TESTA DI KAZAKO - ALFANO “SCARICA” MEZZO VIMINALE: MA POTEVA NON SAPERE?

Francesco Grignetti per LaStampa.it

Il punto attorno a cui ruoteranno le conclusioni dell'inchiesta affidata al Capo della polizia Alessandro Pansa ormai è chiaro: il vuoto di «governance» che s'è verificato al vertice nei giorni dell'espulsione di Alma Shalabayeva. Un vuoto che si trascinava da troppo tempo. Da quando il prefetto Antonio Manganelli era stato ricoverato e anche dopo la sua morte. La polizia in quei sei mesi era guidata dal facente funzioni Alessandro Marangoni. Una guida minata dai segnali negativi del ministro Angelino Alfano, che però non si decideva mai a nominare il nuovo Capo.

Guai a perdere di vista il contesto, insomma, per capire come sia stato possibile che la catena di comando della polizia sia stata attivata in uno sforzo corale per arrestare il latitante-dissidente Mukhtar Ablyamov e poi per espellere sua moglie Alma senza che né Marangoni, né lo stesso ministro Alfano ne fossero informati.

E' ormai assodato, infatti, che l'ambasciatore kazako sia andato a bussare a diverse porte, tra il 27 e il 28 maggio, per mettere le mani sugli Ablyazov. Nei suoi andirivieni tra gli uffici della polizia, è arrivato fino al capo di gabinetto del ministro, il prefetto Giuseppe Procaccini. E qui occorre descrivere chi sia, questo prefetto. Nominato nel giugno 2008 da Maroni, è rimasto nell'incarico anche con Annamaria Cancellieri e poi con Alfano.

Con il tempo, Procaccini è divenuto una sorta di «dominus» del Viminale. L'uomo è ambizioso e ha sperato di succedere a Manganelli. Ha cercato appoggi politici. Nei corridoi del ministero, intanto, era nata una cordata «procacciniana». Un referente di Procaccini, da quel che si racconta, è Alessandro Valeri, capo della segreteria del Capo della polizia. Un'altra eminenza grigia.

Procaccini e Valeri erano ai vertici dell'apparato e negli ultimi mesi si sono mossi in grande autonomia. Forse troppa. Forse hanno pensato di poter guadagnare benemerenze aiutando il rappresentante del Presidente del Kazakhstan, di cui non era ignoto a nessuno il rapporto con Berlusconi? «Non mi meraviglierei troppo - confida un ministro - se alla fine si scoprisse che tutta questa storia nasce per la smania di qualcuno nelle seconde file».

Il 27 maggio, insomma, l'ambasciatore incontra Procaccini. Quello lo manda da Valeri, il quale ascolta, prende nota che a Casal Palocco è stato scovato il nemico pubblico numero uno del Kazakhstan, dà le indicazioni su come muoversi. L'ambasciatore, tornato in ambasciata, scrive una lunga nota per la questura di Roma.

Ma non può bastare un input del genere: le forme vanno fatte salve. Così la stessa nota è girata anche all'ufficio dell'Interpol, dove effettivamente risulta dal bollettino che Mukhtar Ablyazov è ricercato sia dal Kazakhstan sia dalla Russia. L'Interpol riceve e acriticamente gira la questione al questore di Roma, Fulvio della Rocca, e al capo della Squadra Mobile romana, Renato Cortese.

L'Interpol, però, su cui sovrintende la Criminalpol, retta dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo, omette di segnalare alla questura che Ablyazov non è soltanto un ricercato per truffa, ma anche un esule protetto da asilo politico concesso dalla Gran Bretagna. Per dare maggiore forza alla richiesta di intervento, il nome del ricercato finisce anche nel sistema Sirene, che è una sorta di banca dati tra i Paesi dell'Area Schengen.

Nella banca-dati Sirene dovrebbe emergere che Ablyazov e moglie hanno avuto un permesso di soggiorno dalla Lettonia e godono di asilo politico dalla Gran Bretagna. Ma tant'è. Questa informazione resta nei cassetti.

Il resto è noto. L'irruzione nella notte. Il trattenimento della signora Alma. Il balletto dei cognomi. La vicenda del passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica del Centroafrica. Le procedure di espulsione a cura dell'Ufficio Immigrazione della questura, retto da Maurizio Improta.

L'ambasciata effettua il riconoscimento ufficiale della signora Shalabayeva il 30 maggio, segnalando che la donna ha un regolare passaporto kazako, e subito dopo comincia a cercare un jet da noleggiare per riportarla in patria: il 31 maggio, però, quando il giudice di pace deve decidere della convalida del trattenimento, questo documento non salta fuori.

Cade così l'offerta, da parte degli avvocati, di farle lasciare volontariamente il Paese. Impossibile, senza un passaporto valido. Un'ora dopo, la signora è già a Ciampino, dove confluisce anche la figlioletta, prelevata con un inganno dalla squadra mobile. Questi i fatti. E ora traballano le carriere di tutti i dirigent

 

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