giorgia meloni alfredo mantovano giovanni caravelli bruno valensise vittorio rizzi

“UNO SCONTRO DEI SERVIZI AL LORO INTERNO E COL GOVERNO? TUTTE CALUNNIE, E’ UNA MACCHINA DEL FANGO" – GLI 007 NEGANO LOTTE INTESTINE ADOMBRATE ANCHE DA SALVINI (PRIMA DEL DIETROFRONT SUGGERITO DA PALAZZO CHIGI). LA MELONI ASSEDIATA DAI CASI ALMASRI, CAPUTI E PARAGON, SUBODORA IL COMPLOTTONE ED E’ PREOCCUPATA (CHI LE E’ VICINO DICE CHE “SI SENTE SOTTO ATTACCO, SENZA UNA SQUADRA ALL'ALTEZZA E UNA COPERTURA POLITICA ADEGUATA”) - FONTI DEL GOVERNO: ”È NORMALE CHE QUALCUNO NON SIA CONTENTO TRA GLI 007. DOPO OTTO ANNI DI REGNO SI AVVIA NUOVA STAGIONE. E' CHIARO CHE CI SONO SCOSSE FISIOLOGICHE” - E SUL CASO ALMASRI FONTI DELL’INTELLIGENCE SPIEGANO CHE…

DAGOREPORT

https://www.dagospia.com/politica/domani-scodella-testo-integrale-documento-dell-aisi-fa-tremare-governo-422608

 

 

Irene Famà per  lastampa.it - Estratti

 

giorgia meloni alfredo mantovano

La regola d'oro dei servizi segreti è: «I successi non possono essere pubblicizzati e i fallimenti non possono essere spiegati». Ma quando è in gioco l'immagine, nel bel mezzo di una bufera istituzionale, con l'intelligence sotto attacco nel proprio paese, allora il quadro cambia completamente. Si spiega, dalle parti del quartier generale dei servizi, che non ci sono lotte intestine. Archiviata, assicurano, anche la ruggine tra passato e presente.

 

E nessun conflitto in corso con le autorità di governo. «Tutte calunnie, è una macchina del fango». Che lambisce anche la premier. Chi le è vicino, la descrive preoccupata. «Si sente sotto attacco, senza una squadra all'altezza e una copertura politica adeguata».

 

L'attività a favore delle sicurezza nazionale è pressoché immutata, ma il nuovo corso degli 007 italiani ha cambiato marcia rispetto alle strategie passate. I cinquecento target sotto intercettazione, spiegano fonti attendibili, erano già monitorati dai governi precedenti. «L'attuale governo - si dice - ha fatto pulizia». Una scelta che qualcuno, forse anche all'interno, non perdona.

bruno valensise 4

 

L'intelligence nella bufera si difende caso per caso. Ad iniziare dalla questione Paragon, quella dello spyware Graphite prodotto da un'azienda israeliana e venduto ad alcuni governi occidentali che ha spiato attivisti e giornalisti. Per conto di chi? Punto primo: Paragon, assicurano, non dipende dai servizi. «Sarebbe inutile spiare un giornalista che scrive contro il governo, visto che lo fa in maniera esplicita».

 

Punto secondo: queste faccende sono cicliche. E gli 007 le ricordano tutte. Nel 2015 la società Hacking Team di David Vincenzetti, nota per l'uso di trojan molto sofisticati, è stata costretta a chiudere dalla sera alla mattina perché qualcuno è entrato nei database. Nel 2019 c'era Pegasus, lo spyware prodotto dalla israeliana Nso group. All'avanguardia, performante, è stato bloccato dagli Stati Uniti. Nel 2022 è stata la volta di una ditta degli Emirati Arabi. Ora c'è Paragon. Ed è Meta, assicurano, a dare filo da torcere. La morale? In queste storie, oscure e delicate «non bisogna solo guardare in casa propria. Ma fare attenzione a chi agisce da padrone del mondo».

 

ALFREDO MANTOVANO. - GIORGIA MELONI - CARLO NORDIO - MATTEO PIANTEDOSI - FOTO LAPRESSE

Si parla di uno scontro interno ai servizi segreti. E la smentita arriva netta: «Non è vero».

Perché allora queste voci? Fonti attendibili ricostruiscono la questione. Partendo dal passato. Quando, a capo delle diverse agenzie, c'era una filiera di comando differente. Ora i nomi sono cambiati. «Un meccanismo si è rotto». E va da sé, qualche dissidio è emerso. «C'era un certo gruppo che aveva confidenza con alcuni giornalisti. Tutto è stato registrato. Chi entrava e usciva dagli incontri con i servizi. Ora - assicurano - le cose sono cambiate e qualcuno ne soffre».

 

GIOVANNI CARAVELLI - FOTO LAPRESSE

E se certe divergenze hanno faticato ad appianarsi, adesso «anche chi non era allineato è tornato nei ranghi». Fonti di governo negano la «conflittualità all'interno delle agenzie» e da palazzo Chigi c'è chi dice: «È normale che qualcuno non sia contento. Dopo otto anni di regno si avvia nuova stagione. E' chiaro che ci sono scosse fisiologiche» Sono retroscena che aiutano a comprendere alcuni casi arrivati sulle prime pagine della cronaca. Come quello che ruota intorno al caso del capo di gabinetto della premier, Gaetano Caputi, controllato, pare, dalla vecchia catena di comando.

Un discorso diverso riguarda la vicenda del generale libico Almasri, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra e contro l'umanità, arrestato a Torino su mandato internazionale, lasciato libero e rimpatriato. Qui la faccenda diventa complicata. E i vari livelli - d'intelligence, politici, giudiziari - un po' si intrecciano, un po' vanno in cortocircuito.

alfredo mantovano giorgia meloni

 

Sulla scarcerazione dell'alto militare è polemica. In procura a Roma arriva un esposto e il procuratore capo indaga il governo e trasmette il fascicolo al tribunale dei ministri. Gli 007 italiani sono stupiti «dalla velocità e dalla semplicità» con cui si è mossa la magistratura capitolina. Le agenzie di intelligence all'estero, sostengono, hanno trovato l'iniziativa bizzarra.

«Voi italiani siete sempre davanti a tutti», scherzano.

Certo è che la comunicazione del caso è stata farraginosa.

Quando l'aereo dei servizi segreti era in volo verso la Libia, ancora si diceva che il ministero della Giustizia stesse valutando. A fare chiarezza arrivano fonti attendibili degli 007, che forse hanno "peccato" di eccessiva «trasparenza». In gioco c'erano «interessi di Stato». 

vittorio rizzi

 

(...) «Se non fosse stato riportato a casa Almasri, sarebbero stati messi a rischio gli interessi degli italiani, compresi quelli dell'Eni.

La questione dei clandestini?

Non c'entra nulla».

 

Almasri viene arrestato, la procura generale libica invia una nota verbale «al ministro degli Esteri e alla procura generale di Roma». Chiede la scarcerazione del generale, già sottoposto a una loro indagine. I servizi italiani avrebbero potuto portarlo a Cipro o a Malta, «ma avrebbe voluto dire coinvolgere un altro Stato». Altri, come il cancelliere Scholz, che avrebbero potuto intervenire prima, se ne sono lavati le mani. A decidere cosa fare in Italia è stato il sottosegretario di Palazzo Chigi Mantovano, che ha ovviamente informato la premier. Dall'intelligence ribadiscono: «C'era in gioco la sicurezza dello Stato».

GIUSEPPE DEL DEOmarco mancini a quarta repubblica 6alfredo mantovano giorgia meloni

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