‘’TIQUI TACA’’ A DISTANZA – GRAZIE A UN PC, SKYPE E WHATSAPP, TITO VILANOVA CONTINUA A GUIDARE IL BARCELLONA DA NEW YORK, DOVE SI STA CURANDO IL TUMORE - DALLA SUA PANCHINA VIRTUALE NEGLI USA SFIDA IL MILAN IN ATTESA DI RIPRENDERE LA POLTRONCINA AL CAMP NOU – UN PAMPHLET CONTRO IL TIQUI TACA, LO “STUCCHEVOLE BUONISMO PEDATORIO” DEL BARÇA…

1 - IL TELE ALLENATORE
Angelo Carotenuto per "la Repubblica"

Alle otto del mattino, ora della East Coast, il paziente Tito Vilanova mette il cappotto, attraversa la 2nd Avenue e varca le porte del Memorial Sloan Kettering Hospital. Reparto di oncologia. Due ore di radioterapia al tumore alla ghiandola parotide, il dottor Timothy Chan che gli chiede come va, lui che risponde meglio, grazie, ci vediamo domani. Poi come ogni mattina torna a casa e si mette ad allenare il Barcellona. A 7mila chilometri di distanza. Dall'appartamento preso in affitto per due mesi nell'Upper Side, New York, dove si cura. È da lì che guida la squadra. Un tele allenatore.

Il paziente Tito Vilanova s'è costruito una panchina virtuale dall'altra parte del mondo, un po' per non lasciare sola la squadra, un po' per non sentirsi solo lui. Non ora che il tumore s'è rifatto vivo. Ha tutto quello che gli serve per controllare il Barcellona da un salotto in America. Un televisore, un computer, la banda larga, una web cam. Se il suo assistente Jordi Roura lavora sul campo con questa macchina da calcio spesso paragonata alla perfezione virtuale della playstation, è Tito che tiene in mano il joystick. Funziona così.

Alla Ciutat Esportiva, dove il Barcellona si allena alle 11, hanno piazzato telecamere dentro le torrette dei riflettori. Catturano gesti, spostamenti, schemi. Immagini che finiscono nei portatili di tre uomini dello staff tecnico: Alex Garcia, Domenec Torrent e Carles Planchart. Guardano il materiale girato, scartano il superfluo, montano 70-80 minuti di video. Un'ora dopo la fine dell'allenamento, quando l'Europa pranza e New York si sveglia, il file è in America.

A Tito Vilanova basta schiacciare il tasto play, e il suo Barcellona è lì. Da lui è più o meno mezzogiorno, in Catalogna pomeriggio inoltrato. Vilanova osserva, prende appunti. Questo mi piace, questo no. Qui fate così, là cambiate in questo modo. La riunione non si fa nello spogliatoio, si fa su Skype. L'ultima telefonata, poco prima di mezzanotte, arriva da Carles Rexach, che al Barcellona è stato 8 anni il vice di Cruyff, responsabile della squadra durante i giorni difficili dell'infarto all'olandese. Uno che insomma conosce i risvolti psicologici di questa situazione. Dal 2004 era ai margini, eppure la chiamata serale a Tito è sua. Senza contratto. Per fede. Altrimenti non si direbbe més que un club.

Domani sono due mesi. Tito ha ricominciato a combattere il tumore il 19 dicembre. Senza fare misteri, fu il Barcellona a darne l'annuncio. Aveva appena diffuso gioiose fotografie di Messi, Xavi e Puyol bambini, le loro facce sui cartellini delle giovanili. Con Vilanova lontano, il peso dei senatori è cresciuto. In Spagna la chiamano autogestione. Secondo qualcuno è cresciuto pure il rischio che tornino le faide dei tempi di Rijkaard.

«Sciocchezze», respinge Xavi, «noi capitani siamo il coro, Jordi è il cantante». Jordi. Quel Roura che però rigetta il ruolo di leader. «L'allenatore è Tito, io sono il suo secondo. Il mio lavoro è fare in modo che non se ne avverta la mancanza ». Sabato sera durante la partita con il Granada, Catalunya Radio ha svelato in diretta il contatto continuo tra la panchina e Vilanova. Whatsapp, ecco come.

L'applicazione che ogni adolescente conosce. Messaggi attraverso la rete. Nulla di proibito, nulla di sconveniente, Vilanova non è mica squalificato. Non c'è imbarazzo neppure in Roura. Ed è tutto esibito dal magnifico apparato della comunicazione barcelonista. È stato Vilanova a dare un turno di riposo a Puyol e Iniesta, così da risparmiarli per il Milan. Sempre lui da New York ha suggerito i cambi. Poi, certo, di là passa Messi, fa due gol e ti risolve la serata.

Negli Usa Vilanova prepara anche il futuro. È appena stato da lui il ds Zubizarreta. È abitudine del club arrivare a marzo con i piani di mercato pronti. Tito non voleva che il suo tumore fosse di peso. La malattia è una compagna di viaggio, non un ostacolo. «Tito passa le sue giornate a guardare partite, non ne ha mai viste tante come in questo periodo», racconta Zubi. L'appartamento non è distante dall'ospedale. Così non perde tempo. Con lui ci sono Montse, da 21 anni sua moglie, e un medico del club.

Carlota e Adrià, i figli, sono in Spagna a studiare. Ogni tanto passa Guardiola a salutare. A Barcellona sperano di riavere Vilanova in panchina per il ritorno con il Milan o per la semifinale di Coppa del re contro Mourinho. Quel posto adesso è vuoto. Non solo metaforicamente. Così come Vilanova s'era rifiutato di sedere sulla poltroncina di Guardiola (la prima a sinistra), ora Jordi Roura e l'assistente Aureli Altimira lasciano libera la sua (la seconda). Perché vanno bene Skype e Whatsapp, va bene la tecnologia, va bene tutto, ma senza le emozioni del calcio che te ne fai?

2 - MA CHE NOIA TUTTI QUEI PASSAGGI UN LIBRO FA A PEZZI IL "TIQUI TACA"
Maurizio Crosetti per "la Repubblica"

Alla fine s'alzò una voce nel deserto e quella voce disse: «Che palle ‘sto Barcellona! ». È una provocazione solitaria ma non gratuita quella che Michele Dalai affida al suo pamphlet
Contro il tiqui taca, sottotitolo Come ho imparato a detestare il Barcellona (Mondadori, pp. 120, 10 euro), da domani in libreria nell'imminenza di Milan-Barça. Dove si prova a spiegare che forse il re non è nudo, ma noioso sì.

La squadra più grande al mondo? Una tediosissima sessione di cucito: ore e ore di possesso palla per umiliare l'avversario, che alla fine esce rimbambito da tutti quei tocchetti. Milioni di passaggi da due metri, sostiene Dalai, non ne valgono uno riuscito da trenta. Gli artisti del Barça altro non sarebbero che animaletti da circo bene addestrati, costretti sin dalla più tenera età a riflessi condizionati da cani di Pavlov. Compreso il sommo giocoliere Messi, peraltro così banale quando apre bocca, e guai a chi osa accostarlo a Maradona: perché Leo prende (tutti giocano per lui) dove Diego dava
(lui giocava per tutti).

Dedicando il suo libello «a ogni contropiedista», Michele Dalai opera una scelta di campo e si dichiara subito: il calcio è uno sport sporco, fatto di caso e astuzia, non certo una scienza e meno che mai un progetto d'intrattenimento di massa. Perciò il Barcellona non è bello, è retorico e lezioso.

I suoi protagonisti sono bulimici innamorati della palla che godono di unanimi consensi: così si manifesta, secondo l'autore, lo stucchevole buonismo pedatorio che scambia la freddezza per bellezza: trattasi invece di gesti automatici di polli d'allevamento, a questo si ridurrebbe la famosa scuola della "cantera". E chi non si adegua, fuori: sia pure un fuoriclasse come Ibrahimovic, espulso dal Barcellona come un pernicioso corpo estraneo. Per non farsi mancare niente, il pamphlet non nasconde i sospetti di doping che accompagnano il Barça, nell'alveo di quello sport spagnolo ancora tutto da dragare, da Fuentes in poi, passando per Nadal e Contador. Tanta roba, destinata a far discutere tra un milionesimo palleggio e l'altro.

 

TITO VILANOVA TITO VILANOVA Lionel MessiTITO VILANOVA CON PEP GUARDIOLA Messi Lionelmourinho mad b ENRIQUE MOURINHO E GUARDIOLA AL BARCELLONAGUARDIOLADIEGO ARMANDO MARADONA jpeg

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