
“SONO CRESCIUTO A POGGIOREALE, DOVE LA CRIMINALITÀ RECLUTAVA RAGAZZINI PROMETTENDO SOLDI FACILI. MA IO HO PENSATO SOLO ALLA BOXE” – L’EX PUGILE NAPOLETANO PATRIZIO OLIVA, CAMPIONE OLIMPICO A MOSCA: “MIO PADRE BEVEVA E PICCHIAVA MIA MADRE. MIO FRATELLO MORÌ PER UN TUMORE A 15 ANNI, GLI GIURAI CHE SAREI DIVENTATO UN CAMPIONE" - "OGGI VEDO UN DEGRADO GENERAZIONALE PREOCCUPANTE, QUANDO INVECE CI SAREBBE BISOGNO DI GIOVANI FORTI. LA VITA NON È AVERE 10 MILA FOLLOWER: SUI SOCIAL MI SCRIVONO CERTI COGLIONI...” - VIDEO
Luigi Panella per la Repubblica - Estratti del 30 marzo 2024
“Mi rispetto, continuo ad allenarmi. Non mi piace chi si lascia andare dopo aver chiuso la carriera”. Patrizio Oliva ha detto basta con il pugilato a 32 anni. Ora che ne ha 65, può ancora permettersi di salire sul palco di un teatro interpretando se stesso e sfoggiando un fisico da peso welter. In “Patrizio vs Oliva”, una delle tante escursioni nello spettacolo del mito della boxe. “Nel mondo del teatro ci sto da tanto tempo, un po’ come tutti sono cresciuto nel mito del grande Eduardo. Nel 2015 ho interpretato Pulcinella al Piccolo Eliseo, c’era talmente tanta richiesta che abbiamo dovuto aumentare le repliche. Ultimamente ho partecipato anche al film The Cage, con Valeria Solarino”.
Però è in Patrizio vs Oliva che lei si è messo a nudo.
“Sì, non a caso è un lavoro tratto dalla mia biografia, ‘Sparviero’, scritta da mio nipote Rocco”.
Sembra che riviva le sofferenze del passato come fossero attuali.
“Cerco di dare un messaggio positivo attraverso le vite parallele di un uomo e di un pugile. Senza sofferenza e lavoro non si ottiene niente”.
Lei ha avuto una infanzia difficile.
“Ho conosciuto il disagio vero. Mio padre era stato reso violento dalla guerra, ma anche dalla traversie di una vita che era stata difficile anche in precedenza. Dopo la morte di mio fratello si era messo anche a bere ma, cosa ben peggiore, picchiava mia madre. Lei era una donna eccezionale. Nonostante tutto ha saputo indicare a 7 figli la strada giusta, e riuscirci in una realtà come quella di Poggioreale non era facile. C’era tanta povertà e soprattutto tanta criminalità, pronta in ogni angolo a reclutare ragazzini promettendo soldi facili”.
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Ha mai tentennato di fronte al guadagno facile?
“Mai, io pensavo solo alla boxe. Mi facevo quindici chilometri a piedi ogni giorno per andare e tornare dai Quartieri Spagnoli, alla palestra Fulgor. E non mi sono mai stancato. Del resto mi guardavo allo specchio e mi proclamavo campione olimpico e mondiale, alimentavo il sogno”.
E poi aveva una promessa da mantenere.
“Uno dei miei fratelli ci lasciò a 15 anni per un tumore, gli avevo giurato che sarei diventato campione olimpico e mondiale. Lui giocava benissimo al calcio e venivano da tutto il circondario per vederlo. Poi iniziò ad avere problemi molto gravi ad una gamba, gli fu amputata. Dopo qualche mese se ne andò”.
Una vita come la sua può essere un esempio per i giovani d’oggi.
“Purtroppo però vedo un degrado generazionale preoccupante, quando invece ci sarebbe bisogno di giovani forti. Ma non forza come inno alla virilità, ma capacità di accettare le proprie e soprattutto le debolezze altrui”.
Una cosa che vorrebbe dire loro.
“Che avere diecimila follower o ventimila mi piace ad un post, non fa la grandezza di una persona. La vita reale non è questa”.
E’ stato campione olimpico da dilettante e mondiale da professionista, a quale titolo lega il ricordo più bello?
“A nessuno dei due. Il ricordo più bello è legato al primo match da principiante. Ancora sento quell’odore particolare di chiuso, l’umido della palestra…”.
Almeno un match più bello ce lo potrà indicare?
“Ce ne sono stati tanti. Ho fatto 155 incontri tra dilettanti e professionisti e ho perso solo 5 volte. Comunque scelgo il match con Ubaldo Sacco, quando conquistai il mondiale a Montecarlo. Una battaglia, oltre alla tecnica servì il cuore”.
Parla di cuore, sembra l’ennesima risposta a chi la criticava…
“Dal primo match da dilettante fino alla seconda difesa del mondiale non ho ricevuto un conteggio. Queste sono le migliori risposte ai critici. Con Martinese ho vinto di 13 punti e alla vigilia dicevamo che mi avrebbe battuto. Ho dominato Gimenez che l’anno prima aveva fatto il mondiale perdendo di poco ma dicevano che era vecchio…"
Insomma, ce l’avevano tutti con lei?
“Ma no, solo una metà. La boxe degli anni Ottanta in Italia andava fortissimo, c’erano manager e sponsor straordinari. La Totip di Umberto Branchini e La Fernet Branca di Rocco Agostino. Io stavo con quest’ultima, e i giornalisti Totip se potevano parlare male di me lo facevano”.
Il tempo comunque ha messo tutti d’accordo.
“Mica tanto, ancora sui social mi scrivono cose che non stanno né in cielo né in terra. All’inizio rispondevo in modo forbito, ma sto cambiando metodo. Quando qualcuno esagera parto con un ‘ascolta coglione’…”
Che tempi quando l’Italia aveva Oliva e La Rocca. Un bel dualismo.
“Ma quale dualismo. I giornali si divertivano a parlare di un incontro tra noi, ma non c’era niente di vero. Con La Rocca non ho mai fatto nemmeno una ripresa di sparring. Lo chiedevo a Rocco. Fammici fare almeno tre minuti e lui rispondeva con la classica voce roca ‘vaffanculo stronzo’. Lo sapeva che per La Rocca sarebbe stato un bel problema e lo proteggeva…”.
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