MAL DI RENIS - "MISTER QUANDO QUANDO" FA 70 ANNI (DI BELLA VITA) - "AMICI MAFIOSI? AI FAN NON CHIEDO LA FEDINA PENALE" - LA DEDICA DI NUREYEV: "DA MAIALE A MAIALE" ("PIACEVO MOLTO AI GAY").
Giancarlo Dotto per "La Stampa"
«Dimmi quando tu verrai, dimmi quando quando quando». Zio Tony si batte da una vita come un leone per strappare vocali e consonanti dalla roccia, ma quando è alla tastiera del suo Petrov bianco a coda diventa un usignolo. Era così anche da bambino, quando doveva chiederlo cantando il sale a tavola, dopo essersi arreso sfinito alla perfidia della esse iniziale. Sono infiniti i trucchi di un dislalico per aggirare l'ostacolo. Allitterazioni, anacoluti, cambi di voce. Quando non canta, zio Tony se la cava in maschera, ora la voce arzilla del vecchietto da Far West, che slitta in quella di Beppe Grillo, ora quella del bravo presentatore alla Piombi. «Suscita tenerezza la mia balbuzie, specie nelle signore. Anthony Quinn era peggio di me, ci siamo salvati facendo gli attori». Canta e mi spiega perché il suo brano più celebre, nato come bossanova e trasformato in samba, diventa un successo planetario grazie anche a un salto di ottava.
Per i suoi molto inverosimili settanta anni lo ha chiamato mezzo mondo. Tony Renis, alias Elio Cesari, mancato ragioniere, è un ragazzo di mezza età. Mamma Jone è morta a 101 anni, papà Orfelio ancora campa alle soglie del secolo. Che coppia lui e la moglie Elettra, ex etoile della Scala di Milano, una che ha ballato con Rudolf Nureyev e Antonio Gades. Appare e scompare come la Fata Morgana, pattinando con i suoi piedi a papera e le battute a soggetto. Non ti porge la mano ma ti saluta a distanza perché «una volta me l'hanno quasi stritolata la mano».
Una casa di fotografie e specchi, poche pareti, tanti specchi, un'allucinazione alla Borges ma all'opposto di Borges, in questo caso la moltiplicazione degli esseri umani è tutt'altro che un incubo. Spicca la foto di Rudolf Nureyev con dedica affettuosa tutta da interpretare: «Da maiale a maiale». Trillano i telefoni. Il gran Mogol, il ministro Bondi. Zio Tony mi fa sentire uno che strepita alticcio e greve nella cornetta «Happy birthday to you». E' Stevie Wonder da Los Angeles, completamente sbronzo. «Il mio amico Stevie. Oggi è anche il suo compleanno».
Partiamo dalla foto di Tony Renis chierichetto.
«Frequentavo i gesuiti a Milano. Fui preso da una volontà mistica di sacerdozio. Mi salvò la passione per le ballerine. Mi piacevano le ballerine classiche ma non disdegnavo quelle del varietà».
Il destino si è compiuto.
«Vero. Ho sposato Elettra Morini, la donna della mia vita. Il giorno più bello, quando l'ho conosciuta più di trenta anni fa».
Sessantacinque anni di carriera. Un bambino prodigio.
«Debuttai all'asilo in "Biancaneve e i sette nani". Mi diedero la parte di Cucciolo perché era muto».
Il suo amichetto di oratorio era Adriano Celentano.
«Giocavamo a calcio, lui dell'Inter, io del Milan, l'unica cosa che ci divide. Da ragazzi abbiamo fatto coppia fissa nei locali notturni. Ballavamo il tip tap. Io ero Dean Martin, lui Jerry Lewis».
Chi acchiappava di più tra i due?
«Dormivamo nelle pensioni più infime, ogni tanto trovavamo qualche ballerina che ci aspettava dentro il letto». (Passa Elettra: «Sì, ma non erano le classiche quelle che trovavi nel letto»). "Adriano le cacciava via. Gli piacevano le donne, ma voleva essere lui a decidere. Lui le cacciava, io le consolavo».
Quando si materializzò al suo Sanremo, lei restò a lungo attonito, imbambolato.
«Ero commosso, stranito, allibito. Adriano venne per me, senza chiedere compensi. Una grande prova d'amicizia. Si rifiutarono tutti, tranne lui».
Silvio Berlusconi, l'altro amico cantante.
«Con Silvio ci legano esclusivamente la musica e il Milan. Lui è un chansonnier amabile, un fine dicitore con la pasta vocale di un Frank Sinatra. Mi racconta sempre di quando venne ad ascoltarmi: "Eri talmente bravo che smisi di fare il cantante". Un altro era Bettino Craxi. Cantare era la sua valvola di scarico».
Bettino Craxi cantava?
«Eccome. Musicalmente eclettico, cantava di tutto, da De Gregori a Venditti, Gino Paoli, Roberto Murolo, Yves Montand, brani d'opera, canzoni patriottiche, ballate della malavita. Quante serate nella sua casa di Hammamet. Era presidente del Consiglio e teneva in macchina i nastri di Roberto Murolo e Yves Montand da ripassare».
E' il decennale della morte di Frank Sinatra.
«Il mio grande idolo. Me lo presentò sua moglie, la mia amica Barbara. Eravamo allo Sporting Beach di Montecarlo, fine anni '60. Terminato il concerto, Sinatra venne al nostro tavolo. Barbara: "Tony, you know Frank?". Io tremavo, sudavo, balbettavo più del solito. Seppi poi che Frank aveva ascoltato il mio "Quando quando quando" in un ristorante di Milano. Voleva registrare la versione inglese, ma quelli della Ricordi avevano dato l'esclusiva a Pat Boone».
«Quando quando quando»: l'hanno cantata quasi tutti in mezzo secolo. Duecento milioni di copie vendute.
«L'hanno cantata in tutte le lingue, compreso l'arabo e il cinese, ma lasciando sempre il titolo italiano. Nat King Cole e Maria Callas, Frank Sinatra e Celine Dion, Michael Bublè e Nelly Furtado in coppia, tanti altri. Mi dissero che l'aveva cantata anche Mao Tse tung. "Dimmi quanto tu vellai. dimmi quando quando"».
Con la voce di Mina l'altro successo mondiale, dieci anni dopo: «Grande grande grande».
«Mi chiamò Luchino Visconti per dirmi che ne aveva acquistato cinquecento copie da regalare agli amici. Mina è la mia sorellina. Le devo molto. Fu lei a impormi a Sanremo nel '62: "Vengo solo se portate anche Tronis", così mi chiamava».
Trent'anni fa, all'improvviso, smette di cantare in pubblico.
«Un blocco psicologico. Era venuto anche meno il piacere di farlo. Invidio quelli che continuano a fare i rocker a settant'anni».
Scompare dalla tivù e dai giornali.
«E' la lezione del mio amico Frank Sinatra: non farsi vedere troppo ma far parlare di sé quando serve, altrimenti sei morto».
Lo stanno rivalutando ora il suo Sanremo, ma quanta ostilità allora.
«Il bersaglio non ero io, ma il mio amico Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio. Quante bugie. Lui non sapeva neppure della mia nomina».
Rispolverarono la storia delle sue «relazioni pericolose».
«Una strumentalizzazione politica della stampa di sinistra. Misero nello stesso calderone Tony Renis, le mie amicizie americane e Silvio Berlusconi».
Lei ha un sacco di amici. Tra gli altri, Joe Adonis, Rosario Spatola, Joe Gambino, noti mafiosi.
«Tutti liberi cittadini all'epoca. Politici e artisti sono sempre avvicinati da certi personaggi. Non ho mai chiesto la fedina penale ai miei fan. Sono fatto così, se una persona mi va a pelle lo chiamo subito amico. Amico non vuol dire connivente. Pago il fatto di essere un uomo libero che ha sempre scelto le persone, non i partiti».
Ha scelto Silvio Berlusconi.
«Da bambino la mia passione era Alcide De Gasperi, poi Bettino Craxi, il terzo si chiama Silvio Berlusconi, che gode di tutta la mia stima e amicizia. So quello che lui ha nel cuore».
Si fece raccomandare da Joe Adonis per avere la parte di Johnny Fontane, il Frank Sinatra raccontato nel «Padrino» di Coppola.
«Arrivai tardi, avevano già scritturato Al Martino. Fu la mia fortuna. La storia della testa del cavallo nel letto di Sinatra era un falso di Puzo. Frank fece di tutto per bloccare quel film. Non ci riuscì. In compenso, Al Martino non lavorò più per venticinque anni».
Luzzato Fegis scrive di lei: personaggio controverso la cui fama si deve più alle sue entrature nello star system che alle canzoni.
«Rispondo solo questo: ma qualcuno pensa davvero che una Grace Kelly o un Gregory Peck, un Charlton Heston o un Quincy Jones siano miei amici per la mia bella faccia? Le mie canzoni hanno fatto il giro del globo. Sono uno showman e a Hollywood mi considerano il re dello spaghetto. Cucinavo con la paranza che mi aveva regalato Frank Sinatra».
Quella volta che ha cantato con Kirk Douglas per Grace Kelly.
«Era una festa in Costa Azzurra. Avevamo alzato il gomito un po' tutti. Mi sfiorano la spalla, mi volto e vedo una dea bionda. La principessa Grace Kelly. "Vous avez ecrit «Quando quando quando»?...C'est ma prefere chanson". Senza scambiarci nessun segnale, con quel gladiatore di Kirk Douglas improvvisiamo un balletto in onore di Grace. Io le cantavo il mio "Uno per tutte", Kirk, ubriaco, mi assecondava inventando le parole».
Quando cantò per Rudolf Nureyev.
«Gli dedicai "Grande grande grande" di cui andava pazzo. Ci conoscemmo in un party in Costa Azzurra. Non mi staccava gli occhi di dosso. Mi disse: "Tony, questa sera voglio ballare per te nel mio castello", alla presenza del suo compagno che friggeva di rabbia. Fu dura inventare una scusa, senza urtare la sua suscettibilità. Piacevo molto ai gay. Mi corteggiarono anche Rock Hudson e Mauro Bolognini».
La più bella voce contemporanea.
«Andrea Bocelli, di cui sono il produttore degli ultimi dischi. E Michael Bublè. Vocalista di un eclettismo unico. Fa lo swing, l'hip hop e il rock. Canta i pezzi di Michael Jackson o di Eminence meglio di loro».
Dagospia 21 Maggio 2008
«Dimmi quando tu verrai, dimmi quando quando quando». Zio Tony si batte da una vita come un leone per strappare vocali e consonanti dalla roccia, ma quando è alla tastiera del suo Petrov bianco a coda diventa un usignolo. Era così anche da bambino, quando doveva chiederlo cantando il sale a tavola, dopo essersi arreso sfinito alla perfidia della esse iniziale. Sono infiniti i trucchi di un dislalico per aggirare l'ostacolo. Allitterazioni, anacoluti, cambi di voce. Quando non canta, zio Tony se la cava in maschera, ora la voce arzilla del vecchietto da Far West, che slitta in quella di Beppe Grillo, ora quella del bravo presentatore alla Piombi. «Suscita tenerezza la mia balbuzie, specie nelle signore. Anthony Quinn era peggio di me, ci siamo salvati facendo gli attori». Canta e mi spiega perché il suo brano più celebre, nato come bossanova e trasformato in samba, diventa un successo planetario grazie anche a un salto di ottava.
Per i suoi molto inverosimili settanta anni lo ha chiamato mezzo mondo. Tony Renis, alias Elio Cesari, mancato ragioniere, è un ragazzo di mezza età. Mamma Jone è morta a 101 anni, papà Orfelio ancora campa alle soglie del secolo. Che coppia lui e la moglie Elettra, ex etoile della Scala di Milano, una che ha ballato con Rudolf Nureyev e Antonio Gades. Appare e scompare come la Fata Morgana, pattinando con i suoi piedi a papera e le battute a soggetto. Non ti porge la mano ma ti saluta a distanza perché «una volta me l'hanno quasi stritolata la mano».
Una casa di fotografie e specchi, poche pareti, tanti specchi, un'allucinazione alla Borges ma all'opposto di Borges, in questo caso la moltiplicazione degli esseri umani è tutt'altro che un incubo. Spicca la foto di Rudolf Nureyev con dedica affettuosa tutta da interpretare: «Da maiale a maiale». Trillano i telefoni. Il gran Mogol, il ministro Bondi. Zio Tony mi fa sentire uno che strepita alticcio e greve nella cornetta «Happy birthday to you». E' Stevie Wonder da Los Angeles, completamente sbronzo. «Il mio amico Stevie. Oggi è anche il suo compleanno».
Partiamo dalla foto di Tony Renis chierichetto.
«Frequentavo i gesuiti a Milano. Fui preso da una volontà mistica di sacerdozio. Mi salvò la passione per le ballerine. Mi piacevano le ballerine classiche ma non disdegnavo quelle del varietà».
Il destino si è compiuto.
«Vero. Ho sposato Elettra Morini, la donna della mia vita. Il giorno più bello, quando l'ho conosciuta più di trenta anni fa».
Sessantacinque anni di carriera. Un bambino prodigio.
«Debuttai all'asilo in "Biancaneve e i sette nani". Mi diedero la parte di Cucciolo perché era muto».
Il suo amichetto di oratorio era Adriano Celentano.
«Giocavamo a calcio, lui dell'Inter, io del Milan, l'unica cosa che ci divide. Da ragazzi abbiamo fatto coppia fissa nei locali notturni. Ballavamo il tip tap. Io ero Dean Martin, lui Jerry Lewis».
Chi acchiappava di più tra i due?
«Dormivamo nelle pensioni più infime, ogni tanto trovavamo qualche ballerina che ci aspettava dentro il letto». (Passa Elettra: «Sì, ma non erano le classiche quelle che trovavi nel letto»). "Adriano le cacciava via. Gli piacevano le donne, ma voleva essere lui a decidere. Lui le cacciava, io le consolavo».
Quando si materializzò al suo Sanremo, lei restò a lungo attonito, imbambolato.
«Ero commosso, stranito, allibito. Adriano venne per me, senza chiedere compensi. Una grande prova d'amicizia. Si rifiutarono tutti, tranne lui».
Silvio Berlusconi, l'altro amico cantante.
«Con Silvio ci legano esclusivamente la musica e il Milan. Lui è un chansonnier amabile, un fine dicitore con la pasta vocale di un Frank Sinatra. Mi racconta sempre di quando venne ad ascoltarmi: "Eri talmente bravo che smisi di fare il cantante". Un altro era Bettino Craxi. Cantare era la sua valvola di scarico».
Bettino Craxi cantava?
«Eccome. Musicalmente eclettico, cantava di tutto, da De Gregori a Venditti, Gino Paoli, Roberto Murolo, Yves Montand, brani d'opera, canzoni patriottiche, ballate della malavita. Quante serate nella sua casa di Hammamet. Era presidente del Consiglio e teneva in macchina i nastri di Roberto Murolo e Yves Montand da ripassare».
E' il decennale della morte di Frank Sinatra.
«Il mio grande idolo. Me lo presentò sua moglie, la mia amica Barbara. Eravamo allo Sporting Beach di Montecarlo, fine anni '60. Terminato il concerto, Sinatra venne al nostro tavolo. Barbara: "Tony, you know Frank?". Io tremavo, sudavo, balbettavo più del solito. Seppi poi che Frank aveva ascoltato il mio "Quando quando quando" in un ristorante di Milano. Voleva registrare la versione inglese, ma quelli della Ricordi avevano dato l'esclusiva a Pat Boone».
«Quando quando quando»: l'hanno cantata quasi tutti in mezzo secolo. Duecento milioni di copie vendute.
«L'hanno cantata in tutte le lingue, compreso l'arabo e il cinese, ma lasciando sempre il titolo italiano. Nat King Cole e Maria Callas, Frank Sinatra e Celine Dion, Michael Bublè e Nelly Furtado in coppia, tanti altri. Mi dissero che l'aveva cantata anche Mao Tse tung. "Dimmi quanto tu vellai. dimmi quando quando"».
Con la voce di Mina l'altro successo mondiale, dieci anni dopo: «Grande grande grande».
«Mi chiamò Luchino Visconti per dirmi che ne aveva acquistato cinquecento copie da regalare agli amici. Mina è la mia sorellina. Le devo molto. Fu lei a impormi a Sanremo nel '62: "Vengo solo se portate anche Tronis", così mi chiamava».
Trent'anni fa, all'improvviso, smette di cantare in pubblico.
«Un blocco psicologico. Era venuto anche meno il piacere di farlo. Invidio quelli che continuano a fare i rocker a settant'anni».
Scompare dalla tivù e dai giornali.
«E' la lezione del mio amico Frank Sinatra: non farsi vedere troppo ma far parlare di sé quando serve, altrimenti sei morto».
Lo stanno rivalutando ora il suo Sanremo, ma quanta ostilità allora.
«Il bersaglio non ero io, ma il mio amico Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio. Quante bugie. Lui non sapeva neppure della mia nomina».
Rispolverarono la storia delle sue «relazioni pericolose».
«Una strumentalizzazione politica della stampa di sinistra. Misero nello stesso calderone Tony Renis, le mie amicizie americane e Silvio Berlusconi».
Lei ha un sacco di amici. Tra gli altri, Joe Adonis, Rosario Spatola, Joe Gambino, noti mafiosi.
«Tutti liberi cittadini all'epoca. Politici e artisti sono sempre avvicinati da certi personaggi. Non ho mai chiesto la fedina penale ai miei fan. Sono fatto così, se una persona mi va a pelle lo chiamo subito amico. Amico non vuol dire connivente. Pago il fatto di essere un uomo libero che ha sempre scelto le persone, non i partiti».
Ha scelto Silvio Berlusconi.
«Da bambino la mia passione era Alcide De Gasperi, poi Bettino Craxi, il terzo si chiama Silvio Berlusconi, che gode di tutta la mia stima e amicizia. So quello che lui ha nel cuore».
Si fece raccomandare da Joe Adonis per avere la parte di Johnny Fontane, il Frank Sinatra raccontato nel «Padrino» di Coppola.
«Arrivai tardi, avevano già scritturato Al Martino. Fu la mia fortuna. La storia della testa del cavallo nel letto di Sinatra era un falso di Puzo. Frank fece di tutto per bloccare quel film. Non ci riuscì. In compenso, Al Martino non lavorò più per venticinque anni».
Luzzato Fegis scrive di lei: personaggio controverso la cui fama si deve più alle sue entrature nello star system che alle canzoni.
«Rispondo solo questo: ma qualcuno pensa davvero che una Grace Kelly o un Gregory Peck, un Charlton Heston o un Quincy Jones siano miei amici per la mia bella faccia? Le mie canzoni hanno fatto il giro del globo. Sono uno showman e a Hollywood mi considerano il re dello spaghetto. Cucinavo con la paranza che mi aveva regalato Frank Sinatra».
Quella volta che ha cantato con Kirk Douglas per Grace Kelly.
«Era una festa in Costa Azzurra. Avevamo alzato il gomito un po' tutti. Mi sfiorano la spalla, mi volto e vedo una dea bionda. La principessa Grace Kelly. "Vous avez ecrit «Quando quando quando»?...C'est ma prefere chanson". Senza scambiarci nessun segnale, con quel gladiatore di Kirk Douglas improvvisiamo un balletto in onore di Grace. Io le cantavo il mio "Uno per tutte", Kirk, ubriaco, mi assecondava inventando le parole».
Quando cantò per Rudolf Nureyev.
«Gli dedicai "Grande grande grande" di cui andava pazzo. Ci conoscemmo in un party in Costa Azzurra. Non mi staccava gli occhi di dosso. Mi disse: "Tony, questa sera voglio ballare per te nel mio castello", alla presenza del suo compagno che friggeva di rabbia. Fu dura inventare una scusa, senza urtare la sua suscettibilità. Piacevo molto ai gay. Mi corteggiarono anche Rock Hudson e Mauro Bolognini».
La più bella voce contemporanea.
«Andrea Bocelli, di cui sono il produttore degli ultimi dischi. E Michael Bublè. Vocalista di un eclettismo unico. Fa lo swing, l'hip hop e il rock. Canta i pezzi di Michael Jackson o di Eminence meglio di loro».
Dagospia 21 Maggio 2008