marco ferreri

IL REGISTA CHE VENNE DAL FUTURO - 20 ANNI DALLA MORTE DI MARCO FERRERI, CHE DIRESSE ‘LA GRANDE ABBUFFATA’: ‘MI DICONO FOMENTATORE, MA IO MI CHIEDO: QUAL È IL COMPITO DI UN REGISTA? E MI RISPONDO SEMPRE CHE È DARE I PUGNI NELLO STOMACO’. A CANNES, NEL 1973, GLI SPETTATORI TURBATI DA ‘LA GRANDE BOUFFE GRIDAVANO’ ALLO SCANDALO E GLI SPUTAVANO ADDOSSO

 

 

Malcom Pagani per ‘Il Messaggero

 

marco ferrerimarco ferreri

Gli anni senza una lira in tasca, con gli appartamenti messi a disposizione dagli amici come Schifano da trasformare in set e le preoccupazioni terrene perché a volte, la vita è più prosa che poesia: «Marco Ferreri mi fece entrare nel suo appartamento, mi portò in cucina e indicò la dispensa: Mi sono rimasti solo 14 chili di pasta, finiti quelli arriverà la fame, ci sbrighiamo a fare sto film o no?».

 

Nei ricordi sessantottini di Mario Vulpiani, direttore della fotografia dei feroci piccoli borghesi monicelliani, di quel film apparentemente alimentare, Dillinger è morto, e di tutte le avventure a costo zero del grande anarchico del cinema italiano scomparso il 9 maggio di vent'anni a Parigi, in un esilio voluto e consapevole, il cibo torna sempre.

 

marco ferreri ferreri,gazzarra & bukowski

Rientrava a pieno titolo anche tra le ossessioni di Ferreri che ne La grande abbuffata aveva fatto mangiare fino a morire Mastroianni, Piccoli, Tognazzi e Noiret, e con la barba da mullah, gli occhi chiari da attore americano ospiti in un corpo pingue aggravato da un disinteresse assoluto per il vestiario e gli arditi accostamenti cromatici e una statura che non gli aveva certo arriso, dell'improbabilità fisica faceva quasi un manifesto esistenziale.

 

Tra tanti manichini di bell'aspetto direttamente proporzionale alla debolezza di pensiero, il regista aveva scelto una terza via che all'esteriorità nulla concedeva e sulla missione iconoclasta del cinema, puntava tutte le sue fiches.

marco  ferrerimarco ferreri

 

Da vero giocatore d'azzardo, Ferreri provocava. E nel suo italiano di ventura imbastardito dal periodo spagnolo, dalle frequentazioni romane, dai verbi troncati senza un perché e da qualche parolaccia: «Perché me dovete sempre rompe i coglioni a me?» cercava un linguaggio che andasse oltre schemi, gabbie e compiacimento del pubblico: «Mi dicono fomentatore, ma io mi chiedo: qual è il compito di un regista? E mi rispondo sempre che è dare i pugni nello stomaco. Perché non dovrei assestarli?».

 

INSULTI E SPUTI

A Cannes, nel 1973, gli spettatori turbati da La grande bouffe gridavano allo scandalo e gli sputavano addosso nei pressi del Palais indignati dal meteorismo di Piccoli, dai cessi saltati letteralmente per aria con tanto di riflesso scatologico e dagli amplessi tra Tognazzi e Andrèa Ferreòl in mezzo alla farina? Ferreri godeva. E stava lì, dritto come un fuso, sorridendo come un bambino felice di aver scatenato riprovazione e incomprensione perché in mezzo agli altri, ai patti degli altri, non sarebbe mai potuto stare.

marco  ferreri marco ferreri

 

A due decenni dalla morte, in Il regista che venne dal futuro, un magnifico documentario senza filtro già presentato in decine di Festival e ora arricchito con nuovi extra in uscita per l'Istituto Luce, Mario Canale, antico amico dell'irrequietezza dell'animale Ferreri, mancato veterinario interessato alla ferinità dell'essere umano non meno che ai suoi indicibili tormenti con l'altro sesso, prova a raccontarlo. In attesa di una giornata di celebrazione e di un convegno (il giorno 9, al teatro Palladium), Canale affronta la materia con molti inediti sopravvissuti all'organizzata confusione di Ferreri e alla cura compilativa di sua moglie Jacqueline.

 

PERLE E INEDITI

Foto, copioni, lembi di pellicola, soggetti rimasti sulla carta come il seguito ideale di Dillinger è morto (di Morire a Tahiti, scritto con Sergio Amidei nel 1981, rimane una copertina, l'impianto iniziale e qualche pagina velleitaria mai diventata sequenza), interviste (Dapardieu, Piccoli, Noiret, Placido, Castellitto, Spaak, una commovente Piera Degli Esposti che ne ricorda l'anomalia antropologica: «Mio padre avrebbe voluto conoscerlo perché diceva che non somigliava alla gente gentesca») realizzate nel corso di un'amicizia che un giorno li trascinava con la sahariana nel deserto e quello dopo a conversare al Tempio di Vesta con un occhio al domani, senza alcuna indulgenza per passato e presente: «La memoria è una gran vigliaccata».

la grande abbuffatala grande abbuffata

 

A volte Ferreri la esplorava con una tranquillità irrituale e raccontava dell'infanzia con il padre assicuratore e la madre che lo aveva messo all'ingrasso e ammirava estatica il frutto del proprio capolavoro: «Cresci sano e forte, cosa vuoi che sia un po' di pancia?». Ferreri che per Lina Nervi Taviani ne aveva addirittura tre, avrebbe potuto rimanere «per sempre un dilettante» e invece tra un'incomprensione e una parabola sull'estinzione dell'uomo ambientata a due passi da Capalbio, nel casale di Macchiatonda, si diede a sua volta alla macchia evadendo con la sgradevolezza del coraggio dalle logiche che dominavano il cinema italiano di allora.

 

la grande  abbuffatala grande abbuffata

Marcando anche plasticamente una diversità di prospettiva che tra una donna scimmia da sempre sfruttata come fenomeno da baraccone e un pentolone in cui cuocere l'uomo bianco e il politicamente corretto sotto l'ombra lunga di un tramonto africano, lo rese un maledetto e un eretico a prescindere.

 

Se lo si ascolta oggi, preconizzare in anticipo la fine di un certo cinema, il suo, parlare male dei critici: «Odiano le mie opere e magari amano il mio personaggio, ormai vado in giro a farmi dare i soldi come Ferreri e non più come regista» e paventare il dominio: «degli orrendi film americani applauditi da gente che si accontenta della merda» è difficile non cogliere la lungimiranza da Grillo parlante, da cantastorie lucido, da turista per caso del circo di celluloide.

 

il seme dell uomoil seme dell uomo

 Ferreri era un marziano che ignorava gli obblighi della sceneggiatura perché voleva atterrare altrove. In uno sperimentalismo che assurgeva a visione e profezia. In un sogno o in un incubo, che per lui erano la stessa faccia di un solo pianeta al centro di una cosmogonia che diventava galassia, viaggio al centro della terra, esplorazione di un mondo nuovo di cui i suoi simili non volevano neanche sentir parlare. 

il seme  dell uomo il seme dell uomo Marco FerreriMarco Ferreripiera degli esposti dacia maraini marco ferreripiera degli esposti dacia maraini marco ferreriil seme dell uomo il seme dell uomo

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…