ANCHE RENATINO SI TRAVESTE DA BEPPEMAO - "I GIORNALISTI IMPARINO A INCASSARE NON SOLO A PICCHIARE, NON POSSONO ESSERE IMMUNI DALLE CRITICHE"

Renato Brunetta per "il Foglio"

Ho visto un fenomeno interessante nella casta accanto. Ci sono di mezzo un maître à penser, anzi due: parlo di Marco Travaglio e di Francesco Merlo. Litigano, ed è un godere. Le zuffe tra giornalisti sono spettacolari. Persino sexy. Ho in mente le memorabili reciproche incornate tra Enzo Biagi e Giorgio Bocca (tifavo Bocca). Lo sbudellamento a base di intercettazioni tra il medesimo Travaglio e Giuseppe D'Avanzo. Eccetera.

In questo caso Travaglio le suona di santa ragione a Merlo a proposito dell'uso di deformare i nomi, che è secondo Travaglio una cosa di grande classe. Gli do ragione. Merlo che è un filosofo addirittura laureato sa benissimo che la "Sacra Famiglia" così come "La miseria della filosofia" sono testi di Marx ed Engels dotati di verve atroce contro i loro avversari: storpiavano più che potevano.

Dunque i comunisti non dovrebbero lamentarsi se qualche volta gli capita qualche tegola in testa. Togliatti su Rinascita non scherzava, e dava ordini perentori al riguardo. Su una cosa però Travaglio e Merlo sono d'accordo. I giornalisti non si toccano. I politici, anche se scorticati, non devono replicare. Al massimo querelare. Terrò a mente questo secondo consiglio. Il primo no. Scrive Travaglio: "Nelle democrazie vere sono i giornalisti a dover criticare (quando lo meritano) i leader politici, e non viceversa. Anche quando i giornalisti meritano una critica - il che accade spesso, soprattutto in Italia - i leader politici dovrebbero astenersi dall'attaccarli pubblicamente".

Che cos'è questa immunità? Perché i giornalisti dovrebbero essere, proprio come categoria, immuni dalla gogna, salvo sfidarsi a duello con la penna sui rispettivi ring di carta o per etere? Io penso che chiunque sia esposto al pubblico con nome e cognome, esibisca cioè le proprie gambe come una ballerina di prima fila, poi debba accettare fischi, lazzi, applausi e pernacchi. E persino, di tanto in tanto, debba aspettarsi di essere ripagato della medesima moneta della spettacolare esibizione al ludibrio.

Purché questo non si trasformi in minaccia o non dia libero corso ad aggressioni verbali o peggio. I giornalisti sono cittadini come gli altri. Tali e quali i magistrati. Quando espongono nome e cognome, e si gettano nella pugna, le danno e dovrebbero pure prenderle senza lamentarsi, replicando ai politici sullo stesso piano, della parola e dello scritto, sempre che non ci siano ingiurie, minacce e/o diffamazione.

Normalmente invece i magistrati usano dirimere le questioni di penna e di voce affidandole ad altri membri della loro casta, che ne determineranno il provvido arricchimento (Bossi pagò quattrocento milioni di lire per aver esibito in un comizio il desiderio di raddrizzare la schiena a un magistrato). La questione da cui tutto è partito è la creazione della famosa lista dei giornalisti cattivi, inaugurata da Beppe Grillo nei giorni scorsi. Anzi no. E' l'inserimento di una giornalista di sinistra in quella lista, vale a dire Maria Novella Oppo, ritrovatasi a mietere la solidarietà dai massimi vertici della politica.

Prima andava bene. Giuliano Ferrara ha raccontato che in realtà Grillo aveva già cominciato con una giornalista del Foglio, e quella volta nessuno si filò la vittima. Non si seppe neanche, io almeno non ricordo di averlo saputo. Diciamola tutta. Oggi internet è uno strumento potentissimo e oscuro come una giungla. Sono tra i bersagli preferiti. Gli argomenti per ferirmi sono abbastanza noiosi. Non si fa mai il callo.

Una persona è una persona. Si possono criticare parole e atti; pretendere di penetrare l'intimo, è una faccenda miserabile. Per cui non va bene appendere al muro una fotografia per invitare i propri seguaci a esercitarsi con gli spilloni voodoo. Il fatto è che i giornalisti sono politici. Non sono eletti, ma sono attori della politica, in pieno. Cari gazzettieri, adattatevi: non esiste il mondo perfetto a misura del nostro ego.

Né si può pretendere da altri che rispettino una morale quando tu per primo la ignori per scienza e per mestiere. Maria Novella Oppo dei Popoli (le manca solo una i e poi era da sballo) a suo tempo appese anche me al suo muretto. Mi ha dedicato da protagonista o comprimario 28 articoli, e questo nel giro di un paio d'anni. Mi include tra l'altro tra gli zombie e lascio perdere altri immaginabili riferimenti. Va bene. Ho risposto una volta con una lettera, regolarmente pubblicata e con risposta a calcetti e pugnetti.

La casta dei giornalisti impari oltre che a picchiare anche a incassare, e non solo tra le mura domestiche. Questa pretesa di immunità dal dileggio è vigliaccheria da gerarchetto fascista, da mammasantissima della Cupola. E' come pretendere il diritto di usare il manganello delle parole, ma gli altri devono avere le mani legate. Lo stesso fascismo di Dario Fo (nel suo caso è un fatto storico oltre che di mentalità) che è d'accordo su tutto con il comico Beppe Grillo, qualsiasi cosa dica o faccia, salvo su un punto: non deve prendersela coi giornalisti di sinistra, specialmente dell'Unità, questo non si fa, parapapunzipà.

Francesco Merlo, che secondo Travaglio "cinguetta" (battuta molto bella, era più preciso se avesse detto che fischietta), colpisce a sua volta Grillo per questa esposizione orribile della signora Oppio e preconizza - forse per invidia - di essere anch'egli appiccicato alla black list. Accontentato subito. Repubblica.it riproduce festosamente la notizia del martire domestico. Benvenuto nel club, io ci sto da un pezzo.

Ma è lo stesso Francesco Merlo che usa le unghiette curate a Parigi per graffiare chiunque non gli piaccia, salvo nei casi più notevoli ricamare con il suo coltellino da scotennatore cheyenne l'anima del prossimo? Nel frattempo Vauro ha attaccato Dario Fo che ha difeso Grillo nonostante il suo linguaggio mortuario di tipo fascista ("Vincere, e vinceremo!", "zombi", "cadavere").

Fo gli risponde citando il medioevo delle Danze macabre, che erano bellissime al punto che lui le rifà sempre a teatro. Vauro invece di rimproverare a Fo che poteva evitare di torturare gli spettatori del suo teatro e che se proprio voleva imparare dal medioevo poteva esercitare su se stesso lo strappo della lingua, gli replica: "Ti voglio bene". E spiega che queste cose truci Beppe Grillo poteva dirle quando era comico, ed era giullare, non adesso che fa il politico. Vogliono proprio l'immunità, giornalisti, comici, vignettisti. Eja eja, Rodotà- tà!

 

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