ignazio marino

1. PER LE DIMISSIONI DI "DISGRAZIO'' MARINO E’ SOLO UNA QUESTIONE DI TEMPO (E DI VENDETTE) 2. RENZI VUOLE ASPETTARE LA FINE DI FEBBRAIO. PRIMA DI TALE TERMINE, FACENDO CADERE MARINO, ROMA ANDREBBE AL VOTO INSIEME A TORINO, MILANO, BOLOGNA E NAPOLI. UN’IPOTESI CHE IL PD, SONDAGGI ALLA MANO, VUOLE EVITARE PERCHE' VUOL DIRE LASCIARE ROMA A M5S

1 - IL PD SCARICA MARINO IL SINDACO: RESTITUIRÒ TUTTO MA PENSA ALLE DIMISSIONI. RENZI: DECISIONE RAPIDA

Giovanna Vitale per “la Repubblica”

 

marino - vinomarino - vino

Sotto choc. Tentato dalle dimissioni. Braccato dal fantasma che gli è rimasto appiccicato addosso nel 2002, quando fu costretto a dimettersi dall’università di Pittsburgh e dall’Ismet di Palermo per una brutta storia di note spese anomale e rimborsi doppi. Un incubo che, a distanza di 13 anni, si ripete. E che stavolta, con il paracadute del Pd chiuso per sempre, rischia di travolgere quel che resta dell’uomo e della sua carriera.

 

Ce l’ha chiaro, il sindaco Ignazio Marino, quando di buon mattino vede Matteo Orfini per tentare di spiegare l’ennesima cena “per motivi istituzionali” consumata con la moglie a spese del Comune. Non sa ancora che di lì a poco pure l’ambasciata del Vietnam smentirà il convivio serale del 6 settembre 2013 al solito Girarrosto Toscano, organizzato — a detta del primo cittadino — in coda alla visita ufficiale della feluca asiatica in Campidoglio.

RISTORANTE CYBO ROMA RISTORANTE CYBO ROMA

 

Il presidente dem è livido, infastidito, consapevole che se il chirurgo colerà a picco, il primo ad affondare sarà proprio lui. Matteo Renzi, nel corso di una telefonata piuttosto burrascosa, glielo ha fatto capire senza giri di parole: «Io te l’avevo detto che si doveva andare a votare, tu l’hai voluto salvare e adesso te lo tieni e muori con lui», il senso del discorso del premier. Il segnale, anche per Orfini, che è ora di mollare Marino al suo destino.

 

RISTORANTE SAPORE DI MARE ROMA RISTORANTE SAPORE DI MARE ROMA

«La verità è che dobbiamo uscirne fuori», si sfogherà poi con i suoi, «questa vicenda rischia di andare fuori controllo. Io non sono il suo pasdaran, adesso sarà Renzi a decidere ». Ben sapendo che se dovesse arrivare un avviso di garanzia per peculato, “Ignazio” sarebbe spacciato. Un problema non da poco per il Pd: far votare Roma alle amministrative di primavera «sarebbe un disastro», ragionano al Nazareno. Dove si stanno scervellando per capire come fare a rinviare la caduta a dopo il 24 febbraio, data imposta dalla legge per scavallare la prossima tornata elettorale.

 

MARINO MARINO

Il sindaco intanto prova a resistere. Conferma tutti gli appuntamenti in agenda per restituire un’immagine di serenità. Quindi si asserraglia a palazzo Senatorio con il “cerchio magico”. Ordina allo staff di passare al setaccio ogni scontrino (solo 6 quelli alla fine giudicati dubbi). Sguinzaglia i suoi in tutti i ristoranti da lui frequentati per convincere osti e camerieri a mantenere la riservatezza. Si mette a caccia di una soluzione per uscire dal vicolo cieco nel quale s’è cacciato.

 

Con un’idea fissa che gli ronza in testa fin dall’alba: presentare sue le dimissioni, mai tanto vicine come oggi. Invocate peraltro da tutte le opposizioni. Da Alfio Marchini a Grillo che tuona: «Marino lasci e Roma torni al voto », mentre i deputati pentastellati attaccano sulla «questione morale» e decretano «la caduta del mito dell’onestà del sindaco».

MARINO SCONTRINIMARINO SCONTRINI

 

Ma i fedelissimi non ne vogliono sentir parlare: il crollo del “capo” li seppellirebbe tutti. Da qui la exit strategy individuata, con un colpo di teatro, a pomeriggio inoltrato, quando prima in giunta e poi con una nota ufficiale il sindaco urla il suo «basta! Sono stufo di tutte queste polemiche. In questi due anni ho speso con la carta di credito comunale meno di 20mila euro per rappresentanza, e li ho spesi nell’interesse della città», si difende l’inquilino del Campidoglio.

 

MARINO RICEVUTEMARINO RICEVUTE

«Bene, ho deciso di regalarli tutti di tasca mia a Roma e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome. Domattina staccherò l’assegno per l’intera cifra, ivi compresi quei 3.540 euro investiti nella cena con il mecenate Usmanov, che ha portato nelle casse capitoline 2 milioni di euro. Ora la mia decisione mette un punto. E dato che alcuni hanno deciso di investire la Procura, adesso saranno i magistrati a ristabilire la verità».

 

Rivendicando di essere stato lui «a mettere on line tutti gli atti di cui si parla in queste ore» e chiedendo di fatto una moratoria «per il Giubileo che si apre in anticipo l’8 dicembre e che si chiuderà a fine novembre del 2016. È una sfida che Roma, con lo sforzo dei cittadini e con il concorso del governo, saprà vincere».

 

La mossa della disperazione. La stessa utilizzata con le multe alla sua Panda rossa, pagate in extremis dopo giorni di bufera. Che tuttavia suona come un’ammissione di colpa: l’impossibilità di provare spese istituzionali che ormai sono in troppi a smentire.

Una lunga giornata di passione.

 

MARINO SPESE PAZZEMARINO SPESE PAZZE

Che restituisce la foto di un sindaco sempre più solo. Abbandonato da tutti, eccezion fatta per i suoi assessori. Il primo a chiamarsi fuori è proprio il Pd. «Siamo al capolinea, Marino è indifendibile», tagliano corto i consiglieri comunali. Più sconfortati che arrabbiati. Al punto da meditare una mozione di sfiducia insieme a Sel per mettere fine all’agonia: sarà Orfini a parlarne coi vendoliani nell’incontro fissato per oggi. E Renzi? «Devo ancora decidere, lo farò presto», fa sapere il premier a notte fonda. Mostrando però un pollice che pende pericolosamente verso il basso.

 

2 - RENZI LO SCARICA

Francesco Maesano per “la Stampa”

 

Il Pd ne ha abbastanza del suo sindaco di Roma. Ma Ignazio Marino non vuole neanche sentir parlare di dimissioni. Ma il punto di non ritorno è stato superato ieri sera, quando nell’estremo tentativo di riprendere la barra della sua amministrazione, il sindaco ha tentato la manovra disperata, annunciando che stamattina si presenterà in Campidoglio col blocchetto degli assegni per restituire ogni centesimo speso con la carta di credito del comune sotto la voce «rappresentanza».

 

MARINOMARINO

Da quel momento in poi la tensione nel Pd, già altissima durante tutta la giornata dopo la notizia dell’indagine della Procura sulle sue spese, è esplosa. «È fuori controllo, se non ci garantisce più neanche la figura di sindaco onesto e integerrimo che si era costruito in questi mesi, e per la quale gli abbiamo perdonato di tutto, allora per Marino siamo al game over», commentavano dall’«unità di crisi» informale messa in piedi dai Dem per Roma.

 

Nel partito è forte la sensazione di doversi salvare dal sindaco e in tarda serata lo scoramento generale aveva contagiato tutti, anche Stefano Esposito, l’assessore ai trasporti arrivato fresco di nomina in estate per puntellare un’amministrazione in crisi da mesi. Lo scenario che descrive è da zattera alla deriva: «Nessuno si sta occupando più dei problemi di Roma. Neanche Marino, che ormai è impegnato ventiquattr’ore al giorno a difendersi dagli attacchi. Io e altri sì però, ce la stiamo mettendo tutta».

marino e renzi marino e renzi

 

Ora nel Pd è partito il conto alla rovescia. Sfiduciare Marino in consiglio, ammesso che non si convinca a rassegnare le dimissioni, comporterà un ragionamento sui tempi al quale Palazzo Chigi non si era preparato, contando di affidare alla tutela del prefetto Franco Gabrielli la traversata relativamente tranquilla dell’amministrazione verso il 2017.

Improbabile l’ipotesi filtrata ieri di commissariare il Comune a causa della mancata approvazione del bilancio.

 

Molto più plausibile che Renzi attenda la chiusura della cosiddetta «finestra temporale», il periodo durante il quale, facendo cadere Marino, sarebbe possibile portare Roma al voto insieme agli altri grandi Comuni di Torino, Milano, Bologna e Napoli. Un’ipotesi che il Pd, sondaggi alla mano, considera la peggiore possibile.

RENZI MARINO RENZI MARINO

 

Il M5S è rilevato come primo partito in città e il poco tempo che separa dalla primavera potrebbe rivelarsi insufficiente per costruire una candidatura che ricostruisca l’immagine del partito in città. Selezione che, in ogni caso, andrà chiusa in tempi brevissimi. Il nome che gira con maggior insistenza in queste ore è quello di Matteo Orfini, commissario del partito per Roma.

 

Non la prima scelta dei vertici Pd che, anche in chiave anti-Cinquestelle, vorrebbero puntare sul vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. Ma il diretto interessato ha fortemente e ripetutamente smentito di volersi candidare, lasciando poche alternative a Orfini, ad eccezione dell’attuale prefetto Gabrielli. La tentazione di presentare un uomo d’ordine c’è. Ma nel suo caso, oltre al non-interessamento manifestato da lui stesso, pesa nelle valutazioni anche la necessità di presentare un nome «politico», per non rischiare di far passare il messaggio di un’abdicazione della politica al governo della città.

marino e renzi marino e renzi

 

3 - IL PD TENTATO DALLE URNE E IL TIMORE DI CONSEGNARE IL COMUNE AI 5 STELLE

Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera”

 

Non c’è più nessuno nel Partito democratico che difende Ignazio Marino. Anche Matteo Orfini, dopo lo scandalo degli scontrini, non vuole più mettere il sindaco di Roma sotto la sua ala protettiva come ha fatto finora.  Martedì il commissario capitolino lo ha spiegato con estrema chiarezza al primo cittadino. E ieri Orfini non appariva di buon umore: «Adesso mi tocca anche occuparmi di scontrini», è sbottato con alcuni parlamentari amici.

 

«Ora tocca a Renzi decidere», ripetono in coro tutti i dirigenti del Pd. Facile a dirsi, difficile a farsi. E non perché il presidente del Consiglio non sia stufo dell’andazzo che ha preso la «questione romana». Del resto, se fosse stato per lui, Marino non sarebbe più sindaco da tempo. Ma il fatto è che con l’evolversi della situazione le cose sono peggiorate.

MARINO ORFINIMARINO ORFINI

 

Se prima era solo il problema di un sindaco che «non sa governare la città», adesso c’è di mezzo un’indagine per peculato. E questa per Renzi, che pure avrebbe voluto sempre tenersi lontano dalle beghe romane, è un bella grana, non c’è che dire. Il segretario del Pd non può fare finta di niente di fronte a un caso così eclatante che riguarda la Capitale e un sindaco del suo partito.

 

«Non si può più andare avanti così», lo hanno sentito ripetere a Palazzo Chigi. E chi lo conosce bene, come il renzianissimo e toscanissimo onorevole David Ermini, spiega: «È chiaro, il capo ha già deciso e sta pensando al dopo, cioè sta ragionando sul nome del nuovo candidato sindaco». Chi sarà mai? C’è chi punta sul prefetto Gabrielli e chi sull’usato sicuro, ossia su nomi di ex come Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Ma c’è anche chi è convinto che il premier non voglia lasciare Alfio Marchini al centrodestra.

Insomma, il dado sembra proprio tratto. O quasi.

Rutelli e Veltroni Rutelli e Veltroni

 

Perché c’è una questione di tempi. Se Marino fosse messo da parte prima di febbraio prossimo, le elezioni per il nuovo sindaco si svolgerebbero, per legge, insieme alle prossime amministrative, nella primavera del 2016. E ci sarebbe perciò poco tempo per far scordare ai romani l’attuale gestione della città e per preparare la campagna del Pd. Non solo, in caso di sconfitta si rischierebbe di regalare la passerella del Giubileo al sindaco di un altro partito, magari a un grillino. Un’eventualità, questa, che chiaramente non può piacere a Renzi.

 

Se invece Marino cadesse dopo febbraio si arriverebbe alla finestra elettorale dell’ottobre 2016. Insomma, il Partito democratico avrebbe un po’ più di tempo per preparare la sua campagna elettorale e per far dimenticare ai cittadini e agli elettori romani il caso degli scontrini e la gestione della città.

 

MARINO GABRIELLIMARINO GABRIELLI

Al Pd sostengono che Renzi non abbia ancora deciso il «quando». Però tutti i dirigenti del partito sanno che, a prescindere da qualsiasi ragionamento, la situazione ormai rischia di essere fuori controllo e di precipitare da un momento all’altro e perciò allungare il brodo — e la vita dell’attuale giunta capitolina — potrebbe non essere la scelta migliore.

Ma togliere un sindaco che — almeno finora — sembra non volersene andare non è impresa facile: il segretario-premier dovrebbe compiere un gesto clamoroso. Per esempio, dichiarare pubblicamente in tv che Marino non ha più niente a che fare con il Partito democratico.

 

 

 

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