanyahu epstein ghislaine maxwell

DAGOREPORT - COME MAI DONALD TRUMP,  PRESIDENTE DELLA PIÙ GRANDE POTENZA PLANETARIA, NON È NELLE CONDIZIONI DI COMANDARE SUL PREMIER ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU? - COME E' RIUSCITO "BIBI" A COSTRINGERE L’IDIOTA DELLA CASA BIANCA A NEGARE PUBBLICAMENTE DI ESSERE STATO PREAVVISATO DA GERUSALEMME DELL'ATTACCO CONTRO ALTI ESPONENTI DI HAMAS RIUNITI A DOHA? - DATO CHE IL QATAR OSPITA LA PIÙ GRANDE BASE AMERICANA DEL MEDIO ORIENTE, COME MAI LE BOMBE SGANCIATE VIA DRONI SUI VERTICI DI HAMAS RIUNITI A DOHA SONO RIUSCITE A PENETRARE IL SISTEMA ANTIMISSILISTICO IRON DOME ('CUPOLA DI FERRO') DI CUI È BEN DOTATA LA BASE AMERICANA? - TRUMP ERA STATO OVVIAMENTE AVVISATO DELL’ATTACCO MA, PUR CONTRARIO A UN BOMBARDAMENTO IN CASA DI UN ALLEATO, TUTTO QUELLO CHE HA POTUTO FARE È STATO DI SPIFFERARLO ALL’EMIRO DEL QATAR, TAMIN AL-THANI - SECONDO UNA TEORIA COMPLOTTISTICA, SOSTENUTA ANCHE DAL MOVIMENTO MAGA, NETANYAHU AVREBBE IN CASSAFORTE UN RICCO DOSSIER RICATTATORIO SUI SOLLAZZI SESSUALI DI TRUMP, FORNITO ALL’EPOCA DA UN AGENTE DEL MOSSAD ''SOTTO COPERTURA'' IN USA, TALE JEFFREY EPSTEIN...