IL TEATRONE DELLA POLITICA/32 - COLOSSEO TELEVISIVO: I CALCI DELLA BELLILLO, LE SEDIE DELLA MAIOLO, LE RISSE CON ADEL SMITH - LA PRATICA DEL CASTING SI RISOLVE INEVITABILMENTE IN UN CRASH SHOW.
Da "Il Teatrone della Politica", di Filippo Ceccarelli - Longanesi & C. (2003)
I GLADIATORI NELL'ARENA
Quando la spada lampeggia e finalmente inizia il duello, lo spettacolo celebra il suo momento più intenso, quello dell'azione. Nel duello l'eroe cerca la vittoria, ma può incontrare la morte. È la prova estrema della forza e del carattere. Ecco: lo spettacolo del duello oggi si chiama «Faccia a faccia» oppure «Uno contro tutti». Ma in prima o seconda serata, su tutte le reti televisive italiane, c'è sempre gente che cerca di farsi male con enorme soddisfazione. Da qualche tempo succede pure che dall'esterno irrompano all'improvviso in studio ulteriori «ospiti», quasi mai con intenzioni pacifiche. E tutto allora assomiglia a un vero circo di gladiatori.
Non a caso Marco Pannella, che se ne intende, ha parlato di «Colosseo televisivo». Del resto, la scenografia delle arene televisive - basti pensare alle trasmissioni di Michele Santoro - si ispira a quella degli antichi anfiteatri. Un giovane professore di Sociologia dei processi culturali, Gianmarco Navarini, ha spiegato molto bene come certi dibattiti politici vengono sempre più sapientemente imbastiti secondo la logica e i simboli della guerra, sia pure camuffata da libero confronto di idee.
In questi spettacoli, più che alla vittoria, si punta all'uccisione virtuale dell'avversario. Come gli antichi gladiatori, per salvarsi la pelle (la reputazione) gli odierni contendenti devono dar prova di salute fisica, saldezza di temperamento e autocontrollo. La loro lotta prevede mosse e contromosse, strategie d'attacco e di difesa. Durante le pause pubblicitarie si lasciano asciugare il sudore e intanto raccolgono le energie per quanto resta del combattimento.
Com'è ovvio, con il tempo si sono formati degli specialisti. Personaggi estremi scoperti, sperimentati e video-ingaggiati perché sostengano al meglio le proprie idee, e quindi picchino duro, in modo da rendere la trasmissione più viva e divertente. In principio fu Sgarbi. Adesso va molto la figura dell'anticristiano, possibilmente anche menacciuto. Nel recente passato hanno svolto egregiamente il loro compito femministe intransigenti come Elvira Banotti, per dire; o iperpacifisti alla padre Benjamin; o anche quel terribile professore serbo poi messo da parte al termine delle guerre balcaniche.
Nessuno di loro, in realtà, fa finta. Sono tutti in assoluta buonafede. E gli autori dei programmi, di solito, spiegano compunti che si tratta di figure rappresentative della società. Ma non è tanto vero. La televisione che si fa oggi non ha tutto questo interesse a rispecchiare i conflitti della società. Vuole soprattutto fare audience, «vendere» milioni di telespettatori agli inserzionisti pubblicitari. Per cui il più delle volte questi personaggi da Colosseo vengono invitati in trasmissione solo in quanto funzionali alla resa spettacolare. Le leggi dell'intrattenimento stabiliscono infatti di assortire gli ospiti con accorta malizia. Basta superare la dose modica, e la pratica del casting si risolverà inevitabilmente in un crash show.
Adesso oltretutto hanno anche cominciato a darsele sul serio. Dello scontro Bellillo-Mussolini a Porta a porta, picco di audience 2001, si è detto. Ma nel giugno del 2002, a TeleLombardia, tra la supergarantista di Forza Italia Tiziana Maiolo e il campione del colpevolismo antiberlusconiano Marco Travaglio, sono volate le sedie. Letteralmente.
Per la verità è stata la garantista a effettuare il lancio, e poi anche a rivendicarlo: «Sono una intellettuale, ma ho una buona mira». Signorilmente Travaglio si è limitato a confutarne la precisione balistica: «Se non erro, la sedia atterrò a un metro abbondante di distanza dal bersaglio». Che, come si sarà compreso, era proprio lui.
Con l'apparizione di Adel Smith, estremista islamico ad alto impatto, certi «dibattiti» televisivi hanno gettato la maschera. C'è all'orizzonte un conflitto religioso e di civiltà? Bene: Adel è perfetto perché grida, provoca, mostra la Bibbia e il Corano, sbeffeggia il crocifisso e dice cose incredibili. «Ma dove l'avete trovato, questo?» chiese una volta Massimo Cacciari a Vespa.
Si seppe poi che Vespa l'aveva «trovato» dopo aver letto una dichiarazione non particolarmente moderata a una agenzia. Nel gennaio del 2003, a TeleSerenissima, il feroce musulmano fu posto di fronte all'economista iper-neoliberista Carlo Pelanda, più di un quintale di peso, e quella sera anche un po' nervosetto. All'ennesima sparata di Adel, il professore si alzò dalla poltroncina per «porgergli il guanto di sfida», o almeno così tentò poi di spiegare. E insomma: si menarono. Sotto gli occhi dell'altra ospite, una scapigliona con gli stivaloni e le gambe bene in vista. In quale film di gladiatori, d'altra parte, si nega la presenza di una bella donna in tribuna?
Confessò in seguito Pelanda di aver provato, dopo lo scontro, «un enorme senso di liberazione»; e di essersi sentito, sia pure ingenuamente, «un crociato onorario». Disse Adel: «Non solo siamo pronti ad essere picchiati per difendere le nostre idee, ma anche a morire». Ave televisione, dunque, morituri te salutant. La sera dopo, comunque, a TeleLombardia, andò in onda un «Adel contro tutti» con la partecipazione straordinaria di alcuni preti da combattimento, bene intenzionati a ricacciargli in gola l'oltraggio al crocifisso.
Quindi, a getto continuo, altro dibattito a TeleNuovo di Treviso. Ma qui, di colpo, l'arena venne invasa da un drappello di teste rasate di Forza Nuova che pestarono l'iperislamico e anche il suo assistente, Zucchi, poi convenientemente medicato in diretta, essendo lividi e sangue una benedizione nei film d'avventura, e ancora di più nei piccoli e grandi Colossei televisivi.
Nel 105 a.C. lo Stato romano ìntervenne a procurare spettacoli di duelli al popolo per non disabituarlo alla guerra. Ora, sarà per via del film di Ridley Scott, ma nell'Italia del XXI secolo la figura del gladiatore sembra penetrata nell'immaginario politico con sviluppi per lo più grotteschi.
In fondo, Sergio D'Antoni si era limitato a prendere in prestito la colonna sonora del Gladiatore durante la presentazione del suo partitino Democrazia Europea. Ma nel marzo del 2001, con ben altre ambizioni, il governatore berlusconiano della regione Veneto, Giancarlo Galan, ne ha prodotto un impegnativo remake alternando le immagini hollywoodiane con quelle dei telegiornali regionali, e confezionando il tutto come dono di Natale per i suoi fedelissimi.
Tra i primi a comprendere il valore dell'opera, Gian Antonio Stella offrì una felice prima sul Corriere della Sera e poi nel suo Tribù. Dunque: «Atto primo, prima sequenza: sale la musica, una mano sfiora le spighe di grano. Sfilano nel crepuscolo le legioni. Scritta in sovraimpressione: 'Veneto, 2000 d.C.' Sventolano le bandiere romane, garrisce quella di San Marco. Ed ecco il rude, ma buono Russell Crowe, il generale Maximus, che guarda fisso nel futuro. Dissolvenza, e appare lui: Giancarlo Galan, detto 'il Galan Grande'. Cambio immagine: il bel Russell passa in rassegna i suoi legionari, il Gran Galan subentra irrigidendosi in un fiero saluto a una banda musicale. Finché la camera non va a posarsi sul pensoso Marco Aurelio. Che subito si trasfigura nel nuovo imperatore: Silvio Berlusconi».
Ed ecco i nemici. Li guida Cacciari, «seguito da una massa informe, bellicosa e sozza di autonomi» del popolo di Seattle. La cosa va per le lunghe, ma a un certo punto si arriva allo scontro risolutivo. «Al mio segnale scatenate l'inferno!» grida Russell Maximus Galan. Ed è una marmellata di fotogrammi che si sovrappongono: gladii romani e bandiere forziste, elmi imperiali e caschi di celerini, frecce incendiarie e schede elettorali. Fino alla vittòria, anzi alla victoria. E anche l'imperatore Marco Aurelio Berlusconi può gioire: Victoria. Hanno vinto i buoni.
Ma gli amici cattivi di Galan, racconta Stella, incontrandolo non riuscivano a trattenersi: «Ciò, Giancarlo, cossa ti fa co' 'a rete da gladiator: ti peschi bacalà?» Così passa (anche) la gloria delle armi.
Per il resto sono telerisse da strada a base di scorte, iene, gorilla e tapiri da consegnare. Su quest'ultima performance, vero e proprio rito di degradazione, il consegnatario Valerio Staffelli ha scritto un libro di duecentocinquanta pagine fitto di appostamenti, assalti, mischie, sacrifici, inseguimenti, comunque prove fisiche d'inusítata durezza.
Sotto casa di Bossi, la mattina presto, con il freddo e la diarrea. Le dita di una mano schiacciate nella portiera dell'auto del presidente della Rai Enzo Siciliano. Un Messner particolarmente furioso che brandisce il tapiro come un randello. Al che Staffelli rammenta la regola aurea e crudele di quello spettacolo: «Le botte ricevute e documentate dalle immagini sono minuti di trasmissione, mentre quelle fuori onda sono solo giorni di ospedale».
Colpiscono tante reazioni violente alla consegna di una statuina dorata in polistirolo e poliuretano espanso. Sgarbi gliela sbatte in testa; il servizio di sicurezza di D'Alema scaraventa Staffelli al muro e poi lo fa rimbalzare «come una sorta di palla avvelenata»; l'autista di Burlando gli dà un cazzottone in bocca; il caposcorta di Scalfaro lo atterra con un colpo di karatè e poco più tardi Carabinieri, Pubblica Sicurezza, Polizia Ferroviaria e Guardia di Finanza si accaniscono sulla troupe: «Ci strappano l'intero equipaggiamento tecnico: microfoni e telecamere furono letteralmente fatti a pezzi».
Ma è anche per questo, forse, che il tapiro fa scuola. A Viareggio, nell'aprile del 2002, alcuni militanti dei centri sociali rompono i cordoni delle forze dell'ordine; tirano sedie, calci, fumogeni e vasi di fiori all'automobile dell'allora sottosegretario Sgarbi, costretto a fuggire. Volevano pure loro consegnargli un tapiro. Quando si dice la forza delle rappresentazioni in Tv. E un po' anche delle colluttazioni dal vivo.
32 - Continua
Dagospia 25 Maggio 2005
I GLADIATORI NELL'ARENA
Quando la spada lampeggia e finalmente inizia il duello, lo spettacolo celebra il suo momento più intenso, quello dell'azione. Nel duello l'eroe cerca la vittoria, ma può incontrare la morte. È la prova estrema della forza e del carattere. Ecco: lo spettacolo del duello oggi si chiama «Faccia a faccia» oppure «Uno contro tutti». Ma in prima o seconda serata, su tutte le reti televisive italiane, c'è sempre gente che cerca di farsi male con enorme soddisfazione. Da qualche tempo succede pure che dall'esterno irrompano all'improvviso in studio ulteriori «ospiti», quasi mai con intenzioni pacifiche. E tutto allora assomiglia a un vero circo di gladiatori.
Non a caso Marco Pannella, che se ne intende, ha parlato di «Colosseo televisivo». Del resto, la scenografia delle arene televisive - basti pensare alle trasmissioni di Michele Santoro - si ispira a quella degli antichi anfiteatri. Un giovane professore di Sociologia dei processi culturali, Gianmarco Navarini, ha spiegato molto bene come certi dibattiti politici vengono sempre più sapientemente imbastiti secondo la logica e i simboli della guerra, sia pure camuffata da libero confronto di idee.
In questi spettacoli, più che alla vittoria, si punta all'uccisione virtuale dell'avversario. Come gli antichi gladiatori, per salvarsi la pelle (la reputazione) gli odierni contendenti devono dar prova di salute fisica, saldezza di temperamento e autocontrollo. La loro lotta prevede mosse e contromosse, strategie d'attacco e di difesa. Durante le pause pubblicitarie si lasciano asciugare il sudore e intanto raccolgono le energie per quanto resta del combattimento.
Com'è ovvio, con il tempo si sono formati degli specialisti. Personaggi estremi scoperti, sperimentati e video-ingaggiati perché sostengano al meglio le proprie idee, e quindi picchino duro, in modo da rendere la trasmissione più viva e divertente. In principio fu Sgarbi. Adesso va molto la figura dell'anticristiano, possibilmente anche menacciuto. Nel recente passato hanno svolto egregiamente il loro compito femministe intransigenti come Elvira Banotti, per dire; o iperpacifisti alla padre Benjamin; o anche quel terribile professore serbo poi messo da parte al termine delle guerre balcaniche.
Nessuno di loro, in realtà, fa finta. Sono tutti in assoluta buonafede. E gli autori dei programmi, di solito, spiegano compunti che si tratta di figure rappresentative della società. Ma non è tanto vero. La televisione che si fa oggi non ha tutto questo interesse a rispecchiare i conflitti della società. Vuole soprattutto fare audience, «vendere» milioni di telespettatori agli inserzionisti pubblicitari. Per cui il più delle volte questi personaggi da Colosseo vengono invitati in trasmissione solo in quanto funzionali alla resa spettacolare. Le leggi dell'intrattenimento stabiliscono infatti di assortire gli ospiti con accorta malizia. Basta superare la dose modica, e la pratica del casting si risolverà inevitabilmente in un crash show.
Adesso oltretutto hanno anche cominciato a darsele sul serio. Dello scontro Bellillo-Mussolini a Porta a porta, picco di audience 2001, si è detto. Ma nel giugno del 2002, a TeleLombardia, tra la supergarantista di Forza Italia Tiziana Maiolo e il campione del colpevolismo antiberlusconiano Marco Travaglio, sono volate le sedie. Letteralmente.
Per la verità è stata la garantista a effettuare il lancio, e poi anche a rivendicarlo: «Sono una intellettuale, ma ho una buona mira». Signorilmente Travaglio si è limitato a confutarne la precisione balistica: «Se non erro, la sedia atterrò a un metro abbondante di distanza dal bersaglio». Che, come si sarà compreso, era proprio lui.
Con l'apparizione di Adel Smith, estremista islamico ad alto impatto, certi «dibattiti» televisivi hanno gettato la maschera. C'è all'orizzonte un conflitto religioso e di civiltà? Bene: Adel è perfetto perché grida, provoca, mostra la Bibbia e il Corano, sbeffeggia il crocifisso e dice cose incredibili. «Ma dove l'avete trovato, questo?» chiese una volta Massimo Cacciari a Vespa.
Si seppe poi che Vespa l'aveva «trovato» dopo aver letto una dichiarazione non particolarmente moderata a una agenzia. Nel gennaio del 2003, a TeleSerenissima, il feroce musulmano fu posto di fronte all'economista iper-neoliberista Carlo Pelanda, più di un quintale di peso, e quella sera anche un po' nervosetto. All'ennesima sparata di Adel, il professore si alzò dalla poltroncina per «porgergli il guanto di sfida», o almeno così tentò poi di spiegare. E insomma: si menarono. Sotto gli occhi dell'altra ospite, una scapigliona con gli stivaloni e le gambe bene in vista. In quale film di gladiatori, d'altra parte, si nega la presenza di una bella donna in tribuna?
Confessò in seguito Pelanda di aver provato, dopo lo scontro, «un enorme senso di liberazione»; e di essersi sentito, sia pure ingenuamente, «un crociato onorario». Disse Adel: «Non solo siamo pronti ad essere picchiati per difendere le nostre idee, ma anche a morire». Ave televisione, dunque, morituri te salutant. La sera dopo, comunque, a TeleLombardia, andò in onda un «Adel contro tutti» con la partecipazione straordinaria di alcuni preti da combattimento, bene intenzionati a ricacciargli in gola l'oltraggio al crocifisso.
Quindi, a getto continuo, altro dibattito a TeleNuovo di Treviso. Ma qui, di colpo, l'arena venne invasa da un drappello di teste rasate di Forza Nuova che pestarono l'iperislamico e anche il suo assistente, Zucchi, poi convenientemente medicato in diretta, essendo lividi e sangue una benedizione nei film d'avventura, e ancora di più nei piccoli e grandi Colossei televisivi.
Nel 105 a.C. lo Stato romano ìntervenne a procurare spettacoli di duelli al popolo per non disabituarlo alla guerra. Ora, sarà per via del film di Ridley Scott, ma nell'Italia del XXI secolo la figura del gladiatore sembra penetrata nell'immaginario politico con sviluppi per lo più grotteschi.
In fondo, Sergio D'Antoni si era limitato a prendere in prestito la colonna sonora del Gladiatore durante la presentazione del suo partitino Democrazia Europea. Ma nel marzo del 2001, con ben altre ambizioni, il governatore berlusconiano della regione Veneto, Giancarlo Galan, ne ha prodotto un impegnativo remake alternando le immagini hollywoodiane con quelle dei telegiornali regionali, e confezionando il tutto come dono di Natale per i suoi fedelissimi.
Tra i primi a comprendere il valore dell'opera, Gian Antonio Stella offrì una felice prima sul Corriere della Sera e poi nel suo Tribù. Dunque: «Atto primo, prima sequenza: sale la musica, una mano sfiora le spighe di grano. Sfilano nel crepuscolo le legioni. Scritta in sovraimpressione: 'Veneto, 2000 d.C.' Sventolano le bandiere romane, garrisce quella di San Marco. Ed ecco il rude, ma buono Russell Crowe, il generale Maximus, che guarda fisso nel futuro. Dissolvenza, e appare lui: Giancarlo Galan, detto 'il Galan Grande'. Cambio immagine: il bel Russell passa in rassegna i suoi legionari, il Gran Galan subentra irrigidendosi in un fiero saluto a una banda musicale. Finché la camera non va a posarsi sul pensoso Marco Aurelio. Che subito si trasfigura nel nuovo imperatore: Silvio Berlusconi».
Ed ecco i nemici. Li guida Cacciari, «seguito da una massa informe, bellicosa e sozza di autonomi» del popolo di Seattle. La cosa va per le lunghe, ma a un certo punto si arriva allo scontro risolutivo. «Al mio segnale scatenate l'inferno!» grida Russell Maximus Galan. Ed è una marmellata di fotogrammi che si sovrappongono: gladii romani e bandiere forziste, elmi imperiali e caschi di celerini, frecce incendiarie e schede elettorali. Fino alla vittòria, anzi alla victoria. E anche l'imperatore Marco Aurelio Berlusconi può gioire: Victoria. Hanno vinto i buoni.
Ma gli amici cattivi di Galan, racconta Stella, incontrandolo non riuscivano a trattenersi: «Ciò, Giancarlo, cossa ti fa co' 'a rete da gladiator: ti peschi bacalà?» Così passa (anche) la gloria delle armi.
Per il resto sono telerisse da strada a base di scorte, iene, gorilla e tapiri da consegnare. Su quest'ultima performance, vero e proprio rito di degradazione, il consegnatario Valerio Staffelli ha scritto un libro di duecentocinquanta pagine fitto di appostamenti, assalti, mischie, sacrifici, inseguimenti, comunque prove fisiche d'inusítata durezza.
Sotto casa di Bossi, la mattina presto, con il freddo e la diarrea. Le dita di una mano schiacciate nella portiera dell'auto del presidente della Rai Enzo Siciliano. Un Messner particolarmente furioso che brandisce il tapiro come un randello. Al che Staffelli rammenta la regola aurea e crudele di quello spettacolo: «Le botte ricevute e documentate dalle immagini sono minuti di trasmissione, mentre quelle fuori onda sono solo giorni di ospedale».
Colpiscono tante reazioni violente alla consegna di una statuina dorata in polistirolo e poliuretano espanso. Sgarbi gliela sbatte in testa; il servizio di sicurezza di D'Alema scaraventa Staffelli al muro e poi lo fa rimbalzare «come una sorta di palla avvelenata»; l'autista di Burlando gli dà un cazzottone in bocca; il caposcorta di Scalfaro lo atterra con un colpo di karatè e poco più tardi Carabinieri, Pubblica Sicurezza, Polizia Ferroviaria e Guardia di Finanza si accaniscono sulla troupe: «Ci strappano l'intero equipaggiamento tecnico: microfoni e telecamere furono letteralmente fatti a pezzi».
Ma è anche per questo, forse, che il tapiro fa scuola. A Viareggio, nell'aprile del 2002, alcuni militanti dei centri sociali rompono i cordoni delle forze dell'ordine; tirano sedie, calci, fumogeni e vasi di fiori all'automobile dell'allora sottosegretario Sgarbi, costretto a fuggire. Volevano pure loro consegnargli un tapiro. Quando si dice la forza delle rappresentazioni in Tv. E un po' anche delle colluttazioni dal vivo.
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Dagospia 25 Maggio 2005