LA VENDETTA DELLA LANZILLOTTA - ACEA E ATAC RESTANO PUBBLICHE, IL SENATO BOCCIA IL SUO ‘PIANO’ DI PRIVATIZZAZIONI? E LA SENATRICE DI SC FA APPROVARE UN EMENDAMENTO (AFFOSSA-MARINO) CHE BLOCCA L’IRPEF PER IL 2014

Giovanna Vitale per "la Repubblica - Roma"

Sventato il piano Lanzillotta che prevedeva in un colpo solo la privatizzazione di Acea, la liberalizzazione del trasporto pubblico locale (Atac), della raccolta rifiuti e dello spazzamento strade (Ama), nonché i licenziamenti per motivi economici nelle aziende partecipate in perdita (di nuovo Atac e Ama), ieri la senatrice montiana si è vendicata in tempo reale, proponendo e facendo approvare nell'aula del Senato un emendamento che cancella la possibilità per il Campidoglio di aumentare l'Irpef dallo 0,9 al'1,2%, così come previsto nel testo originario della norma salva-Roma.

Una facoltà accordata dal governo, che è dunque andato sotto, per consentire all'amministrazione Marino di riequilibrare il disavanzo del 2014, stimato in oltre un miliardo di euro, senza ricorrere a nuovi aiuti di Stato com'è avvenuto con il bilancio 2013.

«Siccome il Pd ha fatto dietrofont su Acea perché non ha resistito alle pressioni della politica romana di mantenere il controllo sulla gestione dell'azienda, sulle nomine e gli appalti» ha spiegato l'ex assessore al Bilancio delle giunte Rutelli, «abbiamo chiesto che non venisse imposta una super addizionale: se la politica è solo tassa e spendi, non c'è più sostenibilità per cittadini e imprese».

Indignata la reazione della senatrice pd Monica Cirinnà, per 20 anni consigliere capitolino, che ha subito rinfacciato alla Lanzilotta la «sua fallimentare privatizzazione della Centrale del Latte» e l'ha accusata di «lavorare contro Roma». Il tutto mentre il centrodestra, dagli alfaniani Augello e Belviso al forzista Giro, esultava per aver affondato insieme a Sc e M5S uno dei pilastri del piano di salvataggio delle casse comunali messo a punto dalla giunta Marino d'intesa con il Mef.

E sebbene il rincaro dell'Irpef fosse un'opzione che il sindaco ha sempre smentito di voler utilizzare per non tartassare oltre i romani, già gravati dall'aliquota più alta d'Italia, si trattava comunque di una leva importante, almeno in teoria, per far quadrare i conti, considerando che tre millesimi in più di imposta valgono all'incirca 150 milioni di euro.

Cifra sulla quale, adesso, il Campidoglio non può più fare affidamento, sempre che la norma non venga cancellata alla Camera quando il decreto Enti Locali verrà convertito. Ha comunque di che consolarsi, il sindaco. «L'acqua pubblica di Roma è salva. È stato respinto al mittente il tentativo di privatizzazione della gestione del servizio idrico della capitale», esulta dopo il voto del Senato e la mozione approvata all'unanimità dall'assemblea capitolina contro la cessione delle quote.

«Si tratta di un importante risultato nell'interesse della città e di tutte quelle persone che, nel referendum del 2011, hanno sostenuto il controllo pubblico dei servizi locali». E siccome un nuovo agguato è sempre possibile «noi rimarremo attenti e vigili, pronti a dare battaglia alla Camera», avverte il deputato pd Miccoli.

Con il capogruppo dei senatori Zanda a ribadire che «l'Acea deve rimanere sotto il controllo pubblico: qualunque ipotesi di privatizzazione è inammissibile come lo sarebbe decidere di vendere aziende come l'Eni o l'Enel per ripagare i debiti dello Stato».

 

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