“NON ERA CONTRO MELONI, IL COMPLOTTO, MA CONTRO SCHLEIN” – LA BATTUTA DI UN DIRIGENTE DEL PD SULLE PAROLE “RUBATE” AL CONSIGLIERE DI MATTARELLA, GAROFANI, RACCONTANO DI UN CLIMA DI SFIDUCIA DEL COLLE NEI CONFRONTI DEL PD DI SCHLEIN E DEL CENTROSINISTRA ATTUALE (“NON C’E’ NESSUNO ADEGUATO”) E DEL RUOLO DI RUFFINI PER CREARE UN NUOVO ULIVO - DA QUANDO C’È ELLY AL COMANDO, IL PD NON È PIÙ IL PARTITO DEL QUIRINALE: I RAPPORTI FRA LA SEGRETARIA DEM, CHE HA TRASFORMATO IL NAZARENO IN UN CENTRO SOCIALE, E IL PRESIDENTE SONO FORMALI. SCHLEIN HA CANCELLATO IL TRATTO COSTITUTIVO DEL PD COME “PARTITO DELLA RESPONSABILITÀ”
Daniela Preziosi per “Domani” - Estratti
«Garofani ci ha bruciato la relazione introduttiva di Montepulciano». La battutaccia circolava mercoledì alla Camera, quasi mentre Elly Schlein esultava per l’approvazione all’unanimità dell’introduzione nel codice penale del principio «del consenso libero e attuale», che chiarisce che ogni atto sessuale senza il consenso è violenza.
Un voto reso possibile dall’accordo fra la segretaria Pd e la premier Giorgia Meloni, e sottolineato dalle deputate Pd con la simbolica scelta di indossare un giacca rossa.
La battutaccia non era affatto il segno dell’indifferenza patriarcale per l’indubbia vittoria del lavoro trasversale delle deputate di tutti i partiti. Ma è la spia di un clima nel Pd lato maggioranza (Areadem, sinistra e Art.1), quello che dal 28 al 30 novembre si è dato appuntamento nella cittadina medievale, sulle colline senesi.
La segretaria andrà a farne le conclusioni, come gesto di dialogo, e per evitare che «quelli di Montepulciano» si saldino in un correntone che vuole sostenerla ma soprattutto condizionarla nelle future scelte del partito e della coalizione.
Si parlava di questo mentre si consumavano gli strascichi del testacoda fra Colle e palazzo Chigi dopo l’incontro chiarificatore fra Sergio Mattarella e Meloni. Il ragionamento a più voci suonava così:
«Se Meloni non avesse la fissa dei complotto contro di lei, e il tic di prendere al balzo ogni occasione per ridimensionare Mattarella, delle parole di Garofani (riportate martedì scorso dalla Verità, ndr) avrebbero potuto cogliere un altro aspetto: il fatto che lassù il Pd non piace. E che un consigliere politico del presidente è convinto che il centrosinistra a guida Schlein, riconsegnerà palazzo Chigi a Meloni, e poi anche il Quirinale».
L’esegeta democratico sa bene che la Verità ha interpretato male il riferimento di Garofani alla «provvidenza». Il consigliere non auspicava uno «scossone» per mettere fuori gioco la premier, come tutta la destra ha capito o finto di capire: lo auspicava per mettere fuori gioco la segretaria del Pd dalla corsa a palazzo Chigi. In cerca dell’uomo o della donna della provvidenza, appunto. Perché nel centrosinistra attuale, sono le parole, «non c’è nessuno adeguato».
Eccola qua la luna che anche a sinistra fingono di non vedere per carità di patria, concentrandosi sul dito dell’attacco a Mattarella.
(…) Ma le parole dal Colle sfuggite, anche a titolo personale, raccontano un’altra storia. Anzi due.
La prima è che da quando c’è Schlein al comando, il Pd non è più il partito del Quirinale. Intanto per una ragione personale: i rapporti fra l’ex movimentista e il presidente sono cordiali, però formali e non consueti. Ma la vera ragione è politica: Schlein sta cercando di cancellare il tratto costitutivo del «partito della responsabilità».
Quello che ha governato troppo a lungo senza mai vincere le elezioni, che ha invocato il Colle ogni volta che il Colle ha indicato governi tecnici o di larghe intese, pur sapendo che sarebbero stati pagati in termini elettorali: con Mario Monti, con Enrico Letta, con Giuseppe Conte (un pezzo del gruppo dirigente, dopo la crisi del governo gialloverde, spingeva per andare al voto, compreso l’allora segretario Nicola Zingaretti), con Mario Draghi.
La rottura della «cinghia di trasmissione» fra Colle e Nazareno è percepita come un vantaggio, dunque, per Schlein, che si muove libera dai condizionamenti del pur prestigiosissimo palazzo. E tutto sommato non fa male alla reputazione da arbitro di Mattarella.
La seconda storia che racconta il pasticciaccio brutto di martedì è che la sfiducia che il consigliere quirinalizio ha espresso su Schlein, certo in una conversazione personale e privata che però è diventata pubblica, era l’esemplare che le mancava nella variegata collezione di critiche acide e garbati consigli degli ultimi mesi sul fatto che a oggi il progetto progressista è vago e poco credibile: le critiche di Romano Prodi e di Paolo Gentiloni, i consigli benevoli ma non meno preoccupati di amici e sostenitori come Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Goffredo Bettini e Dario Franceschini.
Per parlare solo dei soliti big. Perché nelle seconde e terze file non ce n’è uno che l’abbia sostenuta al congresso che ormai non confidi dubbi e preoccupazioni sulla coalizione che non decolla e sulla sua principale leader che ha esaurito la spinta espansiva. Al punto da non essere certa l’eventuale sua vittoria alle primarie di coalizione, in caso fossero necessarie per la nuova legge elettorale che Meloni sta apparecchiando (e a cui il Nazareno fin qui pronuncia solo no «di metodo»).
C’è chi descrive la segretaria come tetragona e determinata a tentare la partita da candidata premier, puntando sul fatto di essere la leader del principale partito dell’alleanza. Ma per la prima volta c’è invece chi in queste ore la racconta non più propensa ad ascoltare i suoi ultras, quelli che la spingono a tirare dritta senza curarsi delle critiche. (...)
Ha voluto ricucire con Prodi, dopo parole severe che avrebbero irritato chiunque.
Ha scelto di andare a Montepulciano, il cui messaggio sarà di «discutere» della linea del Pd e «allargare il gruppo dirigente». In fondo anche la difesa a spada tratta di Mattarella, viene spiegato, non è stata solo per un atto dovuto, ma per la consapevolezza che il Pd quel cordone ombelicale con il Colle non può confessarlo – per non nuocere a Mattarella e non provocare le reazioni scomposte di Meloni – ma non può assolutamente reciderlo.
QUEL RIFERIMENTO ALLA LEADER PD CHE SVELA LA RETE PER IL NUOVO ULIVO
Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Loro» nel 2023 non l’avevano vista arrivare. «Lei», adesso, rischia di non vedere arrivare «lui». Benché ora l’articolo della «Verità» su Francesco Saverio Garofani le abbia fornito qualche indizio.
Lei è Elly Schlein, lui Ernesto Maria Ruffini.
Stando a quanto riferisce il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, il consigliere di Sergio Mattarella si è lamentato dello stato di salute del centrosinistra e si è augurato uno scossone facendo affidamento sull’autorevolezza di Romano Prodi e l’attivismo dell’ex numero uno dell’Agenzia delle Entrate.
Quelle parole rivelano che oltre a Prodi e Gentiloni, che non fanno grande affidamento sulla leadership di Schlein, tant’è che entrambi sostengono che «l’alternativa a Meloni non c’è ancora», anche tra gli uomini del presidente, c’è grande scetticismo sulla segretaria dem.
LA GALASSIA DELLE CORRENTI DEL PD
Sono ragionamenti che da qualche mese si possono ascoltare pure nei capannelli dei parlamentari dem. Già, perché a far da sponda al lavorio di Ruffini, autore di un libro, Uguali per Costituzione , con la prefazione di Mattarella, ci sono molti riformisti del Pd.
L’obiettivo, del resto, è lo stesso: riportare il partito nel suo alveo originale. Ed è significativo, in questo senso, il fatto che Prodi abbia voluto dire nell’intervista di qualche giorno fa al Corriere che segue Ruffini «come ho seguito Milano», ossia il convegno dei riformisti che non si riconoscono più in Bonaccini.
«Non mi interessa fare un partitino di centro», ripete a tutti l’ex direttore dell’Agenzia per le Entrate (nominato, all’epoca, da Paolo Gentiloni). Ed è vero, lui pensa ad altro. Il suo sogno è la nascita di un nuovo Ulivo e la strada per realizzarlo passa dal Pd, che adesso, spiega chi collabora con lui, «assomiglia ai Ds, perché ha perso la vocazione maggioritaria originale».
DARIO FRANCESCHINI - ELLY SCHLEIN
Sono riflessioni simili a quelle di Prodi, preoccupato che l’eccessiva radicalizzazione della segretaria «allontani una parte dell’elettorato dal centrosinistra».
Insomma, l’idea è quella di «scompaginare per ricostruire», sperando che il Pd cambi verso. Intanto, visto che Schlein non sembra voler seguire i consigli di Prodi e i suggerimenti di Gentiloni, che critica il centrosinistra per «la mancanza di una visione di governo», Ruffini sta costruendo i suoi comitati. E, incredibile, visto il suo precedente mestiere che certo non attira le simpatie degli italiani, dovunque vada a parlare le sale in qualche modo si riempiono.
Per aprile del 2026 Ruffini ha in programma una grande assemblea nazionale e per allora, dicono con un eccesso di ottimismo i suoi sostenitori, «non si potrà prescindere da noi».
Dunque, nessun progetto centrista alla Alessandro Onorato, è al Pd che bisogna dare «uno scossone», perché torni a essere quello che era prima, un partito che attira anche i moderati e l’elettorato non marcatamente di sinistra, senza bisogno che siano gli altri a fare questo lavoro per i dem. Perciò non stupisce affatto la chiosa di un autorevole dirigente del Nazareno che commenta il «caso Garofani» con queste parole ironiche: «Non era contro Meloni, il complotto, ma contro Schlein».
Però la segretaria non sembra voler mollare. (…) E a Prodi, Gentiloni e Ruffini, lancia un messaggio: «Sono disponibile a partecipare alle primarie di coalizione per decidere il candidato premier». Come a dire: su quel campo non mi batterete.








