
“C’È MOLTO DI PUERILE NELLE RETICENZE E NELLE ARRAMPICATE DI GIORGIA MELONI OGNI QUAL VOLTA È CHIAMATA A ESPRIMERSI SULLA QUESTIONE DELL’ANTIFASCISMO” – STEFANO CAPPELLINI SU "REPUBBLICA" INFILZA LA DUCETTA CHE, ALL’ADNKRONOS, HA DETTO DI NON SOPPORTARE “L’USO STRUMENTALE DELL’ANTIFASCISMO” – “È DIVENTATO INUTILE CHIEDERE A MELONI DI DICHIARARSI ANTIFASCISTA. NON LO È MA NON PERCHÉ SIA ANCORA FASCISTA, MA PERCHÉ...” - LA RETORICA "COMPLOTTISTA", IL RICONOSCIMENTO IN TRUMP E IN ORBAN DI UNA "MATRICE FAMILIARE" E LA VISIONE "CATACOMBALE" DI COLLE OPPIO
Stefano Cappellini per la Repubblica - Estratti
giorgia meloni in versione ducetta
Dice Meloni, intervistata dall’agenzia di stampa Adnkronos, che non sopporta “l’uso strumentale dell’antifascismo”. Che sarà mai l’uso strumentale dell’antifascismo? In teoria bisognerebbe escludere dalle possibilità che sia l’antifascismo usato contro i fascisti: sarebbe come dichiararsi contrari al paracetamolo per abbassare la febbre o all’aceto per sgrassare i piatti, insomma la funzione naturale. Ma allora cos’è la strumentalità?
Dice: eh, ma mica tutti gli antifascisti erano, o sono, democratici. Affermazione che in sé contiene una verità, tuttavia sarebbe come dire che un prete malandrino inficia la validità della dottrina cattolica. Si può essere cattolici o non esserlo. Nel secondo caso è possibile arrivare a dirsi anticattolici, però farlo citando le deviazioni di un parroco di Rho ferrarese o le licenze di un prelato di Zagarolo suonerebbe superficiale e puerile.
il video di giorgia meloni per la festa dei lavoratori 6
Ecco, c’è molto di puerile nelle reticenze e nelle arrampicate della presidente del Consiglio ogni qual volta è chiamata a esprimersi sulla questione dell’antifascismo. Puerile forse anche in senso letterale, perché chi conosce bene la storia del Movimento sociale al quale si iscrisse ragazzina sa che Meloni avrebbe detto – ha detto – più o meno le stesse se interrogata da quindicenne o ventenne militante del partito postfscista. A qualcuno potrebbe sembrare un atto di coerenza, tecnicamente lo è, ma certo non pare una perseveranza della quale menare vanto se non nella confortevolezza della propria bolla politica.
la ducetta e i quadrumviri crespi, sangiuliano, meloni, la russa, santanche
Dice: eh, ma nel 2025 siamo ancora a parlare di antifascismo? Delle molte obiezioni che i non antifascisti portano a supporto delle proprie tesi, questa è una delle più frequenti. Come se discutere del tema significasse non preoccuparsi di inflazione o lavoro o fisco o burocrazia o altri grattacapi che infelicitano le esistenze di molti concittadini.
A parte che il fascismo nel mondo, inteso come violazione consapevole delle regole democratiche e forzatura dello Stato di diritto, appare tutt’altro che defunto, non si capisce per quale ragione questionare sui ghirigori degli ex missini dovrebbe essere materia espulsa dal dibattito pubblico, per giunta mentre una di loro siede a Palazzo Chigi.
DA POTERE OPERAIO A POTERE FASCIO - MEME BY MACONDO
All’obiezione che parlare di antifascismo non significa rifugiarsi in altrove slegato dall’attualità i non antifascisti armati di benaltrismo, già testato in anni di “e allora le foibe?”, di solito si rifugiano subito nella soluzione finale: eh, ma allora ditelo che vedete fascisti ovunque! Nella logica traballante dei non antifascisti recriminare sulle ambiguità, o peggio, del loro repertorio significa aspettarsi a breve una marcia su Roma o scambiare Donzelli per Pavolini (che penserà Donzelli del concittadino Pavolini? Meglio non chiedere, forse).
Penso abbia ragione chi sostiene che è diventato inutile chiedere a Meloni di dichiararsi antifascista. Non lo è antifascista, non perché sia ancora fascista, lo diciamo a scanso di equivoci casomai fosse all’ascolto qualcuno di cui sopra, ma perché non ha cambiato le sue griglie di lettura del mondo.
giorgia meloni attende erdogan a villa doria pamphilj.
Non solo per ragioni elettorali e di convenienza. Il fascismo storico è stato per quella generazione di missini un romanzo di formazione, un big bang emotivo. Su quell’esperienza hanno costruito la narrazione di fieri resistenti e coraggiosi anticonformisti, trasformando la sconfitta in una guerra combattuta dalla parte delle dittature e della sopraffazione in un segno di distinzione etica.
Tutta la visione vittimista e catacombale che ancora circola in Fratelli d’Italia si basa sulla psico-geografia dei tempi di Colle Oppio: loro chiusi dentro e tutto il mondo fuori. La retorica complottista, il manicheismo a buon mercato, gli attacchi alla finanza, beninteso solo quella “nemica”, un Elon Musk va benissimo, sono residui di quella pretesa di superiorità morale, ben più assurda di quella solitamente attribuita agli ex comunisti. Né c'è da stupirsi se i Fratelli si rivelano insensibili alle storpiature del trumpismo o agli editti antidemocratici di un Orbán. Riconoscono in loro una matrice, una postura familiare.
GIORGIA MELONI IN VERSIONE DUCETTA - MEME
(...)