1. CHE SCHIFO! LA GIURIA DEL FESTIVAL CINEMATOGRAFICO DI LOCARNO PREMIA “SANGUE” DI PIPPO DELBONO, PROTAGONISTA IL CAPO BRIGATISTA GIOVANNI SENZANI, CHE HA SCONTATO 23 ANNI PER AVER AMMAZZATO A SANGUE FREDDO ROBERTO PECI, REO UNICAMENTE DI ESSERE IL FRATELLO DEL PRIMO PENTITO DELLE BRIGATE ROSSE, PATRIZIO 3. GASPARRI: QUANTO HA SPESO RAI CINEMA? 4. CASELLI: “SHOW INDECENTE. CONFONDE LA RIVOLUZIONE CON LA “BASSA MACELLERIA”

1. IL FILM "SANGUE" DI DELBONO VINCE UN PREMIO A LOCARNO
da La Stampa.it

«Sangue» di Pippo Delbono, unico film italiano in concorso al Festival di Locarno, accolto con commozione ma anche clamore e polemiche per la presenza dell'ex brigatista Giovanni Senzani, che ha scontato 23 anni, ha vinto il Premio Don Chisciotte.

«È un film coraggioso e molto personale, che - si legge nella motivazione della giuria del Ficc, l'International Federation of Film Societies che sceglie film ritenuti importanti con l'obiettivo di scoperta e diffusione nel mondo - intreccia la perdita di ideali, la morte, la lotta rivoluzionaria, la disillusione, il potere dell'arte e dell'amore. La giuria è rimasta particolarmente colpita da come il regista tesse legami intimi e simbolici tra eventi dolorosi e traumatici, come l'abbandono da parte della politica di una regione italiana devastata dl terremoto, la storia di un ex membro delle Brigate Rosse, l'amore tra un figlio e sua madre malata e la perdita delle persone care».

«Sangue» è la storia di uno strano incontro: quello tra Pippo Delbono artista buddista, e Giovanni Senzani che è stato capo delle Brigate Rosse e per i suoi reati - tra cui i 55 giorni del sequestro finito con le torture e l'uccisione con 11 colpi di mitra del giovane Roberto Peci, colpevole di essere fratello del primo br pentito Patrizio - ha scontato 23 anni ed è definitivamente libero dal 2010 e a Firenze gestisce una libreria-casa editrice Edizioni della Battaglia.

Un incontro dove si incrociano le storie di due donne: la madre di Pippo, Margherita, fervente cattolica, ed Anna, la moglie di Giovanni, contraria da sempre alla lotta armata, che lo ha accudito e comunque sostenuto negli anni di prigionia. Due donne che muoiono a pochi giorni di distanza lasciando i due uomini feriti e indifesi, improvvisamente soli. Ed attraverso la morte si parla delle rivoluzioni, del sangue, ma soprattutto dell'amore, della vita.

La presentazione a Locarno, con la conferenza choc di Senzani - è stata al centro di polemiche nei giorni scorsi. Giancarlo Caselli, magistrato in prima linea negli anni di piombo e ora capo della procura di Torino, ha definito quello del brigatista mai pentito «uno show indecente». Molte sono state le proteste dei parenti delle vittime del terrorismo e ieri il vice presidente dei senatori del Pdl e componente della Commissione parlamentare di Vigilanza Maurizio Gasparri ha formulato un'interrogazione parlamentare chiedendo quanto abbia speso la Rai e «trovando sconcertante» il finanziamento.

Scritto, girato e diretto da Pippo Delbono, «Sangue» è nato da un'idea di Pippo Delbono e Giovanni Senzani ed è un film a bassissimo costo, girato essenzialmente con un telefonino e una piccola camera (come il recente «Amore Carne»), coproduzione italo-svizzera, prodotto dalla Compagnia Pippo Delbono, Casa Azul Films, con la partecipazione della Cine'mathe'que Suisse, coprodotto da RSI Radiotelevisione svizzera, Vivo film in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno della Genova Liguria Film Commission e della Mediateca Ligure, e del Teatro San Carlo di Napoli.


2. LO SHOW INDECENTE DEL KILLER DELLE BR
di Gian Carlo Caselli per Il Fatto


Impossibile per me tacere dopo la "performance" del capo brigatista Giovanni Senzani al Festival di Locarno. Sono stato (con il collega Griffey) il primo giudice istruttore ad interrogare Patrizio Peci. Grazie alle sue rivelazioni ebbe inizio l'irreversibile crollo sia delle Brigate rosse che di Prima Linea, due bande armate sanguinarie che per anni hanno impestato il nostro Paese, dichiarando unilateralmente - dal buco nero della clandestinità - una guerra spietata.

Senzani - appunto - a questa collaborazione di Peci reagì con una rappresaglia di marca decisamente nazista. Ordinò e diresse il sequestro di Roberto, fratello di Patrizio. Roberto venne tenuto prigioniero per settimane in condizioni infami, sottoposto a maltrattamenti, a pressioni psicologiche inaudite. Poi fu ucciso vigliaccamente in una discarica il 3 agosto 1981. E ne filmarono pure l'esecuzione, distribuendo la cassetta un po' dovunque, senza vergogna. L'obiettivo delle Br era fargli "confessare" una panzana clamorosa, vale a dire che il fratello era stato arrestato non una ma due volte, e che dunque aveva agito da infiltrato in accordo con i Carabinieri.

All'inizio della sua prigionia, Roberto raccontò la verità e le Br la riportarono nel primo volantino. Di un doppio arresto neppure l'ombra. Poi riuscirono, coi loro metodi, ad estorcergli il falso, ma questo non gli salvò la vita. E Roberto Peci fu giustiziato solo perché fratello di Patrizio, il primo terrorista pentito.

Quelle del sequestro furono ovviamente settimane drammatiche. Di Patrizio Peci mi colpì la determinazione. "Ho detto la verità - ripeteva - ho scelto la strada della collaborazione perché è quella giusta. Il sequestro di mio fratello è una vigliaccata criminale e io non posso cedere".

Ma soprattutto ricordo la fermezza dei familiari, pur nella disperazione e nella sofferenza. Ecco perché mi è impossibile tacere dopo aver letto quel che Senzani ha dichiarato a Locarno in occasione della presentazione del film Sangue di Pippo Delbono. Stando alle cronache, con un racconto dettagliato, compiaciuto e cinico, senza un filo di emozione, il killer Senzani (notoriamente uno dei personaggi più ambigui delle Br) ha rovesciato sull'uditorio un'onda d'urto di ostinata violenza, vomitando veleni intrecciati con silenzi vigliacchi.

La sua rievocazione del calvario di Roberto Peci e in generale degli anni di piombo non contiene neppure un accenno di perplessità per le tragedie ed i tormenti inflitti. "Ciglio asciutto e tono da speaker della violenza", secondo Maurizio Porro del Corsera. Dice Senzani: "Abbiamo agito in un preciso contesto storico; abbiamo lottato; abbiamo sbagliato".

Troppo difficile - 32 anni dopo - dire anche "abbiamo sequestrato e segregato, ucciso, gambizzato e storpiato un'infinità di persone per puro fanatismo"? Invece , riecco il solito agghiacciante refrain: le Br lottavano per idee giuste, la loro storia è finita e oggi non sarebbe giusto darne un giudizio.

Stupefacente, poi, apprendere da Senzani che "non abbiamo lasciato tracce", come se non vi fosse la scia infinita di quelle tracce indelebili che sono i lutti e le tribolazioni che ancora oggi costringono i parenti delle vittime a vivere un continuo dolore dell'anima che non lascia respiro.

Ovviamente,non ho titolo alcuno per interloquire sul piano del pregio artistico del film di Delbono, come non contesto la libertà di leggere gli anni della violenza terroristica con una chiave piuttosto che un'altra. Ma chi si scandalizza per le parole di Senzani non esprime affatto la finta morale di un paese che non ha mai fatto i conti col passato. Perché i conti col passato non si fanno affidandosi esclusivamente a chi stava dalla parte sbagliata.

Affidandosi a chi - come Senzani - confonde la rivoluzione con la "bassa macelleria" praticata dagli attentati terroristici del suo famigerato "Partito della guerriglia". Oppure affianca il funerale di Moro (la vittima) a quello di Gallinari (il carnefice). Non sarebbe un discorso di verità.

Anzi, si potrebbe correre il rischio di alimentare "un giustificazionismo storico che determina una sostanziale complicità postuma"( Cesare Martinetti su La Stampa), fino a quel fiancheggiamento della violenza - ora ipocrita ora inconsapevole, ma sempre irresponsabile - che ancora oggi serpeggia in quei settori della politica e della cultura che spensieratamente confondono violenza e dissenso.

 

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