PASSAPORTI (E MINISTRI) FANTASMA - LA KAZAKA DEPORTATA PER UN DOCUMENTO FALSO POI DICHIARATO AUTENTICO!
1 - CASO ABLYAZOV, IL MISTERO DEL PASSAPORTO FANTASMA
Francesco Grignetti per "la Stampa"
La procedura di espulsione della signora Alma Salabayeva, restituita con la figlioletta di 6 anni al Kazakhstan nonostante fosse la moglie del principale oppositore politico, e nonostante lei abbia implorato asilo politico, è stata possibile grazie ad alcuni documenti che ora sono all'esame degli avvocati difensori della signora e che sono anche al centro degli accertamenti ordinati da palazzo Chigi. Atti che potrebbero essere altrettanti problemi per il ministero dell'Interno.
Il primo è un documento della polizia di frontiera che ipotizza il passaggio della signora Alma Ayan nel 2004 dal valico del Brennero. Ora, il nome Alma Ayan è quello che compare sul passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica del Centroafrica, con il cognome da nubile della signora. Secondo la polizia si trattava di un passaporto taroccato. Il tribunale del Riesame ha deciso l'opposto.
Potrebbe non finire qui: la procura di Roma sta pensando a una rogatoria internazionale verso il Centroafrica per venire a capo definitivamente del problema. Ma qui interessa poco. Il punto è che nel 2004 questo passaporto non esisteva, essendo stato emesso nel 2010, e che la signora Alma Shalabayeva viveva ancora in Kazakhstan con il suo vero nome.
Al prefetto di Roma, per convincerlo a firmare un ordine di trattenimento e di espulsione, comunque è stata consegnata quella nota risalente al 2004 che implicitamente dimostrava che la signora è un'inveterata immigrata clandestina.
Il secondo atto risale al 30 maggio scorso. La signora Alma è trattenuta al Cie di Ponte Galeria da 24 ore. La questura di Roma ottiene dall'ambasciata del Kazakhstan l'indispensabile «riconoscimento» che la sedicente Alma Ayan è in realtà Alma Shalabayeva, con cittadinanza kazaka, e che quindi si può procedere all'espulsione forzata verso quel Paese.
Ebbene, il giorno dopo, il 31 maggio, questo documento cruciale non sembra comparire all'udienza di convalida per il trattenimento davanti al giudice di pace. Mancando il riconoscimento ufficiale di chi fosse in realtà la signora, il giudice di pace ha potuto legittimamente procedere contro una sedicente Alma Ayan, di cui sapeva soltanto che era stata trovata in possesso di un passaporto taroccato della Repubblica del Centroafrica e che era transitata nel lontano 2004 dal valico del Brennero.
Non è un caso, infatti, che l'intero fascicolo del giudice di pace sia intestato alla sedicente Alma Ayan. E quando gli avvocati, nel corso dell'udienza, hanno fatto presente che la signora era disposta a lasciare volontariamente l'Italia, che il passaporto era valido e che godeva di status diplomatico, il giudice di pace ha ovviamente obiettato che ciò sarebbe stato impossibile dato che non aveva documenti in regola.
«Si osservi - sostiene l'avvocato Riccardo Olivo - che la legge prevede in prima istanza l'allontanamento volontario e solo in subordine l'espulsione forzata».
In questa fase, gli avvocati forse non hanno avuto la prontezza di tirare fuori il passaporto kazako e di dimostrare che la signora avrebbe potuto raggiungere il marito a Londra dove entrambi godono di asilo politico. Ma qui pare aver giocato un clamoroso errore di valutazione del marito, l'ex oligarca nonché esule dal 2009 Mukhtar Ablyazov, che ha imposto fino all'ultimo di tenere in vita la finzione del passaporto diplomatico e del nome Alma Ayan. Pare che l'abbia fatto per paura, terrorizzato dall'idea che il Kazakhstan li individuasse. Non si era reso conto che l'ambasciata ormai già sapeva tutto di loro.
Tornando al giudice di pace, «se il documento ufficiale dell'ambasciata del 30 maggio fosse finito sul suo tavolo - dice ancora il legale - la storia avrebbe necessariamente preso un'altra piega. A quel punto non sarebbe stato più necessario e forse nemmeno più legittimo il trattenimento nel Cie, figurarsi l'espulsione forzata».
Lo stesso giorno, alle ore 19, la polizia di frontiera di Ciampino certifica che la signora Alma Ayan e sua figlia Alua Ayan, di 6 anni, lasciano l'Italia in esecuzione di un ordine di espulsione a bordo di un jet privato dopo essere stata affidata al console del Kazakhstan. «Al pilota del jet, invece, la questura di Roma a quel punto consegna correttamente la certificazione che trattasi della signora Alma Shalabayeva».
2 - LETTA: INDAGINE INTERNA PER FARE CHIAREZZA
Francesco Grignetti per "la Stampa"
La vicenda della signora Alma Shalabayeva, moglie del principale oppositore politico del padre-padrone del Kazakistan, rimpatriata a forza come un'ordinaria immigrata clandestina, lascia molto perplesso Enrico Letta. Il premier ha risposto ieri alla Camera che sono «ineludibili ulteriori approfondimenti» sul caso, essendo evidente il «contrasto» tra le ricostruzioni giornalistiche e i primi accertamenti amministrativi che lui stesso ha ordinato alcuni giorni fa.
In tutta evidenza, il premier non è affatto soddisfatto di quanto gli è stato riferito. «Sembra trasparire - ha scandito nella sua risposta a una interrogazione della Lega Nord un evidente stacco tra la correttezza formale dei vari passaggi in cui si è articolata questa intricata vicenda e crescenti interrogativi sostanziali che ruotano attorno ai tempi e ai modi attraverso i quali si sono sviluppati gli avvenimenti».
Di più. «Gli interrogativi da sciogliere - ha detto Letta - quindi ci sono e appare del tutto legittimo che essi vengano posti e soprattutto, naturalmente, che trovino le risposte dovute, in primo luogo nelle sedi istituzionali, tanto più in un Paese come il nostro, massimamente attento al funzionamento pieno di tutte le prerogative dello Stato di diritto».
Il marito della signora, l'ex oligarca Mukhtar Ablyazov, principale oppositore politico del presidente Nursultan Nazarbaev, dalle colonne de «La Stampa» aveva chiesto un intervento di Letta. Questo è quanto il premier gli ha risposto ieri: «Il coinvolgimento nella vicenda di una minore rende il tutto ancora più delicato. Per questi motivi ho disposto un'accurata e articolata indagine interna», i cui risultati saranno resi noti al più presto al Parlamento e alla pubblica opinione «perché, voglio dirlo molto chiaramente, non saranno tollerati ombre e dubbi».
3 - IL "FATTO" SMONTA LA RICOSTRUZIONE DI ALFANO, CHE NON SI PRESENTA ALLA CAMERA E MANDA LETTA A OFFRIRE RISPOSTE GENERICHE
Luca Pisapia per www.ilfattoquotidiano.it
Parole vuote, assenze ingombranti e una strategia difensiva affidata a un lancio dell'Ansa che si dimostra assai debole dal punto di vista fattuale. Scricchiola sempre di più la posizione di Angelino Alfano sull'onda degli ultimi sviluppi sul rimpatrio coatto della moglie e della figlia di Ablyazov, il noto dissidente kazako.
Oggi, dopo sei anni, un premier tornava a rispondere alla Camera per il Question Time, ma l'occasione fare le domande a Enrico Letta sull'operato dell'esecutivo nella questione della rendition kazaka è stata clamorosamente mancata, lasciando alla Lega Nord la possibilità di formulare i quesiti, mischiando attacchi al Governo e ai migranti a una difesa della legge Bossi-Fini. E così, il primo ministro delle larghe intese ha potuto limitarsi ad annunciare indagini, aggiungendo che nell'operazione di rimpatrio c'è stata "una correttezza formale dei vari passaggi" e, al massimo "dubbi su modi e tempi". Più che le parole, meglio allora indagare sui silenzi. E sulle assenze.
La prima è quella del ministro degli Interni Angelino Alfano, considerato il responsabile della (mala) gestione della faccenda Ablyazov. Solo ieri il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, aveva annunciato di avere ottenuto rassicurazioni che il ministro Alfano avrebbe risposto di persona al Parlamento. Ma così non è stato.
Invece la strategia difensiva di Alfano è stata dettata ieri all'Ansa, che in una nota ha riportato âindiscrezioni' del Viminale che difendevano l'operato della Questura di Roma: l'organo competente che ha gestito tutta la faccenda, e che ovviamente fa capo al ministero degli Interni. Ricordando sempre che le stranezze cominciano proprio a partire dalla nota inviata alla Questura dell'ambasciata kazaka, in cui si avvisava della presenza dell'oppositore politico Ablyazov a Roma, da cui parte tutta la vicenda. Una nota inoltrata direttamente alla Questura, e non al dicastero degli Esteri e, come prassi a livello procedurale, anche a quello della Giustizia.
Meglio quindi procedere col fact-checking. Nella difesa di Alfano lanciata ieri dall'Ansa si continua a considerare falso il passaporto della Repubblica Centrafricana in possesso di Shalabayeva al momento del fermo, quando è stato invece dimostrato fin da subito dai legali della donna che non lo era. Come ha poi confermato il 25 giugno - troppo tardi - la sentenza del Tribunale del Riesame.
Inoltre, le fonti del Viminale virgolettate dall'Ansa, sostengono che "non sussistono dubbi sulla correttezza dell'attività svolta dalla Questura di Roma in quanto la cittadina kazaka è entrata nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; inoltre, la sola assenza sul documento di timbri o visti di ingresso legittimava il provvedimento di espulsione, ai sensi del Decreto legislativo n. 286/98". Eppure l'avvocato Riccardo Olivo non ha esitato a definire le procedure "insolite" e il decreto di espulsione "fortemente illegittimo".
Vediamo perché. Dai documenti visionati da ilfattoquotidiano.it risulta che la Questura di Roma ha ricevuto il 30 maggio dall'ambasciata kazaka una nota in cui è scritto che la donna è in possesso di due passaporti validi rilasciati in Kazakistan (N° 0816235 e N°5347890). Passaporti che evidentemente avrebbero dovuto permettere il rimpatrio volontario della signora, e non coatto, come è invece stato.
Con un rimpatrio volontario i tempi del rientro si sarebbero allungati e gli avvocati avrebbero potuto consegnare agli inquirenti un valido permesso di soggiorno lettone, ulteriori prove che il passaporto centrafricano non era falso e, soprattutto, fare domanda di asilo politico.Ma quel fatidico pomeriggio del 31 maggio, quando gli avvocati ancora aspettavano di incontrare Shalabayeva nel Cie di Ponte Galeria, lei era già a Ciampino su un aereo austriaco prenotato dall'ambasciata kazaka con un sospetto anticipo sui tempi. Ovvero alle 11 di mattina del 31 maggio, prima ancora che il Giudice di pace del Cie di Ponte Galeria convalidasse il fermo di Shalabayeva, dato che l'udienza, come da verbale, è terminata dopo le 11.20 di quella stessa mattina.
E Shalabayeva quel pomeriggio si trovava già a Ciampino perché una informativa - visionata da ilfattoquotidiano.it - inviata alla Procura nel primissimo pomeriggio dalla Questura (in particolare dall'Ufficio Immigrazione diretto da Maurizio Improta, che fin da subito ha diretto le operazioni) diceva che non erano necessari ulteriori accertamenti e bisogna procedere immediatamente con il rimpatrio.
Poi le fonti del Viminale citate dall'Ansa sostengono che Shalabayeva "pur avendo avuto la possibilità di chiedere asilo in Italia, non ha mai esercitato tale facoltà ". Allora è bene ricordare che la Shalabayeva e la piccola Alua, al tempo di soli 4 anni, nel 2011 decisero di lasciare Londra, dove pure l'asilo politico britannico concesso ad Ablyazov le copriva âper estensione', per paura di un attentato, come aveva riferito loro la London Metropolitan Police. Da lì madre e figlia sono state costrette a girare per l'Europa approdando prima in Lettonia e poi in Italia, dove sono entrate senza denunciare la loro presenza proprio per non essere rintracciate dagli uomini di Nazarbayev.
Poi hanno vissuto per poco più di un anno nella villa di Casal Palocco con la paura di essere scoperte dagli scagnozzi del dittatore kazako. E che qualcosa non fosse tranquillo lì intorno, è confermato anche dalla presenza di due uomini che si muovevano lungo il perimetro della villa, che poi si è scoperto essere due dipendenti di un'agenzia investigativa che a sua volta aveva legami con i servizi segreti israeliani.
In questa situazione di terrore Shalabayeva, nella sua memoria pubblicata dal Financial Times, racconta come l'irruzione improvvisa il 29 giugno di 50 uomini armati nella villa sia stata fatta da uomini della Digos e della Questura senza divisa né segni distintivi. La donna ha spiegato che temeva fossero i famigerati scagnozzi di Nazarbayev, e ha anche accusato alcuni poliziotti di averla spintonata a terra e altri di avere picchiato il cognato. Per questo, dice, nell'immediato ha preferito presentarsi con il passaporto Centrafricano per non dichiarare la sua identità .
Quando poi ha trovato assistenza legale, e ha deciso di chiedere asilo politico, l'aereo era già in pista coi motori rombanti per l'espulsione più rapida mai avvenuta in Italia: 72 ore dalla prima informativa ricevuta in Questura al decollo del jet austriaco che le avrebbe riportate nelle fauci del dittatore. Pertanto i "dubbi sui modi e sui tempi" di cui parla Letta non possono essere dissociati dal contesto in cui è avvenuta quella che si sembra essere sempre più una rendition che un semplice rimpatrio, per di più nei confronti di una donna di 46 anni e di una bambina di 6.
In serata, si apprende che la Procura di Roma sta valutando se inoltrare al ministero della Giustizia una rogatoria internazionale per verificare l'autenticità di alcuni documenti, tra cui un passaporto, emessi dalla Repubblica Centrafricana ed esibiti in Italia da Alma Shalabayeva, moglie di Mukhtar Ablyazov. Da qui la possibilità di una rogatoria, anche se nella Repubblica Centrafricana, recentemente al centro di un colpo di stato, non esiste una rappresentanza diplomatica italiana. Intanto gli inquirenti si accingono ad acquisire il passaporto detenuto dall'ufficio immigrazione della Questura.









