STORACE, CHE MALDESTRO! – “PER LA MIA FRASE ‘MEGLIO FROCI CHE LAZIALI’ SUCCESSE IL PANDEMONIO. MI MISERO UNA VOLANTE SOTTO CASA PER LE MINACCE DEGLI ULTRÀ DELLA LAZIO. ANDAI A PARLARE CON PISCITELLI-DIABOLIK...” – QUEL VECCHIO CAMERATA DELL’EX GOVERNATORE DEL LAZIO RACCONTA GLI ATTENTATI DI CUI E’ STATO VITTIMA NEGLI ANNI DI PIOMBO: “MI SPARARONO DAVANTI ALLA SEZIONE DEL MSI DI ACCA LARENTIA. SE SONO ANCORA VIVO LO DEVO A UNA MAMMA CHE PASSÒ CON UNA CARROZZINA CON DENTRO IL FIGLIO NEONATO. I COMUNISTI I BAMBINI LI MANGERANNO PURE MA NON LI UCCIDONO MICA, HANNO UN CUORE ANCHE LORO. UN’ALTRA VOLTA MI INCENDIARONO LA CASA. GIRAVA VOCE CHE ERO ARMATO FINO AI DENTI” – SU GIORGIA MELONI: “QUANDO LASCIAI ‘IL SECOLO’ MI DISSE: ‘PERÒ PURE TE, FRANCE’, C’HAI UN CARATTERE...’, IO C’HO UN CARATTERE? LE RISPOSI…”
Tommaso Labate per corriere.it - Estratti
Francesco Storace, faccia a faccia con la morte.
francesco storace foto mezzelani gmt68
«La prima volta fu nel 1979, avevo vent’anni, mi spararono davanti alla sezione del Msi di Acca Larentia, un anno dopo la strage. Se sono ancora vivo lo devo a una mamma che passò in quel momento spingendo la carrozzina con dentro il figlio neonato. I comunisti (sorride, ndr) i bambini li mangeranno pure ma non li uccidono mica, hanno un cuore anche loro».
Come andò?
«Avevamo affisso sul muro della sezione un manifesto gigante del Movimento sociale per la campagna delle Europee, che però si era mezzo staccato.
Ero salito insieme a un altro con scopa e colla per riattaccarlo quando sento un colpo di pistola. Da una macchina spararono in tutto sette colpi, con un intervallo tra il primo e il secondo per evitare la signora col passeggino. Senza quell’intervallo non sarei qui».
Vide chi sparò?
«Ho ancora l’immagine davanti agli occhi: un ragazzo a volto scoperto coi riccioli biondi. Non venne mai identificato».
Il secondo attentato?
francesco storace ed andrea ronchi foto mezzelani gmt 029
«Mi bruciarono la macchina sotto casa. Ma ce n’è un terzo».
Quale?
«Mi incendiarono proprio la casa. All’ora di pranzo, momento in cui di solito rincasavo per pranzare con mia mamma e mio fratello, qualcuno citofonò a un altro interno: “So’ Storace, mi sono dimenticato le chiavi”, e si fece aprire il portone.
Davanti alla porta dell’appartamento, versarono un composto di benzina e cherosene. Prese fuoco tutto, mia mamma per salvare mio fratello fu tentata di buttarlo dalla finestra. Per fortuna si salvarono».
Perché lei?
«Per i rossi ero un bocconcino prelibato perché facevo politica a destra in un quartiere popolare, nell’Appio-Tuscolano. Alla Sapienza non potevo mettere piede. A volte però giravo da solo di notte per attaccare i manifesti dell’Msi e non mi toccavano. Girava voce che ero armato fino ai denti».
Era vero?
«Macché. Quando arrivò la cartolina del militare, mio padre e mia mamma, che avevano un’amicizia antica col capo segreteria del vecchio presidente del Consiglio Giuseppe Pella, fecero salti mortali, una raccomandazione al contrario: “Mandatelo ovunque purché sia lontano da casa, lontano da Roma”. Mi spedirono in Liguria, in Friuli, poi a Bologna. Quando tornai, gli anni di piombo erano praticamente finiti e forse mi salvai la vita».
francesco storace ed andrea ronchi foto mezzelani gmt 030
(…)
Il giornalismo?
«Iniziai da abusivo al Secolo d’Italia nel 1982».
Qualche scoop?
«Su tutti un’intervista che mi rilasciò Paolo Borsellino e che venne ripresa da chiunque: mi disse che in Sicilia i voti controllati dalla mafia erano duecentomila».
Fu il portavoce di Gianfranco Fini in un momento che cambiò la storia della destra italiana: le comunali di Roma del 1993.
«Il primo a lanciare l’ipotesi della candidatura di Fini era stato Toni Augello, che in un comitato centrale del partito gli aveva detto: “Caro segretario, ti chiedo di aiutarci a coronare il sogno di risorgere candidandoti a sindaco di Roma”».
gennaro sangiuliano francesco storace
E Fini?
«Non ci pensava proprio. Lavorava all’ipotesi di sostenere Rocco Buttiglione insieme alla Dc. Poi Martinazzoli ci sbarrò la strada e tutto cambiò».
Il celebre sostegno a distanza di Silvio Berlusconi, l’anticipo della «discesa in campo».
«Fini non ne sapeva nulla. Quando sentimmo quello che Berlusconi aveva detto all’inaugurazione di quell’ipermercato a Casalecchio di Reno, che se fosse stato cittadino di Roma avrebbe votato per lui al ballottaggio contro Rutelli, rimase di pietra. Come tutti i politici, Gianfranco non amava Berlusconi perché non sopportava l’idea di un imprenditore in politica».
In quella campagna lei se ne inventò di ogni.
«Andrea Ronchi ci apriva porte che neanche immaginavamo. E che il vento stesse cambiando lo capimmo quando Fini riuscì a farsi ricevere dal cardinal Ruini. La cosa doveva rimanere segretissima, invece uscì sui giornali. Ruini fece una smentita all’Ansa, negando che l’incontro fosse mai avvenuto».
E voi?
«Gianfranco non sapeva che pesci prendere. “E mo’ che facciamo? Mo’ che diciamo?”, ripeteva camminando avanti e indietro. Ebbi un colpo di genio: “Ti dico io che facciamo. Mandiamo all’Ansa una tua dichiarazione di due righe: “Se nega Ruini, nego anche io”».
ignazio la russa maurizio gasparri gennaro sangiuliano francesco storace
Che era come confermare, però.
«Il meglio lo diedi al faccia a faccia finale in tv Fini-Rutelli, presentato da Bruno Vespa. Visto che il centrosinistra aveva fatto la campagna elettorale contro il rischio teste rasate-skinhead, feci venire con noi Roberta Angelilli, che era giovane e con lunghi capelli neri. Ma il colpo da maestro fu portare in studio Teodoro Buontempo, che Rutelli odiava».
Il mitico «er Pecora», uno dei più noti missini del Campidoglio.
«Rutelli ebbe un piccolo attacco di tosse. E Teodoro, appresso a lui, ebbe la trovata geniale di iniziare a tossire a sua volta, per invogliarlo a tossire ancora di più. Rutelli ci cascò, non riusciva più a smettere e chiese a Vespa di fermare la registrazione. Per fortuna sua non era in diretta».
L’anno dopo eravate al governo con Berlusconi presidente del Consiglio.
«Maggioranza larga e litigiosa, c’era anche Pannella. Un giorno Bossi, durante una riunione di maggioranza, iniziò ad attaccare dicendo “io penso che...”. Pannella lo gelò: “Caro Umberto, pensare per te è millantato credito”».
Lei fu l’uomo Rai della destra, poi presidente della Commissione di Vigilanza.
«Col mio amico Beppe Giulietti, che aveva avuto lo stesso ruolo a sinistra, ci scambiavamo l’elenco dei giornalisti Rai che venivano per raccomandarsi. A volte capitava che gli stessi che erano andati da lui millantando un papà partigiano venissero poi da me millantando un papà repubblichino.
A uno di questi, di cui non faccio il nome solo perché è morto, lo cacciai dal mio ufficio dopo che mi iniziò a parlare del genitore che aveva fatto la marcia su Roma. “Mio papà è stato partigiano, se ne vada subito!”, gli intimai. Ovviamente non era vero».
Frasi celebri: «Meglio froci che laziali».
«Lo dissi a Scherzi a parte. Gli autori del programma si erano messi d’accordo con uno del mio staff e lo scherzo era una finta ospitata a Mediaset in cui c’era un truccatore con atteggiamenti molto effeminati che mi truccava in questo camerino con gagliardetti e immagini della Lazio appesi ovunque».
Lei è un noto romanista.
«Giocando sul doppio senso omosessualità e Lazio, il truccatore mi chiese: “Scusi ma lei ha qualcosa contro di noi?”. Si figuri, gli risposi, comunque per me meglio froci che laziali. Successe il pandemonio. Quando lo scherzo andò in onda, per le minacce degli ultrà della Lazio mi misero una volante sotto casa. Per chiudere la questione, andai a parlare faccia a faccia con Piscitelli-Diabolik, all’epoca capo ultrà».
Dove potevate arrivare voi, è arrivata Giorgia Meloni.
«La prima volta che venne eletta, alle provinciali del 1998, era una dei tre giovani che avevo indicato unitariamente con Rampelli e Alemanno perché venissero sostenuti alle primarie per i consiglieri e poi alle elezioni».
Gli altri due?
«Francesco Lollobrigida e Barbara Saltamartini».
Che cosa ha avuto più di voi della vecchia guardia?
«Il tempo. L’operazione Fratelli d’Italia l’avevo già fatta io con La Destra, staccandomi da Fini e da Berlusconi nel 2008. Per fortuna di Giorgia e purtroppo per me, era troppo presto. Il tempo giusto in politica è tutto».
La sente spesso?
«Qualche messaggino ogni tanto. L’ultima volta che l’ho vista è stata al funerale di Andrea Augello, due anni e mezzo fa. Sapeva che avevo avuto un tumore e si è avvicinata per salutarmi».
Perché questa freddezza?
«Nel 2019, quando nei sondaggi stava al 9 per cento ma in costante ascesa, mi chiamò a rilanciare il Secolo d’Italia, cosa che feci. Al contempo mi disse: “Se ti occupi del giornale, non ti devi occupare del partito”. Io pensavo fosse una battuta, perché storicamente chi faceva il direttore del giornale di partito stava nel gruppo dirigente del partito».
Non era una battuta.
enrico gasbarra e francesco storace foto mezzelani gmt052
«A un pranzo con Donzelli, a cui avevo chiesto delle possibilità di tornare in Parlamento, lui mi rispose con una frase buttata lì come se fosse per caso: “Sai, Francesco, non credo che Giorgia voglia rifare la vecchia Alleanza nazionale...”. La battuta in questo caso gliela feci io: “Oh Gesù, mi dispiace per La Russa che rimarrà fuori...”».
Oggi è presidente del Senato.
«Alla resa dei conti accettai l’offerta della famiglia Angelucci di andare al Tempo e lasciai tutto, a partire dal Secolo. Nell’ultimo incontro con Giorgia, in cui misi in fila tutti i fatti compreso il pranzo con Donzelli, lei mi disse “però pure te, France’, c’hai un carattere...”. Io c’ho un carattere? “’A carattere”, le risposi, “spero che quando sarai anziana venga a farti fuori dal tuo partito un ragazzino, a cui potrai rispondere che hai fatto la storia della destra».
Chi le piace a sinistra?
«Silvia Salis. Potrebbe candidarsi alle primarie, annullare la Schlein e farle vincere a Conte».
E chi vincerà tra Conte e Meloni?
«Meloni».
Secondo lei, punta al Colle?
«Non credo. Governerà altri cinque anni e poi chissà».
francesco storace italo bocchino angela tatarella ignazio la russa
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FRANCESCO STORACE
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