CHI DI CONTAGIO FERISCE, DI CONTAGIO PERISCE - SULLA STRADA DELLA RIELEZIONE DI OBAMA L’INCOGNITA DELLA “TENUTA” DELL’EURO - BARACK PREOCCUPATISSIMO TELEFONA A TUTTO SPIANO AI LEADER EUROPEI MA NON PRENDE DECISIONI - UNA CRISI AGGRAVATA TRASCINEREBBE IN BASSO L’ECONOMIA USA - L’EXPORT DAGLI STATES VERSO L’EUROPA VALE 500 MILIARDI $ (IL 2% DEL PIL, 7 MLN DI POSTI DI LAVORO)…

Antonio Carlucci per "l'Espresso"

Barack Obama ne è del tutto consapevole: il suo destino, ovvero altri quattro anni alla Casa Bianca, dipende anche da quanto accadrà tra settembre e ottobre non negli Stati Uniti bensì in Europa. Se la crisi dell'euro non viene riassorbita, se Paesi come Spagna e Italia non riescono a fronteggiare la crisi finanziaria, se gli egoismi del nord Europa e gli errori di quelli del sud renderanno nulli gli accordi sottoscritti prima dell'estate, Obama rischia davvero di dare l'addio alla presidenza dopo un solo mandato.

Arrivato alla Casa Bianca nel pieno della crisi finanziaria e della recessione degli Stati Uniti, adesso il leader democratico intravede la possibilità di uscirne mentre la tempesta colpisce l'Europa e l'America arranca per riprendere il cammino della crescita. Obama ha reagito indossando i panni del più strenuo difensore dell'euro e dell'unità monetaria dell'Europa.

Lunedì 30 luglio, a New York a un evento per la raccolta di fondi, ha parlato così: «Nei prossimi mesi navigheremo con il vento contrario. L'Europa è ancora una sfida aperta e molti di coloro che sono qui stasera capiscono la situazione perché hanno relazioni economiche e fanno affari con l'Europa. Io non penso che gli europei lasceranno affondare l'euro, ma devono fare mosse decisive. Io sto spendendo tanto tempo per lavorare con loro».

È dal vertice di fine giugno del G20 a Los Cabos, in Messico, che Obama preme costantemente sugli europei perché trovino il modo di non far affondare l'euro. Telefona a scadenze regolari e ravvicinate, come mai un presidente americano ha fatto, ai primi ministri di Italia, Francia, Spagna e Germania. Cerca di vestire i panni del facilitatore di un accordo di ferro.

E suggerisce soluzioni e mosse da fare. Ai dubbiosi e agli indecisi ripete quello che ha detto agli americani: «Il fatto che nel 2008 e nel 2009 abbiamo preso decisioni risolutive, nonostante fossero impopolari (si riferisce al piano di stimolo all'economia da 819 miliardi di dollari, ndr), dimostra che abbiamo evitato che la nostra ferita continuasse a sanguinare. Questo sarebbe stato un problema enorme non solo per l'Europa, ma per l'economia globale».

Europa muoviti e non tentennare, è l'invito di Obama a Mario Monti, ad Angela Merkel, a François Hollande, a Mariano Rajoi. Il presidente americano sa che la crisi dell'euro incide sull'economia degli Stati Uniti in modo diretto e veloce. Il capo della Federal Reserve, la banca centrale Usa, lo ha detto senza troppi giri di parole: «La crisi in Europa ha inciso sull'economia americana come un ostacolo alle nostre esportazioni, complicando gli affari, minando la fiducia nei consumi e mettendo sotto pressione i mercati e le istituzioni finanziarie».

Le esportazioni degli Usa verso l'Europa sono la spia che si è accesa per prima alla Casa Bianca. «Il rallentamento influisce immediatamente su tutte le decisioni di spesa e di investimento degli Stati Uniti», sostiene Uri Dadush, economista del think tank di Washington Carnegie Endowment for Peace e collaboratore de "l'Espresso". Il flusso verso la Ue consiste nel 21 per cento di beni e in oltre il 35 per cento di servizi rispetto all'export totale made in Usa e dà lavoro a oltre 7 milioni di persone, secondo il Dipartimento del Tesoro Usa. Vale circa il 2 per cento del Pil, una cifra intorno ai 500 miliardi di dollari, e la sua drastica diminuzione comporta una perdita di quasi tre quarti di punto di Pil all'anno. In tempi di ripresa americana affannata, dove è già un successo se gli uffici federali comunicano un trend di crescita intorno al 2 per cento annuo, questa voce non può che preoccupare seriamente la Casa Bianca e il Tesoro.

Se l'export e i suoi riflessi sull'occupazione sono il primo effetto della crisi nell'area euro, a cascata arrivano le altre conseguenze. Il legame economico tra Stati Uniti ed Europa è profondo e radicato. L'America è ben presente nel Vecchio continente con investimenti diretti: l'ultimo dato disponibile (2009) fotografa un impegno degli Stati Uniti in Europa che vale 1,4 miliardi di dollari. E il Vecchio continente ha nel cuore gli Usa, tanto da aver deciso investimenti diretti per 1,6 miliardi di dollari, come ha spiegato l'assistente segretario al Tesoro Charles Collins davanti al Congresso.

Se non si esce rapidamente dalla crisi, al di là della convenienza determinata dal cambio tra euro e dollaro, gli investimenti Usa nella Ue caleranno, anche perché la crisi europea condizionerà al ribasso i risultati economici delle aziende americane che producono beni e servizi in Europa. E pure il flusso contrario, dall'area euro agli Usa, subirà una contrazione.
L'economia è ormai globale e dunque la crisi velocemente arriva al cuore della finanza. Le banche americane sono poco esposte con le istituzioni finanziarie della periferia dell'area euro, ma sono al contrario molto più coinvolte nei rapporti con le principali banche europee che sono il motore dei prestiti all'intera zona dell'euro.

Nel primo trimestre del 2012 le banche Usa avevano un'esposizione con Paesi esteri per 9.661 miliardi di dollari secondo la Banca dei regolamenti internazionali. Oltre un terzo di questa cifra - 3.561 miliardi di dollari - sono crediti vantati dalle banche americane nei confronti di quelle banche europee.

Protagonisti di questo rapporto finanziario sono la Francia e la Germania che devono rispettivamente 560,6 e 502,3 miliardi di dollari agli Usa. Tre dei Paesi più stressati dalla crisi hanno un debito diretto verso le banche americane molto più contenuto: Italia 32,3 miliardi (il Fondo Monetario sostiene però che siano 70 miliardi e aggiunge che i titoli del debito pubblico dell'Italia rappresentano il 5 per cento dell'ammontare mondiale); Grecia 2,3; Irlanda 8,2.

Bisogna però contare l'esposizione indiretta. Per esempio, quanti dei 369 miliardi di dollari di esposizione delle banche italiane verso quelle tedesche, quanti dei 375 dovuti a quelle francesi o quanti dei 110 dovuti alla Gran Bretagna sono in realtà di pertinenza finale delle banche Usa?

Se questa è la situazione, si capisce perché gli Stati Uniti diventano vulnerabili e Obama teme il contagio europeo. «Lo sono sia per la loro presenza globale nell'area euro sia per la debolezza fiscale sul fronte interno», sostiene Domenico Lombardi, economista del desk Europa del think tank di Washington Brookings Institution: «La situazione fiscale americana è peggiore di quella dell'Unione europea e oltretutto non esiste ancora un piano di soluzione a medio termine e non c'è un'opinione condivisa sul da farsi all'interno del Congresso».

Ecco allora che la Casa Bianca appare solitaria al fianco dell'euro. E Barack Obama vive l'incubo che a settembre possa innescarsi un corto circuito in Europa capace di mandare in frantumi il sogno di un altro mandato. In più, il presidente Usa vive nel dilemma in cui nessuna delle due possibili soluzioni reca sicuri vantaggi.

Se non fa nulla di concreto, come è accaduto finora se si escludono le telefonate ai leader europei e le missioni del segretario al Tesoro Tim Geithner in Europa, può essere accusato di non aver difeso l'economia del suo Paese dal contagio della crisi europea; se invece decidesse interventi finanziari diretti si troverebbe contro lo sfidante repubblicano Mitt Romney con l'accusa di aver dato i soldi dei contribuenti americani a Paesi europei sottraendoli alle necessità dei cittadini Usa.

Pensate alla reazione di un eventuale aiuto all'Italia, quando gli studi del Fondo Monetario Internazionale dicono che già dall'anno prossimo il nostro Paese avrà un avanzo primario, ovvero la differenza tra entrate fiscali ed extra fiscali e la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito, del 4,2 per cento per arrivare nel 2017 al 5,6 per cento!

Gli americani hanno scoperto l'euro da quando Obama ne è diventato uno strenuo difensore. Storicamente il cittadino di Main Street si è occupato dell'euro solo perché una vacanza in Europa o un prodotto made in Europe costano il 20 per cento in meno rispetto al 2009. E si preoccupa quando vede il suo conto 401k, il sistema di pensione personale che copre 50 milioni di americani, perdere valore perché una parte dell'investimento è in azioni e bond dei Paesi Ue.

Nel Congresso, poi, i due partiti sono assorbiti totalmente dal dibattito sugli sgravi fiscali dell'era Bush da continuare a tenere in vita o meno, come sulle proposte di aiuto per la classe media che vengono dalla Casa Bianca e che i repubblicani ostacolano. Anche deputati e senatori dei due partiti sono alle prese con le elezioni di novembre e, soprattutto, con lo spettro della riduzione automatica delle spese militari e di quelle per i singoli collegi elettorali in presenza di un deficit che anche negli Stati Uniti non accenna a diminuire.

 

BARACK OBAMA CASA BIANCA MARIO MONTI E BARACK OBAMA ANGELA MERKEL FRANCOIS HOLLANDE

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