ARIECCOLO! - LA MOVIMENTATA STORIA DEL PRESIDENTE DELL’ILVA BRUNO FERRANTE - 65 ANNI, E UNA VITA PASSATA A CAMBIARE RUOLI E CASACCHE: DALLA LEGA AL CENTROSINISTRA, DALLA POLIZIA ALLE ELEZIONI COMUNALI DI MILANO, DAL MINISTERO DELL’INTERNO AL FIBE, FINO AL RITORNO NELLA SUA PUGLIA - UNA CARRIERA COSTELLATA DI BUONE AMICIZIE FRA POLITICI E IMPRENDITORI - COSSIGA DICEVA DI LUI: “PUÒ FARE DI TUTTO, ECCETTO IL PAPA”, MA RATZINGER COMINCIA A TEMERLO…

Maurizio Tortorella per "Panorama"

Quando nel novembre 2005, da prefetto di Milano, aveva inopinatamente deciso di candidarsi per il centrosinistra a sindaco della città, Francesco Cossiga aveva detto di lui: «Bruno Ferrante è stato mio giovane collaboratore quando ero ministro dell'Interno. Lo conosco bene: può fare di tutto, eccetto il Papa».

Aveva ragione, l'ex capo dello Stato, visto che in effetti Ferrante a 65 anni può dire di avere fatto quasi tutto. Da un mese, con l'ultima delle sue sette vite, è a capo dell'Ilva: all'arrivo dei primi avvisi di garanzia l'amica famiglia dei Riva, imprenditori dell'acciaio, lo ha chiamato al ruolo di «presidente di garanzia» per cercare di tamponare il disastro ecologico che a Taranto, contro l'azienda, ha scatenato arresti, sequestri, dissequestri e risequestri, e perfino il rischio di una dolorosa chiusura. Da leccese emigrato, a 65 anni, Ferrante torna così a muoversi in quella Puglia che da ragazzo gli stava tanto stretta. E grazie al clamore della polemica tarantina torna anche agli onori della cronaca.

Ma la sua carriera, dalla polizia all'alta burocrazia statale, dalla politica all'impresa privata, non si è fermata un solo istante. A Roma, al ministero dell'Interno, lo hanno battezzato «Rieccolo» proprio per la spiccata propensione allo sport del salto con rientro, ma anche per la capacità di passare da un campo professionale all'altro, da uno schieramento all'altro.

Al Viminale Ferrante entra nel 1973, fresco della laurea in legge presa a Pisa. Spedito come funzionario alla prefettura di Pavia, nel pieno di Tangentopoli stringe ottimi rapporti con la Lega Nord passando nel 1993 come commissario straordinario al Comune di Milano, travolto dagli arresti di Mani pulite, e lo traghetta nelle mani del primo sindaco leghista, Marco Formentini. Complici i buoni rapporti instaurati con il Carroccio, nell'agosto 1994 viene nominato vicecapo della Polizia dal nuovo ministro dell'Interno, Roberto Maroni.

La carriera accelera: nel giugno 1996 Ferrante diventa capo di gabinetto del successore di Maroni, Giorgio Napolitano, e nell'incarico resta per tutti i governi del centrosinistra, affiancando prima Rosa Russo Iervolino e poi Enzo Bianco. Dal Viminale porta via la sua mitica collezione di penne soltanto nel giugno 2000, per diventare prefetto di Milano. Nel 2001, con la vittoria del centrodestra, fa di tutto per diventare capo della Polizia al posto di Gianni De Gennaro, con il quale ingaggia una battaglia mediatica sul numero degli agenti da destinare alla città, in quel momento martoriata dalla criminalità.

«Mi tolgono uomini e autisti» si lamenta con i giornali: «Ho scritto al capo della polizia, ma non mi ha nemmeno risposto». Incontri, cene, relazioni: tutto mette in campo, Ferrante, per fare le scarpe all'avversario. Silvio Berlusconi racconterà poi di averlo incontrato più volte ad Arcore e di averne avuto piena garanzia di vicinanza politica. Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, ricorda di avere appoggiato la sua candidatura con l'allora ministro dell'Interno, Claudio Scajola: «Era praticamente cosa fatta» dice Albertini. «Poi scoppia un piccolo scandalo».

È il gennaio 2002. Una cronista della Repubblica, Liana Milella, è intercettata dalla Procura di Roma, che indaga su una presunta violazione del segreto istruttorio. Alcune telefonate fra la giornalista e Ferrante vengono pubblicate dall'agenzia di stampa Il Velino: contengono scambi oltremodo privati tra i due, e giudizi decisamente poco favorevoli al governo. Milella, sfoderando una foga garantista rinnegata in anni più recenti, protesta indignata per la «vergognosa violazione della privacy» e ottiene l'intervento del Garante e del Consiglio superiore della magistratura. Ferrante, invece, deve porre un freno alle ambizioni e adattarsi a restare alla prefettura milanese.

Proverà a vendicarsi tre anni dopo. Nel novembre 2005 si dimette e si candida sindaco di Milano per il centrosinistra di Romano Prodi. «Un po' ci stupimmo» racconta Riccardo De Corato, ex vicesindaco del Pdl, «perché Ferrante era sempre stato un prefetto moroteo: più che equilibrato, era un equilibrista. Era bravo. Ma consultava l'opposizione su qualunque nostra richiesta, non voleva esporsi su nulla».

Al contrario, Ferrante parte con una campagna elettorale dura e schierata. Prende posizione a favore degli immigrati e dei centri sociali, spara contro Umberto Bossi («Sto col centrosinistra perché non potevo stare con lui») e sulla Lega, che pure lo ha tanto agevolato. Affida alla penna dell'amico Angelo Maria Perrino un'autobiografia dove tira fuori il ricordo dell'anabasi dal Sud a Milano, a bordo della vecchia Fiat Cinquecento piena di libri, e addirittura la nostalgia per un improbabile eskimo da extraparlamentare.

Stravince le primarie contro Dario Fo, che nella foga della competizione a sinistra gli dà del «questurino», e nel maggio 2006 sfida Letizia Moratti con toni accesi: «Vi chiedo un voto» arringa dal palco «contro la padrona di Milano».

I voti non glieli danno. Ferrante perde arrestandosi al 47 per cento. Per pochi mesi siede in consiglio comunale. Ma scalpita. Prodi gli promette la candidatura alle prime suppletive, e un sicuro seggio in Parlamento, che però non arrivano. Alla fine, nel gennaio 2007, il premier del centrosinistra lo compensa nominandolo personalmente Alto commissario contro la corruzione. Ferrante torna a Roma, al Viminale, e dichiara la sua guerra alle mazzette. Tuona: «Occorre svegliare le coscienze». Il 10 luglio è già stanco: «Questa è soltanto una scatola vuota» proclama «che non può funzionare».

Due giorni dopo un altro amico imprenditore, Salvatore Ligresti, gli affida la presidenza della Fibe, la società controllata dall'Impregilo che in Campania dovrebbe creare due termovalorizzatori e gestire i complessi e criminogeni appalti della gestione dei rifiuti. «Ferrante porterà un contributo di chiarezza e professionalità» annuncia l'azienda.

Il problema è che proprio l'Impregilo è al centro di un'inchiesta per il business dei rifiuti campani. I deputati radicali sono i soli a notarlo: «È inaccettabile» protestano «che l'Alto commissario anticorruzione diventi il presidente di una società cui la Procura di Napoli ha appena inibito contratti con la pubblica amministrazione. Da controllore a controllato, senza soluzione di continuità». Ma nulla accade.

A questo punto la storia di Ferrante s'inabissa, come un sottomarino. L'uomo scompare dalle cronache: a Napoli non si sa che cos'abbia fatto, né quanto sia restato, ma sta di fatto che sono passati cinque anni e l'emergenza rifiuti è sempre lì. Nel 2008, a sorpresa, qualcuno ipotizza il suo nome per la presidenza dell'Expo di Milano, ma la Lega al governo della città lo blocca: «C'è decisamente di meglio» borbotta Maroni.

Nel dicembre scorso il governo dei tecnici offre a «Rieccolo» l'ultimo ritorno al Viminale. C'è chi ipotizza un intervento diretto del Quirinale: sta di fatto che Anna Maria Cancellieri sale al ministero dell'Interno e poco dopo chiama Ferrante come «consulente alla programmazione strategica». Nemmeno 6 mesi e arriva l'offerta dell'Ilva, che a Taranto affoga nel disastro ambientale delle sue stesse emissioni: 12 mila operai, 237 tumori maligni, mille ricoveri per patologie respiratorie, un'apocalisse giudiziaria. «Conosco Emilio Riva da tanti anni» spiega l'ex prefetto: «Trovo giusto dargli una mano in un momento difficile». E parte per la Puglia, verso l'ultima avventura, imboccando la settima vita.

Il vecchio Cossiga aveva ragione: Ferrante potrebbe fare di tutto, eccetto il Papa. Ma a Roma Joseph Ratzinger, un poco, comincia a preoccuparsi.

 

lapresse bruno ferranteBruno Ferrantemaroni martini SILVIO BERLUSCONI CLAUDIO SCAJOLA jonella e salvatore ligrestiI MINISTRI SEVERINO E CANCELLIERIEMILIO RIVA COL FIGLIO FABIO

Ultimi Dagoreport

consiglio supremo difesa mattarella meloni fazzolari bignami

DAGOREPORT - CRONACA DI UN COMPLOTTO CHE NON C’È: FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, CONSIGLIERE DEL QUIRINALE, SI SARÀ ANCHE FATTO SCAPPARE UNA RIFLESSIONE SULLE DINAMICHE DELLA POLITICA ITALIANA IN VISTA DELLE ELEZIONI 2027. MA BELPIETRO HA MONTATO LA PANNA, UTILE A VENDERE QUALCHE COPIA IN PIÙ E A DARE UN ASSIST A FRATELLI D’ITALIA, SEMPRE PRONTA ALLA LAGNA VITTIMISTA – A QUEL TORDO DI GALEAZZO BIGNAMI È SCAPPATA LA FRIZIONE. E DOPO IL SUO ATTACCO AL COLLE, IL SOLITAMENTE CAUTO GIOVANBATTISTA FAZZOLARI È INTERVENUTO PRECIPITOSAMENTE PER SALVARGLI LA FACCIA (E LE APPARENZE CON IL COLLE) - BELPIETRO ESONDA: "ISTITUZIONALMENTE SCORRETTA LA REPLICA DEL QUIRINALE"

alessandra smerilli riccardo campisi alessandra smerilli papa leone xiv

DAGOREPORT - CHI POTRÀ AIUTARE PAPA PREVOST A RIPIANARE IL DEFICIT ECONOMICO DELLA SANTA SEDE? - LEONE XIV EREDITA DA BERGOGLIO UNA COMMISSIONE PER LA RACCOLTA FONDI PER LE CASSE DEL VATICANO, PRESIEDUTA DA MONSIGNOR ROBERTO CAMPISI E IN CUI C’E’ ANCHE LA SUORA ECONOMISTA ALESSANDRA SMERILLI – I DUE HANNO UNA FREQUENTAZIONE TALMENTE ESIBITA DA FARLI DEFINIRE LA “STRANA COPPIA”. SONO ENTRAMBI AMANTI DELLO SPORT, DELLE PASSEGGIATE, DEI VIAGGI, DEL NUOTO IN ALCUNE PISCINE ROMANE ED ANCHE NEL MARE DI VASTO, DOVE SPESSO I DUE SONO VISTI IN VACANZA - LA SALESIANA SMERILLI, IN TEORIA TENUTA A VIVERE IN UNA COMUNITÀ DELLA SUA CONGREGAZIONE, VIVE IN UN LUSSUOSO APPARTAMENTO A PALAZZO SAN CALLISTO, DOVE LA SERA È DI CASA MONSIGNOR CAMPISI, SPESSO CON ALTRI OSPITI ATTOVAGLIATI AL SUO TAVOLO…

nicola colabianchi beatrice venezi alessandro giuli gianmarco mazzi

FLASH! - DA ROMA SALGONO LE PRESSIONI PER CONVINCERE BEATRICE VENEZI A DIMETTERSI DA DIRETTORE DELL’ORCHESTRA DEL VENEZIANO TEATRO LA FENICE, VISTO CHE IL SOVRINTENDENTE NICOLA COLABIANCHI NON CI PENSA PROPRIO ALLE PROPRIE DIMISSIONI, CHE FAREBBERO DECADERE TUTTE LE CARICHE DEL TEATRO – ALLA RICHIESTA DI SLOGGIARE, SENZA OTTENERE IN CAMBIO UN ALTRO POSTO, L’EX PIANISTA DEGLI ANTICHI RICEVIMENTI DI DONNA ASSUNTA ALMIRANTE AVREBBE REPLICATO DI AVER FATTO NIENT’ALTRO, METTENDO SUL PODIO LA “BACCHETTA NERA”, CHE ESEGUIRE IL “SUGGERIMENTO” DI GIULI E CAMERATI ROMANI. DUNQUE, LA VENEZI E’ UN VOSTRO ‘’PROBLEMA”…

emmanuel macron giorgia meloni volodymyr zelensky vladimir putin

DAGOREPORT – MACRON E MELONI QUESTA VOLTA SONO ALLEATI: ENTRAMBI SI OPPONGONO ALL’USO DEGLI ASSET RUSSI CONGELATI IN EUROPA, MA PER RAGIONI DIVERSE. SE IL TOYBOY DELL’ELISEO NE FA UNA QUESTIONE DI DIRITTO (TEME LE RIPERCUSSIONI PER LE AZIENDE FRANCESI, IL CROLLO DELLA CREDIBILITÀ DEGLI INVESTIMENTI UE E IL RISCHIO DI SEQUESTRI FUTURI DI CAPITALI EUROPEI), PER LA DUCETTA È UNA QUESTIONE SOLO POLITICA. LA SORA GIORGIA NON VUOLE SCOPRIRSI A DESTRA, LASCIANDO CAMPO A SALVINI – CON LE REGIONALI TRA CINQUE GIORNI, IL TEMA UCRAINA NON DEVE DIVENTARE PRIORITARIO IN CAMPAGNA ELETTORALE: LA QUESTIONE ARMI VA RIMANDATA (PER QUESTO ZELENSKY NON VISITA ROMA, E CROSETTO NON È ANDATO A WASHINGTON)

giorgia meloni matteo salvini elly schlein luca zaia

DAGOREPORT - C’È UN ENORME NON DETTO INTORNO ALLE REGIONALI IN VENETO E CAMPANIA, E RIGUARDA LE AMBIZIONI DI ZAIA E DE LUCA DI...RIPRENDERSI LA GUIDA DELLE RISPETTIVE REGIONI! - NULLA VIETA AL “DOGE” E ALLO SCERIFFO DI SALERNO DI RICANDIDARSI, DOPO AVER “SALTATO” UN GIRO (GLI ERA VIETATO IL TERZO MANDATO CONSECUTIVO) – IN CAMPANIA PER DE LUCA SAREBBE UN GIOCO DA RAGAZZI: GLI BASTEREBBERO 5-6 CONSIGLIERI FEDELISSIMI PER TENERE PER LE PALLE FICO E POI FARLO CADERE PER RICANDIDARSI. IDEM PER IL "DOGE", CHE PERO' NON AVRA' DALLA SUA UNA LISTA DI "SUOI" CANDIDATI - A CONTARE SARANNO I VOTI RACCOLTI DAI SINGOLI PARTITI NECESSARI A "PESARSI" IN VISTA DELLE POLITICHE 2027: SE FRATELLI D’ITALIA SUPERASSE LA LEGA IN VENETO, CHE FINE FAREBBE SALVINI? E SE IN CAMPANIA, FORZA ITALIA OTTENESSE UN RISULTATO MIGLIORE DI QUELLO DI LEGA E FRATELLI D'ITALIA, COME CAMBIEREBBERO GLI EQUILIBRI ALL'INTERNO DELLA COALIZIONE DI MAGGIORANZA?

edmondo cirielli giovambattista fazzolari giorgia meloni

DAGOREPORT - C’È UN MISTERO NEL GOVERNO ITALIANO: CHE “FAZZO” FA FAZZOLARI? – IL SOTTOSEGRETARIO ALL’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA FA IL TUTTOLOGO, TRANNE OCCUPARSI DELL’UNICA COSA CHE GLI COMPETE, CIOE' L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA - SI INDUSTRIA CON LE NOMINE, SI OCCUPA DI QUERELE TEMERARIE AI GIORNALISTI (NEL SENSO CHE LE FA), METTE IL NASO SULLE VICENDE RAI, MA NON FA NIENTE PER PLACARE GLI SCAZZI NEL CENTRODESTRA, DOVE SI LITIGA SU TUTTO, DALL'UCRAINA ALLA POLITICA ECONOMICA FINO ALLE REGIONALI – LO SHOW TRASH IN CAMPANIA E EDMONDO CIRIELLI IN VERSIONE ACHILLE LAURO: L’ULTIMA PROPOSTA? IL CONDONO…