SALÒ DELLE VANITÀ – ALBERTAZZI: “L’ERRORE DELLA DESTRA? AFFIDARSI ALLE CENE DI TRIMALCIONE” – “ALEMANNO CHI? QUASI NON LO CONOSCO”

Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"

Alemanno e le ragioni della sconfitta della destra, dice? Devo provare tra poco, non possiamo rimandare?". A 90 anni, l'elezione delle priorità è un atto politico e il relativo turbamento di Giorgio Albertazzi, un abito di scena da cambiare con lo stesso entusiasmo del condannato: "Mi aspettavo vincesse Marino, ma impiegherà due anni solo per capire come stanno le cose e quando capirà, sarà tardi. Roma è un corpo da curare con atti chirurgici. Auguriamoci che ce la faccia".

Dubita?
È un novizio e la cosa è positiva, ma la disaffezione è radicata e l'astensione, un voto politico a tutti gli effetti. Domina un messaggio chiaro: "Non ne vale la pena".

Ed è vero?

Verissimo. Mi interrogo da decenni sul tarlo che impedisce all'Italia di rinascere. Studio il verme. L'ho scovato.

Ha un nome?
Burocrazia. La mafia di questo Paese. Ho gestito enti pubblici, so di cosa parlo. Più pena di tutti mi fanno i politici animati dalle buone intenzioni, con le mille sigle, Pd, Pdl, Pq, Pk, Pci, ben fissate sulla blusa. Quelli che dicono "vorrei fare così" e incontrano una pletora di ragionieri e funzionari dell'ufficio 33 barra bis che gli sorridono melliflui indicandogli la strada.

Dove si dirigono?
Da nessuna parte. Un vero burocrate vive per dire no. Indossa la maschera del dolore e finge: "Mi dispiace, purtroppo mancava il visto per le pulci di sua zia, avrebbe dovuto saperlo". L'Italia è una succursale della Boemia di Kafka. Come si fa a governare un Paese così?

Intanto Alemanno non governerà più Roma.
Hanno scritto che lo appoggio e lo frequento, ma in realtà quasi non lo conosco. Gli avevo chiesto aiuto per restituire luce a uno dei palcoscenici storici della città, il Teatro delle Arti. Non si è messo sulle barricate, ma l'ipotesi gli andava bene. Abbiamo trovato i soldi. Adesso speriamo che i lavori partano. È ora di agire. Bene o male, sbagliando magari, ma senza star fermi.

L'errore della destra è stato disertare le periferie o abbandonare "l'idea" nelle mani dei Fiorito?
Dimenticare il ruolo sociale della destra e affidarsi alle cene di Trimalcione non è stata un'illuminazione. Lei mi chiede se il risultato odierno sia un'eredità della parabola finiana o dell'avvento di Berlusconi, ma rispondere non è facile e forse, sono vere entrambe le cose.

Berlusconi l'ha conosciuto.
A Milano, più di 30 anni fa. Aveva già il piglio del capo industria. Era simpatico, veniva voglia di ascoltare cosa pensasse, ma non sono mai diventato suo amico. È un grande attore in senso hegeliano, ma come certi bravi attori alla Benigni, a volte è tradito dal vizio di strafare.

Dio bono dico, perché invece di andare in orizzontale, ogni tanto non vai un po' in verticale? I politici con i quali ho provato a lavorare in questi anni, comunque, stanziavano a sinistra. Con Walter, l'ex sindaco di Roma, come si chiama?

Veltroni?
Ecco. Avevamo una corrispondenza di carattere culturale su temi di cui l'Italia ha un disperato bisogno. Il sorriso, la poesia, Dante. Riguardare le proprie pietre è utile. Parlano. Non si può tagliare con il passato, è terribile.

L'altra sera, non per parlare di me, ma anzi per parlare proprio di me, in un ristorante, proiettavano spezzoni del mio Jekyll per la Rai. Si fidi, un capolavoro. Il pubblico era incredulo: "Ma veramente nel '69 hai fatto per la tv ‘sta roba qua?". Come si fa a discutere di futuro se si ignora il passato?

Lo ignoriamo?
Abbiamo sottovalutato il tracciato della storia. I prodromi del 2 giugno. Il patto tra statunitensi e mafia nel '43. Il via libera nell'isola in cambio di qualche losco affare di Cosa Nostra sul suolo americano. Questo era l'accordo dello sbarco in Sicilia, cazzo! Andreotti queste cose le sapeva. Avrebbe potuto dirle un istante prima di morire, ma non le ha dette. Un errore e un peccato.

Non per postume revanche o patetiche riabilitazioni, ma perché il cordone ombelicale deve conservare una sua continuità, senza omissioni. Altrimenti finiremo ancora a Piazzale Loreto, dove non si discute più di giusto o ingiusto , destra o sinistra, torto o ragione, ma trionfa solo l'uomo-bestia che vince sempre sulla bestia. Nessun animale è bestiale come l'uomo.

Lei la destra ora evaporata l'ha vista da vicino.
Da ragazzo chiedevo a mio zio cosa fosse il Fascismo e lui rispondeva: "È l'Italia". C'era un'identificazione pazzesca, ma io non sono mai appartenuto a nessuno. Dopo Salò ero stato in carcere militare. Uscito, compresi che in fondo non ero mai stato neanche fascista.

Ammiravo Almirante, ma quando mi propose l'ingresso nel Msi, dissi no. Non era il mio percorso. Mi sentivo un residuo futurista, al limite. Una scheggia d'annunziana, un legionario rapito dalla mistica dell'impresa fiumana, un avventuriero con troppo Achille e troppo poco Ulisse dentro di sé.

A suo agio in questa democrazia?
Le do una notizia. Alla democrazia non siamo ancora arrivati. Siamo alla partitocrazia, che è cosa molto diversa. Ci riempiamo la bocca con "l'ascolto del nostro avversario", dimenticando che la democrazia è la costruzione della libertà individuale all'interno di quella collettiva. Se non c'è dialettica non c'è nulla.

E nel governo attuale la dialettica c'è?
Rivela una possibilità. Gli antichi nemici si osservano e fanno i conti: "Alle fine desideravamo la stessa cosa". Allora mi chiedo: la volevano perché la pensavano diversamente o per mantenere per loro, e solo per loro, i privilegi? Io propendo per la seconda ipotesi, ma a quel punto, non posso più chiamarla democrazia. Ha un altro nome. È un'altra storia.

 

GIORGIO ALBERTAZZI Giorgio Albertazzi fio70 giorgio albertazzigianni alemanno SILVIO BERLUSCONI - Copyright PizziIGNAZIO MARINO PIAZZA VENEZIA

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