bettiol bugno

“VISTO CHE HO FATTO? NON AVEVO MAI VINTO” – LE LACRIME DI ALBERTO BETTIOL AL TELEFONO CON LA FIDANZATA DOPO IL TRIONFO AL GIRO DELLE FIANDRE – LA CORSA TORNA ITALIANA 12 ANNI DOPO L’IMPRESA DI BALLAN - BUGNO RICORDA L’EPICA VITTORIA AL FOTOFINISH SU MUSEEUW AL GIRO DELLE FIANDRE DI 25 ANNI FA – E POI PARLA DI INDURAIN, PRODI, CHIAPPUCCI (‘NON MI STAVA ANTIPATICO’), ARMSTRONG - VIDEO

 

Luca Gialanella per gazzetta.it

 

alberto bettiol

Alberto Bettiol ha vinto il Giro delle Fiandre numero 103, la seconda delle cinque classiche monumento del ciclismo, 267 km da Anversa a Oudenaarde. Una impresa straordinaria quella del 25enne toscano della Education First, che ha sferrato il suo attacco a 18 km dal traguardo, all’ultimo passaggio sul Vecchio Quaremont, e poi è riuscito ad arrivare da solo ad Oudenaarde ottenendo il primo successo in carriera. L’Italia così torna a trionfare nella Ronde dopo il successo del 2007 di Alessandro Ballan: è l’11° successo azzurro nella storia del Fiandre.

 

BETTIOL

Ciro Scognamiglio per gazzetta.it

 

Non avere mai vinto una gara da professionista e riuscirci in una domenica di inizio aprile al Giro delle Fiandre, uno dei Monumenti del ciclismo. Alberto Bettiol ci è riuscito a 25 anni e 160 giorni, nessuno vinceva la Ronde così giovane dal 2005, da quando Boonen trionfò a 24 anni e 170 giorni. Giustamente, il 25enne toscano della Ef è incredulo: “Ancora non ci credo, forse dovrà passare un po’ prima che realizzi quello che ho fatto, pensate che non avevo mai vinto...”.

 

 

alberto bettiol

PROFILO - Bettiol è professionista dal 2014, quando è passato con la Cannondale. E’ stato con il gruppo Cannondale fino al 2017, poi era passato nel 2018 alla Bmc prima di ritornare alla Ef nel 2019. Frenato in passato da diversi infortuni, il suo inizio di stagione era stato più che positivo: terzo nella tappa di Pomarance alla Tirreno-Adriatico, secondo nella crono conclusiva della corsa dei due mari a San Benedetto, era arrivato quarto il 29 marzo nella E3 BinckBank Classic, una delle prove più indicative in vista della Ronde.

 

 

BUGNO

 

Paolo Beltramin per corriere.it

 

bugno museeuw

Il 3 aprile 1994 è il giorno di Pasqua. Dopo il pranzo della festa, la voce familiare di Adriano De Zan racconta su Raitre il finale del Giro delle Fiandre. All’ultimo muro sono rimasti in quattro. A 250 metri dal traguardo nonni, genitori e figli si alzano in piedi davanti alla tivù: Gianni Bugno, il campione appena 30enne ma già dato per finito, con uno scatto impressionante ha staccato il padrone di casa, il super favorito Johan Museeuw. A 150 metri sembra fatta. Nessuno si accorge, però, che il mastino fiammingo non ha ancora mollato. A 100 metri sono già più vicini, a 50 hanno solo una ruota di differenza. A 10 Bugno smette di pedalare e alza le mani per esultare, e solo allora si rende conto che il rivale nel frattempo sta dando il colpo di reni. Una foto mostrerà il suo volto passare dalla gioia alla disperazione, nell’istante esatto in cui percepisce cosa sta succedendo. 

 

A fine gara nessuno sa ancora chi ha vinto. La tivù trasmette e ritrasmette il fotofinish, i giudici impiegano 10 lunghissimi minuti per decidere: la corsa, 268 chilometri di asfalto e pavé, viene assegnata a Bugno per appena un centimetro.

Ma quella volta, 25 anni fa, non poteva aspettare altri due secondi prima di festeggiare? 

indurain bugno chiappucci

«Io ero sicuro di avercela fatta. Avevo calcolato tutto, tranne che Johan si era messo nel lato coperto dal vento. Dopo il traguardo mi è crollato il mondo addosso. Perché nonostante le belle parole di de Coubertin, nello sport bisogna vincere, non basta partecipare. Per fortuna alla fine è andata bene».

 

A proposito di vittorie. Alla fine del Giro d’Italia del 1990, dove lei corse in maglia rosa dalla prima all’ultima tappa, Francesco Moser commentò: questo Bugno mi ricorda Eddy Merckx. Poi cosa è successo? 

«Eddy Merckx era il Cannibale: nei suoi anni vinceva sempre, avrebbe vinto contro di me, vincerebbe oggi. Io forse avrei potuto ottenere qualcosa in più, però qualche soddisfazione me la sono presa».

Dove conserva le venti, indimenticabili maglie rosa che ha indossato? 

«Non ho più niente di quegli anni, ho regalato tutto, comprese le bici. Alcune coppe che ho vinto da ragazzo, mia madre le usava per metterci i fiori. Non ho mai tenuto ai ricordi, non ho mai rivisto le mie gare su YouTube, preferisco guardare al futuro».

 

indurain bugno chiappucci

Durante il suo terribile Giro del 1993, Ettore Mo le dedicò gli ultimi versi dell’Iliade: «Questi furo gli estremi onor renduti al domatore di cavalli». E aggiunse: Omero tifava per Ettore, io per Bugno. 

«Posso dire che io ho lottato sempre a testa alta contro i più forti. Correvo in bici perché avevo un fuoco dentro, e non mi sento uno sconfitto».

Indurain era un semidio? 

«Per me non esistono semidèi. Ci sono gli uomini, e Dio. Miguel era umano e per questo poteva essere battuto, anche se io non ci sono riuscito».

Lei andava più d’accordo con lo spagnolo, il campione da attaccare, che con l’altro eterno sfidante, Claudio Chiappucci. 

SQUINZI E PRODI IN BICI SULLO STELVIO jpeg

«Miguel era un esempio per tutto il gruppo, sempre corretto, riusciva a vincere senza suscitare invidie. Ma non è vero che Claudio mi stava antipatico, pensi che ci sentiamo ancora. Abbiamo caratteri opposti: lui ha sempre cercato le luci della ribalta, lo spettacolo, io no. La semplice verità è che correvamo per squadre diverse, non potevamo non essere avversari».

 

Ha passato la vita agonistica a inseguire il sogno del Tour de France, senza mai riuscire a indossare la maglia gialla. È ancora convinto che il Tour sia meglio del Giro? 

ROMANO PRODI E GIORGIO SQUINZI IN BICI SULLO STELVIO

«Per niente. I francesi sono molto bravi a livello di immagine, ma la nostra corsa ha un fascino straordinario e un percorso stupendo. Per inciso, la mia vittoria al Giro non la cambierei con nessun’altra gara al mondo».

 

Chi le ha regalato la prima bici da corsa? 

«Mio papà, alle medie, perché ero stato promosso. Ricordo la nonna che alle prime gare mi diceva: stai attento a non farti male, vai piano… Non è che l’ascoltassi molto».

 

I suoi due figli hanno preferito il pallone alla bicicletta. Alessio, 28 anni, fa il calciatore di mestiere. Ma non è un’onta? 

ROMANO PRODI E GIORGIO SQUINZI IN BICI SULLO STELVIO

«Ma no, naturalmente li ho lasciati liberi di scegliere. Alessio gioca nella Pro Sesto e a volte vado allo stadio a vederlo, anche se non capisco bene le regole. Del resto, il pallone è un gioco, mentre il ciclismo è uno sport. C’è tutta la differenza del mondo. A calcio stai in 11 contro 11 per un’ora e mezza, al Giro d’Italia stai da solo in mezzo a un gruppo di 180 persone per 3.500 chilometri. Devi pensare a mille cose, ai compagni di squadra e agli avversari, al percorso e all’alimentazione: questa sì che è una scuola di vita».

 

BUGNO CHIAPPUCCI INDURAIN

Pochi giorni dopo le elezioni del 2006, Marco Beccaria in un saggio su «LeftWing» paragonò la vittoria al fotofinish di Romano Prodi su Berlusconi a quella sua al giro delle Fiandre del ‘94. La volta dopo gli sconfitti si presero entrambi la rivincita, Museeuw in fuga solitaria al Fiandre del 1995 e il Cavaliere alle elezioni anticipate del 2008. 

«Io e Prodi siamo andati in bici insieme qualche volta. Per lui ho una stima profonda: non solo come politico, ma perché è una persona semplice. Per usare un termine di moda: anche quando era alla guida del Paese, lui è rimasto davvero vicino al popolo, perché è così per natura».

 

Diversi ex campioni sportivi sono entrati in Parlamento. Ci ha mai pensato? 

«Quello che mi piacerebbe, se me lo chiedessero, sarebbe fare l’assessore nella mia città, Monza. Naturalmente vorrei occuparmi di sport. E di viabilità».

Ha già un programma? 

LANCE ARMSTRONG

«Sarebbe bello permettere più spesso ai giovani ciclisti di correre nell’autodromo. Ma soprattutto, io vorrei tornare a vedere i bambini che la mattina vanno a scuola in bici. Oggi nelle nostre città è impossibile, le strade non sono sicure».

 

Anche lei promette più piste ciclabili? 

«Le piste ciclabili in Italia non servono, perché sono fatte male, vengono puntualmente invase dai pedoni e si va troppo piano, perché c’è uno stop ogni 100 metri. La soluzione è l’educazione stradale, bisogna insegnare agli automobilisti che se vedono una bici non devono schivarla, ma frenare».

Ma è vero che al Giro del Messico del ‘93, l’autista ubriaco di un carro attrezzi tagliò la strada al gruppo, provocando decine di feriti, e il mite Gianni Bugno smontò dalla bici, lo andò a prendere e gli tirò un pugno? 

«Ricordo che un po’ di casino era successo… Del resto ero il corridore più autorevole del gruppo, dovevo prendermi le mie responsabilità».

 

Oggi lei è presidente dell’associazione mondiale corridori, cioè il sindacato di categoria. Quant’è lo stipendio minimo di un ciclista professionista? 

le vittorie di lance armstrong

«Trentamila euro l’anno. E le assicuro che sono sudati. Ammiro questi giovani, la loro passione».

Gianluigi Stanga, direttore tecnico della sua squadra per 7 anni, ha raccontato che con lei non ha mai dovuto trattare per un contratto: accettava a occhi chiusi ogni proposta di rinnovo. Ma allora correva davvero per amore, come Girardengo?

«All’epoca i procuratori non c’erano. E per me è sempre contata la parola data. È sempre bastata quella».

Da quando ha smesso di correre non ha messo su un chilo. Come si fa a passare dalle 7 mila calorie al giorno di un corridore al giro, alle 2 mila di una persona normale?

 

«Quando mi sono ritirato ho trovato un nuovo lavoro. Faccio molto sport, non amo andare a cena fuori, alla tv guardo solo il ciclismo; nel tempo libero mi piace leggere i giornali, soprattutto nell’edizione digitale».

Lance Armstrong

Un lavoro originale: il pilota di elicotteri. 

«A 34 anni non potevo vivere di rendita, e non avevo voglia di andare in giro a fare la vecchia gloria. Sono stato fortunato: dopo essermi dedicato per 22 anni a una mia passione, adesso da altri 23 mi dedico a un’altra attività che mi entusiasma. Sono due lavori difficili, per i quali devi fare le cose per bene; ci vogliono grinta, impegno quotidiano e devi essere anche un po’ folle. Fra una decina d’anni se tutto va bene aprirò il terzo capitolo della mia vita: andrò in pensione. E allora magari mi riposerò».

 

Ha letto il libro inchiesta «The program» sul sistema doping di Lance Armstrong? Ha visto il film che ne ha tratto Stephen Frears? 

«No, ma non posso rispondere su Armstrong senza dire chiaramente che per me era e resta un amico, anche se non lo vedo da tempo. È una persona che stimo, non voglio essere io a giudicarlo. Rispetto le leggi e le condanne che ha avuto. Ma vorrei ricordare che è un uomo che ha ammesso di aver sbagliato. E ha pagato a caro prezzo i suoi errori».

 

Francesco Moser

C’è chi sostiene che abbia distrutto questo sport. 

«Io penso che anche grazie ai suoi sbagli si è capito che non bisogna più sbagliare. Del resto, il problema del doping esiste in tutti gli sport. La differenza è che il ciclismo è l’unico che lo combatte seriamente».

Però non esiste doping in grado di far toccare il pallone come sa fare Messi. 

«Gliel’ho detto che il calcio non è uno sport, ma un gioco. È quasi solo una questione di tecnica, come la discesa nel ciclismo. Solo che nel ciclismo oltre alle discese ci sono le salite».

 

Anche lei è stato sospeso per tre mesi: eccesso di caffeina, prima di una corsa minore. 

francesco ignazio moser

«Da anni non è più una sostanza vietata, sfido chiunque a sostenere che bevendo caffè si pedala più forte… Ma quella volta sbagliai io: fu un errore di distrazione che non dovevo commettere».

E così perse la chance di vincere il Mondiale, in Sicilia, dove era dato favorito. Sarebbe stato il terzo. 

 

«Era un tracciato bellissimo, molto adatto a me».

E la sua prima vittoria, al Giro dell’Appennino del 1986, battendo Moser in volata, se la ricorda? 

gianni bugno museeuw

«Ricordo che la dedicai a Emilio Ravasio, un ragazzo di 23 anni, anche lui brianzolo, che aveva corso con me già da dilettante e che era stato mio compagno di stanza. Alla prima tappa del Giro, quell’anno, era caduto e aveva sbattuto la testa. Non sembrava niente di grave: era rimontato in sella e aveva concluso la gara; poi la sera in camera si era sentito male, e fu portato in ospedale in ambulanza. Morì dopo alcuni giorni di coma. Era un ragazzo semplice, come me, che dava tutto per lo sport».

 

I giornali di allora raccontarono che perfino sotto il podio di Benindorm, nel giorno del suo secondo Mondiale consecutivo, lei avesse gli occhi azzurri un po’ tristi. Poi disse in conferenza stampa disse: «Mi dispiace per Jalabert, anche lui meritava la maglia iridata». «Ma lei in vita sua mi ha mai visto ridere…?» Non si sente mai davvero felice? 

«E invece sì, anche se non rido. Già soltanto svegliarmi la mattina mi rende felice. Pensare ai miei figli ancora di più. Quest’anno il grande si sposa, il piccolo fa l’università. Vedere che si stanno sistemando è la cosa più bella».

gianni bugno

Qualche anno fa, in tivù, Auro Bulbarelli ha detto che il motivo per cui Bugno è stato (ed è ancora) così amato dai suoi tifosi, in fondo è semplice: oltre che un grande campione, è una gran brava persona. Il belga Joan Museeuw in carriera di Giri delle Fiandre ne ha vinti ben tre; ha chiamato suo figlio con un nome italiano: Gianni. Un omaggio al ciclista che stimava di più.

AURO BULBARELLI

 

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