IL GOVERNO AMERICANO CHIUDE? CHISSENEFREGA. CONTA PIÙ LA QUOTAZIONE DI TWITTER - MA PER LA DIPLOMAZIA È UN DISASTRO

1. SE L'AMERICA VA AVANTI SENZA GOVERNO
Francesco Guerrera per "la Stampa"
caporedattore finanziario del Wall Street Journal.

La Statua della Libertà è in cattività. Da quando il governo americano ha chiuso i battenti martedì, la "Lady Liberty" - il nomignolo affettuoso datole dai newyorchesi - è in isolamento nella baia di Manhattan. Senza fondi federali, né turisti né impiegati dei parchi nazionali la possono visitare. Il simbolo della democrazia americana, del «governo della gente per la gente», come disse Abraham Lincoln, è stata abbandonata a se stessa da un Congresso impelagato in squallide beghe politiche e da un Presidente che non le sa risolvere.

Tesori nazionali come la Statua della Libertà - e il parco di Yellowstone, il fantastico museo dello Smithsonian a Washington e il Mount Rushmore con le facce dei Presidenti scolpite nella pietra - sono chiusi come se fossero una pompa di benzina fuori turno o un negozietto di periferia: «Torno subito. O quando i repubblicani e i democrati ci si mettono d'accordo». La politica con la «p» minuscola non è prerogativa esclusiva degli Usa - basta guardare alla settimana del brivido che ha passato il go verno italiano.

Ma il gioco delle tre carte a Montecitorio è cosa normale e ricorrente. Lo «shutdown», la serrata forzata del governo Usa, non si vedeva da 17 anni quando alla Casa Bianca c'era Bill Clinton e al Congresso Newt Gingrich. In quest'occasione storica, vale la pena andare al di là dei potenti simboli del l'impotenza del governo americano e guardare all'economia reale, all'America degli investitori e del lavoro, al settore privato che non chiude mai i battenti. Come spesso accade, i mercati sono lo specchio, un po' distorto ma non completamente sballato, dell'economia americana. Parlando con operatori e banchieri, le storie che si sentono sono abbastanza sorprendenti. Per il momento, ai mercati lo «shutdown» interessa poco.

Qualcuno teme che il governo americano possa smettere di pagare i suoi (enormi) debiti. Ma sono paure a lungo termine temperate dal fatto che sembra impensabile che il Congresso, persino questo Congresso, sia così stupido da far fallire l'America. Ed è vero che la latitanza del governo priverà gli investitori di dati economici quali i numeri sulla disoccupazione, che dovevano uscire venerdì ma sono stati ritardati dalle vacanze forzate degli statistici del Tesoro. Ma quando ho chiesto ad un signore di Wall Street quale fosse la sua principale preoccupazione questa settimana mi ha risposto con una parola sola: «Twitter».

E' una parola che non esisteva nemmeno l'ultima volta che il governo americano ha chiuso ma che ora è sulla bocca di tutti. Per il mio interlocutore, la cosa più importante è lavorare sull'offerta pubblica di acquisto del «social network» che sta rivoluzionando il mondo della comunicazione e della pubblicità. Non i casini di Washington, i dati sulla disoccupazione o la chiusura di Yellowstone.

Come mi ha detto un altro finanziere: «Se non lo riesci a dire in 140 caratteri, non mi interessa» (il che, diciamolo chiaramente, è po' un problema per un giornalista...). Per il mondo della finanza e, forse anche dell'economia reale, l'imminente arrivo di Twitter, con i suoi 220 milioni di utenti, sul mercato azionario è un momento più storico della paralisi governativa. Giovedì sera, quando Twitter ha rilasciato i suoi dati finanziari, i mercati erano in brodo di giuggiole. L'isteria di investitori e banchieri sull'Opa da un miliardo di dollari di Twitter non è, ovviamente, una rappresentazione completa dell'umore del grande pubblico americano.

Ma è un simbolo da contrapporre alla solitudine malinconica di Lady Liberty. Il governo chiude, la vita continua. E continua nelle autostrade digitali di un'economia che si sa reinventare ed adattare con incredibile facilità. Twitter è nato nel 2006, Facebook due anni prima. Persino Google, che sembra essere stato con noi da sempre, non esisteva quando Bill e Newt litigavano sul budget nel 1996.

Le beghe washingtoniane hanno spin to editorialisti e bloggers a scrivere necrologi del sogno americano. Ma le Cassandre stanno guardando nel posto sbagliato. Sono decenni che il sogno americano non vive nella capitale ma a Silicon Valley, nei dormitori universitari e nelle menti fervide e fameliche degli immigranti messicani, cinesi ed indiani, con o senza dottorato, che ancora vedono l'America come la terra promessa. La vera rivelazione dello «shutdown» è che non è tanto importante.

Che il governo federale - un'istituzione che molti americani ve dono con sospetto e diffidenza - non è fonda mentale al funzionamento del paese. Lo zio Sam deve preoccuparsi dei servizi essenziali - aeroporti ed ospedali, tasse e polizia - ma al resto ci pensa l'individualismo, de terminazione ed egoismo di un paese il cui motto è «e pluribus unum» - da molti, uno. Si può discutere se di solo Twitter vive l'uomo (e la donna).

Se l'economia più gran de del pianeta può sorreggersi su pilastri virtuali, sempre più servizi e sempre meno industrie pesanti. Ma anche quello è un di battito falso. Proprio questa settimana, il Wall Street Journal ha calcolato che gli Stati Uniti sono diventati il più grande produttore al mondo di petrolio e gas naturale, superando la Russia. Il boom dell'olio e gas di scisto sta tra sformando e rivitalizzando settori industriali che avevamo dichiarato morti anni fa.

A migliaia di chilometri da Silicon Valley - in aree che erano state depresse da anni ingegneri, operai ed imprenditori sono nel mezzo di una nuova rivoluzione industriale che non ha limiti di caratteri. L'America di oggi assomiglia molto al l'Italia di sempre. Un paese pieno di risorse, problemi e contraddizioni che tenta di funzionare non attraverso il governo ma a dispetto del governo. Il Presidente e i leader del Congresso dovrebbero riflettere su ciò, almeno fino a quando non riaprono la Statua della Libertà.


2. VERTICI CANCELLATI IN ASIA E EUROPA USA, DIMEZZATA ANCHE LA DIPLOMAZIA
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

«Ai nostri amici e alleati nel mondo dico: non scambiate gli episodi di questi giorni della politica americana per nulla di diverso dalle difficoltà momentanee di un sistema. Appena ci saremo messi alle spalle questa parentesi di stupidità politica, torneremo sui binari che ci hanno fin qui garantito il rispetto del mondo».

A Bali per il vertice economico dei Paesi asiatici al posto del presidente Obama, bloccato a Washington dallo shutdown del governo federale (ormai al sesto giorno), il segretario di Stato, John Kerry, ha sentito il bisogno di rassicurare così gli alleati degli Stati Uniti. Soprattutto quelli del Sud-Est asiatico e delle regioni bagnate dal Pacifico (Corea, Taiwan, Giappone Filippine e altri) che dipendono dall'«ombrello» americano per la loro sicurezza e che assistono con crescente sconcerto e viva preoccupazione alle convulsioni che paralizzano Washington.

Kerry garantisce che gli Usa continueranno ad adempiere alle loro responsabilità anche in questo periodo di parziale blocco amministrativo, ma le sue parole sembrano più un «cerotto» diplomatico appiccicato sulle lacerazioni dell'immagine dell'America che un discorso capace di resistere alla ricerca di riscontri sostanziali: la realtà è che, con l'Amministrazione semiparalizzata, si è fermato il negoziato commerciale transatlantico (il «round» della trattativa Usa-Ue che doveva iniziare la prossima settimana a Bruxelles è stato cancellato).

Inoltre, rinunciando al viaggio asiatico (visita ai Paesi alleati e partecipazione ai due più importanti vertici economici e politici dell'anno, quelli dell'Apec e dell'Asean) Obama si è preclusa la possibilità di dare una spinta decisiva alla Trans-Pacific Partnership, l'alleanza commerciale degli Usa con 13 Paesi dell'area dalla quale è stata esclusa la Cina.

Pechino ringrazia. Cina e Russia saranno ai due vertici di Bali e nel sultanato del Brunei coi loro presidenti, gli Usa solo con un ministro: ai partner, già da tempo nervosi per il ridimensionamento della presenza e dell'influenza americana nel mondo, giudicare se queste sono davvero solo problemi momentanei.

Non la pensa così, ad esempio, il presidente del Council on Foreign Relations, Richard Haas: «Il cattivo funzionamento delle istituzioni politiche americane sta diventando la più grande minaccia alla nostra sicurezza nazionale». Per Haas il problema non è solo lo shutdown che, prima o poi, rientrerà: il problema vero è la crescente ingovernabilità di un sistema politico nel quale un Congresso spaccato è in guerra permanente con la Casa Bianca mentre nessuno si preoccupa di contrastare la bolla di neoisolazionismo che cresce nelle rappresentanze parlamentari dei due partiti e nel Paese.

«Non è questo il modo di governare un Paese», tantomeno la superpotenza mondiale la cui stabilità è essenziale, tuona nel suo editoriale d'apertura l'Economist che accusa i repubblicani: «Bloccano il governo non perché contrari al suo bilancio, ma perché vogliono sconfiggere Obama su un terreno completamente diverso». Se la spuntassero «si creerebbe un precedente che rischierebbe di rendere l'America davvero ingovernabile».

«Il danno principale è la perdita di credibilità e anche di prevedibilità dell'America» aggiunge Haas: «Un Paese è una grande potenza solo se si può prevedere come si comporterà. E noi stiamo diventando imprevedibili». Il capo del Council aggiunge qualche esempio: «Non sono sicuro che, se gli Usa sigleranno un trattato commerciale con la Ue o i Paesi asiatici o se raggiungeremo un accordo sul nucleare con l'Iran, il Congresso ratificherà queste intese».

«Colpa di chi in Congresso fa la politica della terra bruciata anziché cercare un terreno comune d'intera» sostiene l'ex segretario di Stato Hillary Clinton (e possibile candidato alla Casa Bianca 2016: «Comincerò a pensarci seriamente - ha detto due giorni fa - tra un anno»).

Mentre la Camera, in un raro momento di concordia, ieri mattina ha votato all'unanimità una leggina che consente di pagare lo stipendio anche agli 800 mila dipendenti pubblici rimasti a casa per effetto dello shutdown. E il Pentagono ha annunciato che da domani richiamerà al lavoro la maggior parte dei 400 mila dipendenti civili.

 

 

STATI UNITI - SHUTDOWN DEL GOVERNOSHUTDOWN images shutdown JOHN KERRY OBAMAJACK DORSEY TWITTER ANNUNCIA LA QUOTAZIONE IN BORSATWITTER PUBBLICITa BARACK OBAMA E VLADIMIR PUTINBarack Obama e Xi Jinping si incontrano a Sunnylandsxi jinping sulla copertina dell economistHILLARY CLINTON BOTOXATA PREMIA GLI STILISTI

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