tifosi del wisla cracovia in curva con i laziali

1. L’INTERNAZIONALE NERA DEL TIFO AL DERBY DI ROMA, GLI ULTRÀ COME I BLACK BLOC 2. LUNEDI' SERA L’ICONA DELLO STADIO OLIMPICO ERANO I SESSANTA SHARKS HOOLIGANS POLACCHI DEL WISLA DI CRACOVIA, IMMORTALATI IN CURVA ACCANTO AI “FRATELLI” LAZIALI NEL PIÙ CLASSICO SALUTO FASCISTA

1 - QUEL LEGAME CON I POLACCHI NATO IN CARCERE

Matteo Pinci per “la Repubblica”

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C’erano italiani e polacchi, inglesi e bulgari, ma non è una barzelletta. Non c’è nulla da ridere in quella coalizione di neo fascisti arrivati da tutta Europa per tifare Lazio nel derby contro la Roma, e a cui sono state spalancate le porte dell’Olimpico. Una decina di inglesi del West Ham, trenta bulgari del Levski Sofia, sessanta polacchi del Wisla Cracovia, persino uno stendardo in rappresentanza dei terribili Ultras Sur del Real Madrid, per dire «siamo presenti» anche senza esserci: un filo nero lega le loro curve, una sorta di multinazionale del tifo violento accomunata dall’ideologia di ultra destra.

 

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L’icona della giornata sono i sessanta Sharks Hooligans del Wisla, prima in corteo per la città con il volto coperto e oggetti contundenti a portata di mano, poi immortalati in curva accanto ai “fratelli” laziali nel più classico saluto fascista, col braccio destro teso in favore di scatti da mostrare poi impunemente sulle pagine facebook del gruppo. Promettono in nome di questa nuova alleanza che «chiunque esponga i colori della Roma, verrà trattato come un fan del Cracovia», dunque come un nemico.

 

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Dichiarazioni di guerra rimaste tali soltanto perché i vari gruppi — a Roma da un paio di giorni — erano stati identificati e isolati per tempo, grazie alle segnalazioni arrivate alla prefettura dai paesi di provenienza. Tutti regolarmente “daspati” in casa propria ma liberi altrove di muoversi a piacimento, visto che il daspo europeo resta un’utopia. Avevano persino un regolare biglietto, acquistato per loro conto dagli ultrà della Lazio.

 

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 Il legame nacque ai tempi della detenzione a Varsavia di un gruppo di biancocelesti, a dicembre 2013: gli Sharks del Wisla diedero loro assistenza economica e il supporto dei propri legali. Stavolta hanno invece partecipato alle spese per la coreografia del derby, dopo che alcuni laziali — gli stessi che abitualmente popolano le stracittadine di Madrid e di Sofia accanto alle tifoserie gemellate di Real e Levski — avevano aperto il sodalizio ideologico-sportivo andando ospiti a Cracovia, ad aprile.

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Gli hooligans polacchi hanno restituito la cortesia partecipando agli scontri del derby romano — si attendono nuovi arresti grazie alle immagini in possesso delle forze dell’ordine — e lanciando bottiglie contro la polizia. Non agli accoltellamenti, però. E sarebbe andata anche peggio se alla vigilia la Digos non ne avesse rispediti a casa sei, armati di pessime intenzioni.

 

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Ma la piaga è sempre più profonda, la linea nera del tifo lega sempre più piazze: gli ultrà romanisti, per restare nella capitale, sono gemellati con tifoserie violente come quelle di Panathinaikos e, da settembre, con i neonazisti del Cska Mosca, con cui si scontrarono prima e a cui poi dopo l’arresto offrirono l’assistenza dei loro avvocati. A Torino i Viking juventini hanno legami di fratellanza con il Den Haag e il Legia Varsavia, focolai di estrema destra, stesso rapporto e stesso colore che lega la curva del Verona agli Ultras Sur del Real, o quella milanista ai “grobari”, violentissimi nazionalisti del Partizan Belgrado.

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A livello istituzionale si studiano contromisure all’invasione hooligans: da ieri si è iniziato a discutere sull’opportunità di vietare la vendita di biglietti nelle partite più a rischio ai residenti all’estero, misura però sostanzialmente inattuabile. Basterebbe, chissà, vietarne l’ingresso alla frontiera, come persone non gradite. Intanto, restano i cocci di un altro derby da cronaca nera.

 

2 - “È L’INTERNAZIONALE NERA DEL TIFO, GLI ULTRÀ SI SCAMBIANO FAVORI, MUOVENDOSI COME I BLACK BLOC”

Paolo Berizzi per “la Repubblica”

 

«Le saldature internazionali tra ultrà sono un fenomeno antico. Che adesso viene a galla in tutta la sua complessità. E che ci interroga. Anche perché è destinato a allargarsi».

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Maurizio Marinelli, docente di Sociologia dello Sport all’Università di Brescia e direttore del Centro studi della polizia: può spiegarci quei 350 tifosi stranieri “ospiti” dei laziali al derby?

«E’ l’ultima versione della sindrome del beduino: il nemico del mio amico è mio nemico. Una logica che imperversa da anni nel mondo degli ultrà del calcio. Quei tifosi polacchi, bulgari e inglesi sono gemellati coi laziali. Li hanno “invitati alla partita”. Se poi ci sono gli incidenti, tanto meglio ».

 

Non sono pochi 350 ultrà stranieri in una curva italiana.

«Affatto. Il numero parla. Si spostano di lunedì. Per una partita che si gioca di pomeriggio. Oggi basta un invito in internet e si muovono in 120 dalla Polonia».

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A dare manforte. O no?

«Certo. E’ una forma di appartenenza trasversale. Amici dei laziali uguale nemici dei romanisti. Vale anche per le frange più dure dei West Ham. Il collante del gemellaggio, in quello che abbiamo visto all’Olimpico, è la politica ».

 

Tifoserie nere?

«Da sempre la curva laziale, fortemente politicizzata e vicina alla destra radicale, stringe alleanze con altre tifoserie nere. Prima gli amici erano gli ultrà di Inter e Verona. Adesso si sono aggiunti gli stranieri: i polacchi del Wisla, gli inglesi del West Ham, i bulgari che negli ultimi anni hanno fatto vedere le peggio cose».

 

Quanto pesa, davvero, la politica in queste alleanze oltre confine?

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«Diciamo subito che non esistendo più i confini, le frontiere, i tifosi più duri sono facilitati negli spostamenti. I controlli sono blandi se non, in alcuni casi, impossibili da fare. La politica conta. In Italia gli ultrà stanno cercando di rendersi sempre meno riconoscibili e tracciabili. A questo scopo rompono, in apparenza, i fili che li riconducono e li associano a movimenti politici. Ma con l’estero il discorso è diverso. L’internazionale nera del tifo esiste, e lunedì si è visto».

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Come è possibile prevedere flussi e “infiltrazioni” di ultrà di squadre straniere?

«Le polizie devono parlarsi, ci vuole un’attività di penetrazione e di informazione massiccia. Prendiamo l’Italia: le “squadre stadio” delle questure fanno un buon lavoro. Con gli altri Paesi a volte lo scambio di informazioni è meno fluido. Gli incidenti di lunedì erano pianificati. Sono avvenuti un’ora o due prima della partita, e dopo. Poteva finire molto peggio. E magari scoprivamo che i danni li avevano fatti anche gli inglesi o i polacchi. Questi si muovono all’ultimo. Arrivano in città a ridosso della partita. Come fanno i black bloc alle manifestazioni ».

 

Si spostano solo per partite a rischio incidenti?

«Soprattutto. Il derby di Roma ormai è sempre a rischio. E’ “scritto”. E’ l’unico derby italiano che crea problemi di ordine pubblico. 1.700 agenti sono un esercito. L’hooligan inglese o polacco viene a sostenere la Lazio ma sa che quella partita può prevedere un anticipo o una coda di scontri con la polizia o coi romanisti ».

 

scontri nel derby lazio romascontri nel derby lazio roma

Perché i gemellaggi internazionali sono un fenomeno in crescita?

«Gli ultrà cercano sponde tra di loro. Si uniscono per avere più forza negli scontri. Anche contro le forze dell’ordine. Il fenomeno è iniziato dieci anni fa, in sordina. Prima erano pochi casi, legati più che altro a amicizie e rapporti personali. Poi è diventato mano a mano un fenomeno più sistematico, ormai direi quasi strutturale. Anche gli ultrà vanno all’estero e si uniscono a tifoserie gemellate. Si scambiano favori, rinforzano le truppe, come dei piccoli eserciti».

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