CRISI? QUALE CRISI? LA REGIONE LAZIO E’ PIENA DI DIRIGENTI “ESTERNI” CON STIPENDI A SEI CIFRE - I PROVVEDIMENTI DI NOMINA, ZEPPI DI “ANOMALIE”, AL VAGLIO DELLA PROCURA - LA GIUNTA DI SDE-RENATA POLVERINI, IL GIORNO PRIMA DELLE DIMISSIONI, HA RINNOVATO L’INCARICO A SETTE DIRETTORI GENERALI - I BANDI NON PUBBLICATI SULLA GAZZETTA UFFICIALE - I BUROCRATI D’ORO “SEGNALATI” DA TUTTI I PARTITI - QUEI CURRICULA SENZA TIMBRI...

Giuseppe Oddo per il "Sole 24 Ore"

«La giunta lombarda è fatta da dilettanti al confronto». Roberta Bernardeschi è la segretaria del Direr, il sindacato dei dirigenti della Regione Lazio. Ci dà appuntamento alla Pisana, nella sede del Consiglio regionale, oltre il raccordo anulare. Dopo aver letto sul Sole-24 Ore che la giunta Formigoni ha avuto annullato un concorso per dirigenti per non avere pubblicato il bando sulla Gazzetta ufficiale è scoppiata in un riso amaro: «Per lo meno in Lombardia i concorsi li fanno. Qui sono più furbi, non pubblicano nemmeno i bandi».

E racconta la storia che coinvolse sette anni fa la Comunità montana Gronde dei monti Ausoni, il cui commissario straordinario, Raniero De Filippis, attuale direttore regionale per le politiche sociali e la famiglia, invece di chiudere l'ente ne ampliò l'organico di 25 unità e indisse un concorso per due dirigenti. I bandi, piuttosto che essere pubblicati, furono affissi all'albo pretorio.

«Almeno così ci dissero», sostiene la Bernardeschi. «Non divulgarono nemmeno le graduatorie, non sappiamo se le hanno mai fatte». Per questa vicenda, nel marzo di quest'anno, la Corte dei conti ha condannato De Filippis a risarcire alla Regione un danno erariale di 750mila euro.

L'uomo è peraltro recidivo. Nel 2002, per fatti risalenti a quando lavorava alla Comunità montana di Lenola (Latina), patteggiò una condanna a 5 mesi di reclusione per non avere pubblicizzato un bando ed aver fatto vincere il concorso al nipote e a parenti di amministratori. Non meno clandestino fu il concorso indetto dal Centro regionale di educazione e informazione ambientale (Creia) nel gennaio 2010, mentre la giunta Marrazzo volgeva al termine: un'infornata di 80 persone. Gli avvisi non furono mai pubblicati. Si racconta che le graduatorie furono appese nella sede del Creia alla Caffarella, di notte per un quarto d'ora.

«Per avere una classe dirigenziale compiacente e ricattabile le giunte assumono con criteri clientelari e adottano procedure anomale per l'accesso alle qualifiche», commenta la Bernardeschi. Aggiunge: «Cacciano dirigenti di ruolo per prendere gente dall'esterno più ossequiosa verso chi l'ha nominata». Il risultato è la precarizzazione del dirigente, che si trova a operare in un contesto a forte rischio di illegalità.

Gli imbrogli sono a tutti i livelli. Di recente la Guardia di finanza ha accertato consistenti ammanchi nel fondo regionale dove dovrebbero confluire le quote delle retribuzioni dei dirigenti percepite per incarichi aggiuntivi. Le quote non vengono versate, eppure il Gip ha chiesto sorprendentemente l'archiviazione del procedimento: il carattere diffuso delle responsabilità non consente di «apprezzare in ambito penale le condotte denunciate».

I concorsi si arenano. Quello del 2009 per 24 posti da dirigente è stato soppresso dopo un intervento del Tar e quello del 2010, per un totale di altri 76 posti, è stato bloccato perché - secondo il Direr - non era stata correttamente indicata la spesa per il personale della Regione. Ciò è provvidenziale per la casta politica, perché spiana la strada alle assunzioni pilotate e al rinnovo degli incarichi agli amici.

L'ex segretario generale del Consiglio, Nazzareno Cecinelli (254mila euro di stipendio annuo senza una laurea), sei giorni prima di andare in pensione, il 24 settembre 2012, mentre imperversava lo scandalo dei fondi ai gruppi consiliari, ha trovato il modo di rinnovare il mandato a sei tra i suoi più stretti collaboratori (funzionari promossi senza concorso ad un incarico dirigenziale).

Cecinelli avrebbe dovuto lasciare la Regione il 1° aprile per raggiunti limiti di età. Invece ha ottenuto un incarico di altri sei mesi senza alcuna procedura di evidenza pubblica e senza alcuna notizia sul quantum. Una vicenda torbida, su cui è in corso un'indagine della Procura che coinvolge l'intero ufficio di presidenza.

La giunta di Renata Polverini ha poi rassegnato le dimissioni il 27 settembre per l'inchiesta che ha portato all'arresto del capogruppo e tesoriere del Pdl, Franco Fiorito, per indebita appropriazione di fondi elettorali. Ma il giorno prima di dimettersi ha fatto in tempo a rinnovare l'incarico a sette direttori generali: Guido Magrini, Luca Fegatelli, Rosanna Bellotti, Roberto Ottaviani, Maria Chaira Coletti, Ersilia Maffeo e lo stesso De Filippis; e a confermare il mandato ad altri due burocrati di provenienza esterna, il coordinatore dell'avvocatura regionale, Giuliano Bologna, e il capo del personale, Raffaele Marra, dopo che il Tar ne aveva bocciato il rinnovo.

Bologna proviene dall'Ugl, il sindacato di cui era a capo la Polverini, mentre Marra è legato al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Fegatelli invece passerà alla storia per avere firmato con Marra l'atto della propria riconferma.

Ancora una settimana fa il segretario generale vicario, Costantino Vespasiano, che per ora sostituisce Cecinelli, ha avviato la procedura per la ricerca di due nuovi dirigenti, mentre mancano un paio di mesi alle elezioni. L'avviso è stato pubblicato online per pochi giorni e nei corridoi circolano già i nomi dei prescelti: un funzionario vicino a Vespasiano e un altro collegato alla Destra di Storace.

I radicali hanno denunciato il caso del dottor Camillo Riccioni, uno dei sostenitori della Polverini alle passate consultazioni, nominato commissario straordinario della Asl "Roma A" mentre era direttore dell'unità di angiologia dell'ospedale "Nuovo Regina Margherita", che ricade sotto il controllo della stessa Asl. Spiega Rocco Berardo, consigliere della Lista Bonino-Pannella: «Avrebbero dovuto farlo direttore generale, ma la funzione sarebbe stata incompatibile con quella ricoperta al "Regina Margherita".

Così gli hanno rinnovato di tre mesi in tre mesi l'incarico di commissario, finché la Polverini non è riuscito a sistemarlo senza concorso al San Giovanni, sotto un'altra Asl». Caduta l'incompatibilità, a quel punto hanno potuto nominarlo direttore generale.

All'Agenzia regionale dei trapianti hanno cercato di piazzare come presidente un dentista, Gaetano Marcello, ex sindaco di Viticuso (Frosinone) legato alla Lista Polverini, e come vicepresidenti altri due raccomandati, Pietro Alimonti e Aldo D'Avach. Il presidente del Consiglio regionale uscente, Mario Abbruzzese, aveva già firmato il decreto nel febbraio 2012.

Dall'accesso agli atti è emerso che i candidati idonei erano parecchi, ma che su quella triade c'era un'intesa bipartisan. Il fatto singolare è che sui curricula di questi tre signori non figuravano né timbro di consegna né numero di protocollo. Risultato: le nomine sono state revocate. Ancora oggi l'Agenzia è senza un presidente. Per di più sul curriculum di D'Avach, ex segretario della Cgil Trasporti del Lazio, era annotata a penna la sigla "Pd".

A spendersi per lui è stato Esterino Montino, il capogruppo uscente dei democratici, del quale un autorevole esponente del Pd, Giovanna Melandri, ebbe a lamentarsi per l'atteggiamento poco vigile che avrebbe avuto sul "piano casa" della Polverini in cambio di posti di sottogoverno.

Il consociativismo è il cancro della Regione. Il coinvolgimento dell'opposizione nella gestione del potere avviene a tutti i livelli, a cominciare dall'ufficio di presidenza, dove i rappresentanti della maggioranza siedono accanto a quelli di Pd e Italia dei valori. E i burocrati vanno a nozze con il consociativismo. Fegatelli all'inizio era agganciato ai Verdi, nell'era Polverini s'è avvicinato all'Udc e ora il suo segretario dà una mano al comitato elettorale di Nicola Zingaretti, candidato del Pd alle prossime elezioni.

Guido Magrini, responsabile del dipartimento per la programmazione economica e sociale, è considerato l'incarnazione del consociativismo. Inizialmente organico al Pci e poi ai Ds, è diventato dirigente della Regione a metà anni 90, è stato promosso direttore del bilancio dalla giunta Badaloni ed ha continuato a mantenere l'incarico sia durante la presidenza Storace sia nel primo anno di presidenza Marrazzo. Quindi è andato a dirigere il dipartimento economico.

È stato lui a gestire i conti dell'amministrazione in questo lungo arco temporale. Ed anche negli anni della Polverini la sua stella non è tramontata. Racconta Luigi Nieri, capogruppo di Sel alla Pisana, che fu assessore al Bilancio con Marrazzo: «Trovammo 10 miliardi di debiti fuori bilancio, tra cui fatture da pagare per 3,7 miliardi delle quali non si conosceva l'esistenza. Su queste fatture, che erano finite in mano a importanti operatori della Sanità, la Regione corrispondeva il 10% di interesse.

Ne siamo usciti con un piano di rientro ed un prestito del ministero dell'Economia che ci costa tuttora una rata annua di 310 milioni». Si parla tanto di spoils system, ma le logiche consociative fanno sì che certe figure di vertice siano inamovibili a prescindere dalle maggioranze. Fino al settembre scorso i massimi dirigenti della Pisana erano ancora quelli nominati da Storace tra il 2000 e il 2005 - Cecinelli, Vespasiano, Onoratino Orticello e Vincenzo Ialongo - e tutti provenienti dalla provincia di Latina, come l'allora presidente del Consiglio regionale, Claudio Fazzone, ras del Pdl di Fondi.

Anche Orticello è di Fondi, ne è stato il sindaco. Guadagna oltre 180mila euro l'anno, è stato nominato senza concorso. E nella sua scheda di valutazione leggiamo che «non risulta in possesso delle capacità di controllo delle risorse economiche e di adozione di soluzioni che permettano risparmi di tempo e di spesa». La longo è di Itri, è sulla stessa fascia di stipendio di Orticello, e gestisce il servizio tecnico strumentale: 46 milioni spesi dal 2008 a oggi per imbiancare e fare manutenzioni alla Pisana.

E adesso che Storace si è ricandidato alla carica di governatore ritorna a galla la storia dei 480 funzionari da lui promossi dirigenti senza concorso e senza controllo sul titolo di studio. L'operazione, annullata da Tar e Consiglio di Stato, fu sanata dalla Regione con una leggina dichiarata poi incostituzionale.

Solo che nel frattempo molti di quei dirigenti avevano ricevuto incentivi all'esodo o erano andati in pensione. Morale: l'annullamento delle promozioni ha avuto effetto solo su una ventina di loro, l'inchiesta della Procura della Repubblica è finita nel niente e a pagare il danno erariale sono stati solo in due e per pochi spiccioli: l'assessore pro-tempore al personale Giulio Gargano per 600mila euro e il responsabile del procedimento per altri 100mila euro.

«È il consociativismo a rendere possibili operazioni del genere», dice Ferdinando Bonessio, capo della segreteria del gruppo Verdi nonché presidente degli ambientalisti del Lazio. E conclude: «Non si possono assumere 480 persone se l'opposizione non vuole. Quando si creano legami occulti per governare insieme i risultati sono questi».

 

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