ALLA SCOPERTA DELL'ASIA MINORE - GLI ULTIMI SEI UOMINI CON CUI SONO ANDATA A LETTO NON CE L'HANNO FATTA. E IL SETTIMO HA CERCATO DI PRENDERE IL VIAGRA SOTTO I MIEI OCCHI - IRAQ? IL FILM DI MICHAEL MOORE MI HA FATTO SCHIFO E QUASI VOGLIA DI SOSTENERE BUSH.
Gabriele Romagnoli per "GQ"
Parto in una mattina romana piena di sole, portando come bussola una frase che lei, Asia Aria Anna Maria Vittoria Rossa Argento, ha preso in prestito dal più sintetico Bret Easton Ellis: «Ho creato un personaggio, ma mi sono stufata di pagare il biglietto per assistere allo spettacolo di me stesso». Questo è un altro film, che non ha per protagonista la diva scarlatta, l'esibizionista con l'angelo tatuato sul pube o la lolita vampira. Ci sono anche loro, ma come comparse sullo sfondo. In primo piano: una ragazza di 32 anni, residente in un non luogo, madre a tempo pieno, più spaventata che guerriera, sola per vocazione più che per destino, vergine all'anagrafe degli astri, che piange in un posto segreto dove pensavo di essere l'unico al mondo a farlo.
Partiamo da lontano, dal ricordo più netto, il momento che ti definisce.
«Ho nove anni, mi alleno per poter fare a botte con i miei compagni a scuola».
Ti aggredivano?
«No, è una mia fantasia, ma non distinguo. Sono Asia contro il resto del mondo. E allora metto un cuscino sul muro e colpisco, forte, forte...».
Fino a farti male...
«Infatti mi faccio male. Non riesco più a muovere la mano. Ma papà se ne frega e mamma... Mamma dice: "È una microfrattura". E se è micro, lo capisco anch'io, conta poco. Ma la mano s'ingrossa e a scuola mi chiamano "Zampa d'elefante"».
E tu non puoi nemmeno menarli.
«Infatti. Poi viene a trovarmi mia nonna, si preoccupa, si stupisce che nessuno mi abbia fatto fare i raggi X, lo fa lei e viene fuori che ho una frattura, non micro, del metacarpo, e me la prendo con i miei».
Solitudine, diffidenza, rancore. Ma anche autodisciplina, forza interiore, capacità di progettazione. Come psicologo dilettante ne ho azzeccata qualcuna?
«Solitudine, soprattutto».
Amiche?
«Due».
La prima.
«Lei aveva anche tante altre amiche, io invece solo lei. E questo non potevo sopportarlo».
La seconda.
«Un'amica immaginaria. Si chiamava Carletta. Era più grande di me, faceva la telefonista, così mi poteva mettere in contatto con un sacco di persone. Ah, e poi ce n'era anche un'altra, una vera, ma molto grande, una vecchia, che faceva la pittrice. Una cagna, come pittrice. Viveva in uno scantinato, con un sacco di gatti. Mia madre voleva che mi facesse un ritratto e mi ci mandava. A me faceva schifo come dipingeva, mi faceva schifo il piscio di gatto, ma continuavo ad andarci per stare con qualcuno».
Poi, più avanti, hai trovato amici veri?
«Gli amici non li vedi nel momento del bisogno, li vedi in quello del successo. Appena ne ho avuto un po', eccoli: una foresta di amici. E di delusioni».
Sei stata in analisi?
«Dai quattordici ai diciassette. Poi ho smesso».
Perché?
«Per una frase del terapeuta: "Sei un albero troppo giovane, non riesco a potarti". Ho chiuso per anni, e ho ricominciato solo qualche mese fa. Non lo so, non credo ci sia un tempo prestabilito per fare le cose, non ho mai badato molto al tempo, all'età. Quando avevo sedici anni i miei coetanei non mi interessavano, andavo soltanto con uomini di trentadue, trentatré».
E adesso che ne hai trentadue?
«Sedicenni no, ma hanno tutti sei, sette anni in meno. Meglio, avevano. Non c'è più nessuno, zero, da un sacco di tempo».
Che cos'è successo? Hai usato l'insetticida?
«Non proprio. Tanto vale che lo racconti. Gli ultimi sei uomini con cui sono andata a letto non ce l'hanno fatta a fare l'amore con me».
Zero?
«Zero. E il settimo ha cercato di prendere il Viagra sotto i miei occhi. L'avesse fatto di nascosto, pazienza. Ma così, davanti a me, gli ho dovuto dire di lasciar perdere e l'ho dovuto spedire da dove era venuto».
Ti sei chiesta come è stato possibile?
«Io credo che loro si aspettassero qualcos'altro, sai: il personaggio, quella che mi sono stancata di essere, sadomaso, lesbochic o come cavolo mi immaginano. Sono stata me stessa e non bastava. Poi, loro hanno detto tutti la stessa frase, questa: "Io la prima volta non ci riesco mai"».
E tu non concedi una seconda chance?
«No, grazie».
Non per fare l'avvocato dei Magnifici 7, ma capita ancora che qualcuno confonda il sesso con l'amore e che abbia bisogno di qualcosa chiamato intimità, confidenza...
«Auguri. E auguri anche a me. Per adesso sto ferma un giro, poi vediamo, magari incontro qualcuno che ci riesce, in una di queste notti».
Le persone diverse ormai le incontri più facilmente alle tre del pomeriggio, sedute sul bordo di una fontana.
«Io le cerco su Internet».
E funziona?
«Come sopra. Ma ormai mi sono appassionata alla rete. Passo ore e ore collegata a My Space. Chatto con queste persone che abitano in luoghi lontani. Poi magari vengono a trovarmi e...».
E zero. Ma non ti dà fastidio entrare in contatto con gente che per te è completamente sconosciuta, mentre loro...
«...possono vedermi nuda con due clic? Ma non ci posso fare niente. E poi su Internet non mi nascondo, uso il mio nome vero».
Perché ti chiami Asia?
«Perché sono stata concepita nella parte orientale di Istanbul».
E Vittoria Rossa?
«Mio padre è ultracomunista. Una sera, proprio mentre uscivamo da questo ristorante, mi ha detto: "Meno male che c'è stato il cinema, sennò avrei fatto il terrorista"».
Meno male che c'è stato il cinema, sennò tu?
«Mi sarei suicidata».
Era tutto così difficile?
«Sì, almeno per me. Sai com'è quando ti svegli e ti viene da piangere?».
No, a me veniva qualche conato. E piango in aereo, di notte, nei voli intercontinentali, senza una ragione.
«Anch'io, stessa cosa. Bevo un sacco di vino bianco. Una volta ho volato accanto a uno che produceva macchine per imbottigliare il Prosecco e mi ha detto che fa malissimo, ma mi aiuta a rilassarmi, poi guardo uno di quei filmacci americani e, mentre siamo sopra la Siberia, comincio a piangere in silenzio, senza sapere perché».
Altre trasgressioni in alta quota?
«Una volta ho fumato. Sono andata in bagno e ho sperimentato un sistema che mi hanno insegnato. Devi azionare tutti gli aspiratori e tirare due boccate, stando più vicina che puoi al getto d'aria, poi butti la sigaretta».
Per due boccate ne vale la pena?
«Assolutamente sì. Con tutto il vino in corpo, sembra una cosa fantastica. E poi io me lo ricordo com'era, prima che andassero al potere i nazisti antifumo. Ero sull'ultimo volo New York-Roma con la sigaretta libera. Viaggiavo in economy, fila a tre posti, accanto a una coppia che mangiava l'hamburger, si sbaciucchiava e fumava. Io fumavo e basta».
Non è che questa solitudine è un destino a cui ti piace arrenderti?
«Non lo so, credo di fare i miei tentativi. Ho provato la realtà, le comunità virtuali, i rapporti etero, quelli omo...».
Stessi esiti?
«Mah, sai, se devo farlo con una donna preferisco masturbarmi, tanto per arrivare all'orgasmo devo comunque passare di lì, quindi posso provvedere da sola. Anche se lo sai che cosa mi è piaciuto? Farlo con una prostituta. Che in realtà credevo fosse una massaggiatrice».
Dicono tutti così.
«No, lo giuro. Avevo chiamato dopo aver visto un annuncio, a New York. Certo, quando il tizio al telefono mi ha detto che la tariffa di Caroline era 350 dollari, mi sono insospettita. Poi mi son detta: ancora meglio. Caroline, che poi era brasiliana e si chiamava Paula, è arrivata portando anche l'olio e mi ha perfino massaggiato. Un po'. Dopo abbiamo fatto altro e lei era tutta contenta, perché era lesbica e stava con una farmacista. Non andava più via. Il suo pappone, quello dell'agenzia che l'aveva mandata, continuava a chiamarla, ma lei non rispondeva al telefono. Alla fine mi sono stancata anch'io e, per convincerla ad andarsene, le ho regalato una maglia di cashmere e dei profumi. Voleva che ci rivedessimo, ma per me ormai il limite è una volta, buona o non buona che sia la prima. Non reggo oltre l'arco delle ventiquattro ore».
Come sono adesso le tue ventiquattro ore tipo?
«Alle sette e mezza sveglio mia figlia e la porto a scuola. Poi torno a casa, mi faccio il caffè e mi butto su Internet».
Tutto My Space o anche informazione?
«Non leggo i giornali e non vedo notiziari, neppure on line. Mai. Non voto. Certo, Berlusconi non mi piace, ma quando ha vinto la sinistra ero in Francia. Tutti esultavano, io ho detto: c'est la meme chose».
Sai che c'è una guerra in Iraq?
«Dai film. Da quello di Michael Moore, che mi ha fatto schifo e quasi mi ha fatto venir voglia di sostenere Bush».
Con il nome che porti, credi allo scontro di civiltà, al bisogno di difendere la tradizione occidentale e cristiana?
«Ma va'. La religione cattolica è un assurdo, una cosa violenta. Entri in una chiesa e vedi raffigurazioni di corpi straziati, leggi la Bibbia e sembra cronaca nera: delitti, stragi, umanità annientata salvo Noè. Almeno, nell'Islam, le moschee sono vuote, la gente prega senza che qualcuno faccia da intermediario».
Ma per le donne non è una gran cuccagna...
«Tutti se la prendono con l'obbligo di portare il burqa, ma nessuno che consideri come da noi le donne sono obbligate a spogliarsi per farsi notare. Alla fine, che cosa è peggio?».
Tu non hai scelto il burqa, però.
«No, ma io vivo qui».
Con tua figlia. Pensi di darle fratelli o sorelle?
«No, non voglio avere a che fare con un altro padre. Ho un'unica certezza: non mi sposerò mai. Il matrimonio è lo sbaglio più grande, sono fiera di averlo fatto evitare a un paio di persone».
«La famiglia è la radice di ogni male». Lo diceva tuo padre, no?
«Sì, ma citava Fassbinder. E a ragione. La mia famiglia è stata la radice del mio male. Ancora oggi immagino i miei genitori come due enormi sfingi, con quelle grandi zampe con le unghie, ai lati di un portone. Per passare la soglia debbo risolvere un enigma, ma l'enigna vero è che non so qual è l'enigma».
Siete ancora così lontani?
«Con mio padre si può giocare, mai fare sul serio. Con mia madre ci siamo riavvicinate. Da un giorno in cui avevo la bambina, lei voleva aiutarmi, io insistevo che ce la potevo fare da sola e lei mi ha detto: "Asia, tempi di recupero!". Quella frase ha fatto breccia e adesso ci siamo, ai tempi di recupero».
Non ti sposi, ma hai un anello al dito...
«È un cerchietto di metallo, me l'ha infilato mia figlia mentre dormivo».
E quel nome tatuato sul polso?
«Appena posso vado a farmelo togliere».
Impegni dopo pranzo?
«Vado a prendere la bambina, la porto a nuoto, navigo su Internet, guardo vecchi film. Se devo uscire vado all'estero, a fare la dj, metto musica tutta la notte, sudo, ballo, scarico energia. Sennò resto a casa».
Nuovi film?
«In questi mesi ne escono quattro: dopo Transylvania, dove faccio la vampira, Go Go Tales di Abel Ferrara, uno d'azione cinese e uno di Catherine Breillat, che ho accettato senza capire che avrei dovuto stare cinque ore al giorno in scena nuda, facendo finta di scopare e dicendo frasi pseudopoetiche senza molto senso».
E tu che cosa giri come regista?
«Il prossimo video di Marilyn Manson. Sarà così: due scopano e poi lui si alza, va in un'altra stanza e lo fa con un uomo mentre lei guarda, ma alla fine si intuisce che è solo una fantasia che lei o lui usano per godere».
Pensi ancora che sia meglio un film d'azione straniero, che uno di quelli «presunti intellettuali» italiani?
«Adesso, per stare con mia figlia, un film italiano, anche una commedia, lo farei. Ma agli ultimi due provini mi hanno scartata».
Il resto del mondo contro Asia?
«Non è una fantasia, è realtà».
C'è qualcosa che mi hai detto e preferisci non scriva?
«Puoi scrivere anche quel che non ti ho detto, puoi cambiare ogni parola. Purché io mi riconosca per quella che sono».
E chi sei?
«Non lo so».
Dagospia 06 Settembre 2007
Parto in una mattina romana piena di sole, portando come bussola una frase che lei, Asia Aria Anna Maria Vittoria Rossa Argento, ha preso in prestito dal più sintetico Bret Easton Ellis: «Ho creato un personaggio, ma mi sono stufata di pagare il biglietto per assistere allo spettacolo di me stesso». Questo è un altro film, che non ha per protagonista la diva scarlatta, l'esibizionista con l'angelo tatuato sul pube o la lolita vampira. Ci sono anche loro, ma come comparse sullo sfondo. In primo piano: una ragazza di 32 anni, residente in un non luogo, madre a tempo pieno, più spaventata che guerriera, sola per vocazione più che per destino, vergine all'anagrafe degli astri, che piange in un posto segreto dove pensavo di essere l'unico al mondo a farlo.
Partiamo da lontano, dal ricordo più netto, il momento che ti definisce.
«Ho nove anni, mi alleno per poter fare a botte con i miei compagni a scuola».
Ti aggredivano?
«No, è una mia fantasia, ma non distinguo. Sono Asia contro il resto del mondo. E allora metto un cuscino sul muro e colpisco, forte, forte...».
Fino a farti male...
«Infatti mi faccio male. Non riesco più a muovere la mano. Ma papà se ne frega e mamma... Mamma dice: "È una microfrattura". E se è micro, lo capisco anch'io, conta poco. Ma la mano s'ingrossa e a scuola mi chiamano "Zampa d'elefante"».
E tu non puoi nemmeno menarli.
«Infatti. Poi viene a trovarmi mia nonna, si preoccupa, si stupisce che nessuno mi abbia fatto fare i raggi X, lo fa lei e viene fuori che ho una frattura, non micro, del metacarpo, e me la prendo con i miei».
Solitudine, diffidenza, rancore. Ma anche autodisciplina, forza interiore, capacità di progettazione. Come psicologo dilettante ne ho azzeccata qualcuna?
«Solitudine, soprattutto».
Amiche?
«Due».
La prima.
«Lei aveva anche tante altre amiche, io invece solo lei. E questo non potevo sopportarlo».
La seconda.
«Un'amica immaginaria. Si chiamava Carletta. Era più grande di me, faceva la telefonista, così mi poteva mettere in contatto con un sacco di persone. Ah, e poi ce n'era anche un'altra, una vera, ma molto grande, una vecchia, che faceva la pittrice. Una cagna, come pittrice. Viveva in uno scantinato, con un sacco di gatti. Mia madre voleva che mi facesse un ritratto e mi ci mandava. A me faceva schifo come dipingeva, mi faceva schifo il piscio di gatto, ma continuavo ad andarci per stare con qualcuno».
Poi, più avanti, hai trovato amici veri?
«Gli amici non li vedi nel momento del bisogno, li vedi in quello del successo. Appena ne ho avuto un po', eccoli: una foresta di amici. E di delusioni».
Sei stata in analisi?
«Dai quattordici ai diciassette. Poi ho smesso».
Perché?
«Per una frase del terapeuta: "Sei un albero troppo giovane, non riesco a potarti". Ho chiuso per anni, e ho ricominciato solo qualche mese fa. Non lo so, non credo ci sia un tempo prestabilito per fare le cose, non ho mai badato molto al tempo, all'età. Quando avevo sedici anni i miei coetanei non mi interessavano, andavo soltanto con uomini di trentadue, trentatré».
E adesso che ne hai trentadue?
«Sedicenni no, ma hanno tutti sei, sette anni in meno. Meglio, avevano. Non c'è più nessuno, zero, da un sacco di tempo».
Che cos'è successo? Hai usato l'insetticida?
«Non proprio. Tanto vale che lo racconti. Gli ultimi sei uomini con cui sono andata a letto non ce l'hanno fatta a fare l'amore con me».
Zero?
«Zero. E il settimo ha cercato di prendere il Viagra sotto i miei occhi. L'avesse fatto di nascosto, pazienza. Ma così, davanti a me, gli ho dovuto dire di lasciar perdere e l'ho dovuto spedire da dove era venuto».
Ti sei chiesta come è stato possibile?
«Io credo che loro si aspettassero qualcos'altro, sai: il personaggio, quella che mi sono stancata di essere, sadomaso, lesbochic o come cavolo mi immaginano. Sono stata me stessa e non bastava. Poi, loro hanno detto tutti la stessa frase, questa: "Io la prima volta non ci riesco mai"».
E tu non concedi una seconda chance?
«No, grazie».
Non per fare l'avvocato dei Magnifici 7, ma capita ancora che qualcuno confonda il sesso con l'amore e che abbia bisogno di qualcosa chiamato intimità, confidenza...
«Auguri. E auguri anche a me. Per adesso sto ferma un giro, poi vediamo, magari incontro qualcuno che ci riesce, in una di queste notti».
Le persone diverse ormai le incontri più facilmente alle tre del pomeriggio, sedute sul bordo di una fontana.
«Io le cerco su Internet».
E funziona?
«Come sopra. Ma ormai mi sono appassionata alla rete. Passo ore e ore collegata a My Space. Chatto con queste persone che abitano in luoghi lontani. Poi magari vengono a trovarmi e...».
E zero. Ma non ti dà fastidio entrare in contatto con gente che per te è completamente sconosciuta, mentre loro...
«...possono vedermi nuda con due clic? Ma non ci posso fare niente. E poi su Internet non mi nascondo, uso il mio nome vero».
Perché ti chiami Asia?
«Perché sono stata concepita nella parte orientale di Istanbul».
E Vittoria Rossa?
«Mio padre è ultracomunista. Una sera, proprio mentre uscivamo da questo ristorante, mi ha detto: "Meno male che c'è stato il cinema, sennò avrei fatto il terrorista"».
Meno male che c'è stato il cinema, sennò tu?
«Mi sarei suicidata».
Era tutto così difficile?
«Sì, almeno per me. Sai com'è quando ti svegli e ti viene da piangere?».
No, a me veniva qualche conato. E piango in aereo, di notte, nei voli intercontinentali, senza una ragione.
«Anch'io, stessa cosa. Bevo un sacco di vino bianco. Una volta ho volato accanto a uno che produceva macchine per imbottigliare il Prosecco e mi ha detto che fa malissimo, ma mi aiuta a rilassarmi, poi guardo uno di quei filmacci americani e, mentre siamo sopra la Siberia, comincio a piangere in silenzio, senza sapere perché».
Altre trasgressioni in alta quota?
«Una volta ho fumato. Sono andata in bagno e ho sperimentato un sistema che mi hanno insegnato. Devi azionare tutti gli aspiratori e tirare due boccate, stando più vicina che puoi al getto d'aria, poi butti la sigaretta».
Per due boccate ne vale la pena?
«Assolutamente sì. Con tutto il vino in corpo, sembra una cosa fantastica. E poi io me lo ricordo com'era, prima che andassero al potere i nazisti antifumo. Ero sull'ultimo volo New York-Roma con la sigaretta libera. Viaggiavo in economy, fila a tre posti, accanto a una coppia che mangiava l'hamburger, si sbaciucchiava e fumava. Io fumavo e basta».
Non è che questa solitudine è un destino a cui ti piace arrenderti?
«Non lo so, credo di fare i miei tentativi. Ho provato la realtà, le comunità virtuali, i rapporti etero, quelli omo...».
Stessi esiti?
«Mah, sai, se devo farlo con una donna preferisco masturbarmi, tanto per arrivare all'orgasmo devo comunque passare di lì, quindi posso provvedere da sola. Anche se lo sai che cosa mi è piaciuto? Farlo con una prostituta. Che in realtà credevo fosse una massaggiatrice».
Dicono tutti così.
«No, lo giuro. Avevo chiamato dopo aver visto un annuncio, a New York. Certo, quando il tizio al telefono mi ha detto che la tariffa di Caroline era 350 dollari, mi sono insospettita. Poi mi son detta: ancora meglio. Caroline, che poi era brasiliana e si chiamava Paula, è arrivata portando anche l'olio e mi ha perfino massaggiato. Un po'. Dopo abbiamo fatto altro e lei era tutta contenta, perché era lesbica e stava con una farmacista. Non andava più via. Il suo pappone, quello dell'agenzia che l'aveva mandata, continuava a chiamarla, ma lei non rispondeva al telefono. Alla fine mi sono stancata anch'io e, per convincerla ad andarsene, le ho regalato una maglia di cashmere e dei profumi. Voleva che ci rivedessimo, ma per me ormai il limite è una volta, buona o non buona che sia la prima. Non reggo oltre l'arco delle ventiquattro ore».
Come sono adesso le tue ventiquattro ore tipo?
«Alle sette e mezza sveglio mia figlia e la porto a scuola. Poi torno a casa, mi faccio il caffè e mi butto su Internet».
Tutto My Space o anche informazione?
«Non leggo i giornali e non vedo notiziari, neppure on line. Mai. Non voto. Certo, Berlusconi non mi piace, ma quando ha vinto la sinistra ero in Francia. Tutti esultavano, io ho detto: c'est la meme chose».
Sai che c'è una guerra in Iraq?
«Dai film. Da quello di Michael Moore, che mi ha fatto schifo e quasi mi ha fatto venir voglia di sostenere Bush».
Con il nome che porti, credi allo scontro di civiltà, al bisogno di difendere la tradizione occidentale e cristiana?
«Ma va'. La religione cattolica è un assurdo, una cosa violenta. Entri in una chiesa e vedi raffigurazioni di corpi straziati, leggi la Bibbia e sembra cronaca nera: delitti, stragi, umanità annientata salvo Noè. Almeno, nell'Islam, le moschee sono vuote, la gente prega senza che qualcuno faccia da intermediario».
Ma per le donne non è una gran cuccagna...
«Tutti se la prendono con l'obbligo di portare il burqa, ma nessuno che consideri come da noi le donne sono obbligate a spogliarsi per farsi notare. Alla fine, che cosa è peggio?».
Tu non hai scelto il burqa, però.
«No, ma io vivo qui».
Con tua figlia. Pensi di darle fratelli o sorelle?
«No, non voglio avere a che fare con un altro padre. Ho un'unica certezza: non mi sposerò mai. Il matrimonio è lo sbaglio più grande, sono fiera di averlo fatto evitare a un paio di persone».
«La famiglia è la radice di ogni male». Lo diceva tuo padre, no?
«Sì, ma citava Fassbinder. E a ragione. La mia famiglia è stata la radice del mio male. Ancora oggi immagino i miei genitori come due enormi sfingi, con quelle grandi zampe con le unghie, ai lati di un portone. Per passare la soglia debbo risolvere un enigma, ma l'enigna vero è che non so qual è l'enigma».
Siete ancora così lontani?
«Con mio padre si può giocare, mai fare sul serio. Con mia madre ci siamo riavvicinate. Da un giorno in cui avevo la bambina, lei voleva aiutarmi, io insistevo che ce la potevo fare da sola e lei mi ha detto: "Asia, tempi di recupero!". Quella frase ha fatto breccia e adesso ci siamo, ai tempi di recupero».
Non ti sposi, ma hai un anello al dito...
«È un cerchietto di metallo, me l'ha infilato mia figlia mentre dormivo».
E quel nome tatuato sul polso?
«Appena posso vado a farmelo togliere».
Impegni dopo pranzo?
«Vado a prendere la bambina, la porto a nuoto, navigo su Internet, guardo vecchi film. Se devo uscire vado all'estero, a fare la dj, metto musica tutta la notte, sudo, ballo, scarico energia. Sennò resto a casa».
Nuovi film?
«In questi mesi ne escono quattro: dopo Transylvania, dove faccio la vampira, Go Go Tales di Abel Ferrara, uno d'azione cinese e uno di Catherine Breillat, che ho accettato senza capire che avrei dovuto stare cinque ore al giorno in scena nuda, facendo finta di scopare e dicendo frasi pseudopoetiche senza molto senso».
E tu che cosa giri come regista?
«Il prossimo video di Marilyn Manson. Sarà così: due scopano e poi lui si alza, va in un'altra stanza e lo fa con un uomo mentre lei guarda, ma alla fine si intuisce che è solo una fantasia che lei o lui usano per godere».
Pensi ancora che sia meglio un film d'azione straniero, che uno di quelli «presunti intellettuali» italiani?
«Adesso, per stare con mia figlia, un film italiano, anche una commedia, lo farei. Ma agli ultimi due provini mi hanno scartata».
Il resto del mondo contro Asia?
«Non è una fantasia, è realtà».
C'è qualcosa che mi hai detto e preferisci non scriva?
«Puoi scrivere anche quel che non ti ho detto, puoi cambiare ogni parola. Purché io mi riconosca per quella che sono».
E chi sei?
«Non lo so».
Dagospia 06 Settembre 2007