VECCHIO IRRESISTIBILE SGARBONE - MARIANNA MADIA AVEVA UNA FACCIA FAMILIARE, POI HO RICORDATO, HO AVUTO UN FLIRT CON SUA MADRE - BERLUSCONI NON MI VUOLE NEANCHE COME SERVO - LE DONNE MI DEVONO PAGARE...
Sara Faillaci per "Vanity Fair" in edicola domani
Abita davvero qui?
«E certo. Il proprietario di questo albergo è una delle persone più intelligenti della città».
L'albergo, per la cronaca, è il Town House di Milano, il primo sette stelle d'Europa. Vittorio Sgarbi vive in una delle suite all'ultimo piano, due stanze e due bagni con affaccio su Galleria Vittorio Emanuele. Quando entro è stravaccato sul divano, circondato da pile di giornali e fogli di carta. Il televisore al plasma è acceso e lo resterà per tutto il tempo dell'intervista. Idem il suo telefono cellulare, che suona in continuazione.
Quanto paga per stare in un posto così?
«No, non ha capito. È il proprietario che mi paga: gliel'ho detto che è la persona più intelligente della città. Sgarbi è l'ottava stella di questo albergo. Vivo qui da quando facevano i lavori, pensi: non c'erano ancora i letti e scopavo sul pavimento».
Presto però potrebbe lasciare Milano. Il sindaco Letizia Moratti le ha revocato l'incarico di assessore alla cultura.
«Un gesto che non mi spiego. A meno di non pensare che siamo di fronte a un caso di insufficienza culturale. La cultura, infatti, presuppone che ogni forma di contrapposizione venga apprezzata e promossa. Invece siamo nella situazione assurda in cui chi ha fatto bene viene cacciato».
La Moratti la incolpa di aver truccato una delibera comunale per far approvare una rassegna di teatro gay, e di aver tenuto una condotta eccessiva durante la puntata di Annozero su Grillo.
«Per quanto riguarda la delibera, ho cambiato il titolo della rassegna - togliendo la parola "omo" - solo per evitare altre polemiche dopo quelle che il sindaco aveva scatenato censurando la mostra "Vade retro, arte e omosessualità": avrebbe fatto di nuovo la figura della bigotta nei confronti del mondo gay, che la cultura largamente presuppone. Pensi a un film come "Morte a Venezia": nessuno mette in discussione che sia un capolavoro, anche se parla di pedofilia e pornografia, ma sarei pazzo a proiettarlo in una rassegna chiamandola "cinema pedofilo".
Se parliamo di Annozero, poi, la punizione è ancora più paradossale: vengo invitato a una trasmissione dove Grillo è l'oracolo che si permette di insultare gente assente, di chiamare Veronesi "Cancronesi", in studio l'unica reazione degli esponenti della sinistra è quella di chiedersi se un comico come lui abbia rilevanza politica, e io non dovrei reagire?».
Forse sono stati i modi che hanno dato fastidio alla Moratti, e non solo a lei.
«Il tema è il contesto, dice Luigi Russo parlando di Verga. Mi adeguo al contesto che ho intorno: se sono invitato a una trasmissione che si chiama "Vaffa", e dove c'è uno che insulta, rispondo a tono. Anzi, le dirò che mi sono anche controllato».
Con la Moratti vi siete anche scontrati sui grattacieli del progetto City Life.
«Mi sembrano brutti, penso che la città meriti di meglio. Ma, soprattutto, credo che in democrazia dell' aspetto di Milano debbano decidere i cittadini e gli amministratori, non tre architetti. Del resto, ho solo anticipato il giudizio di Berlusconi. Non credo che la Moratti possa licenziare Berlusconi. Mi auguro, se mai, che avvenga il contrario».
Andrà a Roma a dare una mano ad Alemanno?
«A vivere a Roma torno certamente, però è escluso che faccia l'assessore lì: più probabili altri incarichi».
Ma Alemanno le piace?
«Mi piace perché la prima cosa che ha fatto, da sindaco di Roma, è stato annunciare lo smantellamento dell'Ara Pacis, quello cioè che gli avevo consigliato in campagna elettorale: adoro le persone che mi apprezzano. Ma devo ancora capire se ha personalità».
E i rapporti con Berlusconi?
«Ottimi. Quando nel '94 arrivò per la prima volta in Parlamento, disse: "Vi confesso che ho un complesso di superiorità". Gli risposi: "Io invece sono superiore senza complessi". Il suo complesso di superiorità lo porta a circondarsi di figure piccoline, mentre io se ho collaboratori titanici sono contento, perché non soffro il confronto».
Si riferisce alle persone che ha scelto per l'attuale governo?
«È il miglior governo possibile per lui: a parte qualcuno della Lega, sono tutti suoi dipendenti, e si compiacciono del fatto di essere inferiori. Le interviste della Carfagna sono meravigliose: non fa che ringraziare Berlusconi, come se fosse diventata ministro per grazia divina. Emblematica di questo sistema è il commento di Berlusconi alle dichiarazioni allucinanti di Ciarrapico sul fascismo: "Non c'è da preoccuparsi, tanto diventerà senatore e non conterà più niente". Una persona cioè, appena diventa una cosa, smette di esserla. Oggi chi fa il parlamentare non è nulla, al massimo non fa la fila al ristorante e non paga sull'aereo. È la fine della democrazia».
Addirittura?
«Sì, e la colpa non è di Berlusconi, ma di un processo che è malauguratamente iniziato nel 92, con Tangentopoli e grazie a Di Pietro. Sono spariti non solo i partiti, ma anche i criteri di meritocrazia politica. Un tempo chi veniva eletto doveva portare qualcosa, dei voti, che magari otteneva con scambi e corruzione, ma un criterio c'era. Oggi invece candidato può essere chiunque, sono automi. Sa come li sceglie Berlusconi? Ti invita a cena, fa due battute, ti dice: "Ma sai che tu mi sembri la persona adatta a risolvere i problemi della moda in Italia?". E se tu rispondi che hai dubbi perché non hai mai fatto politica, lui ti dice "meglio", e se tu insisti che non sei in grado, insiste: "Tranquillo, tu non devi fare proprio niente". Quando ti hanno convinto, ti danno un biglietto aereo gratis e ti mettono lì».
Non è che vorrebbe esserci lei, al governo?
«A me Berlusconi non mi vuole neanche come servo. Ma quello più incazzato di tutti con lui è Formigoni, perché è un vecchio democristiano, con i coglioni, i suoi voti, la sua corrente. E anche Casini lo odia. Il vero democristiano vede in Berlusconi la negazione del suo modo di fare politica».
Lei invece che cosa vede in lui?
«Nel tragico panorama politico, è quello che mi piace di più. Al suo posto, sarei stato ancora più provocatorio: avrei eletto gente presa per strada a caso, o ancora meglio, avrei fatto un governo di stranieri. Del resto nel Partito democratico non si sono comportati molto diversamente. Berlusconi ha fatto eleggere la Carfagna, Veltroni la Madia, una che ha detto: "Porterò la mia inesperienza in Parlamento". Pensi che all'inizio ero convinto di riconoscere in lei una mia fidanzata».
La Madia?
«La sua faccia era stranamente familiare. Poi ho ricordato: ho avuto un flirt con sua madre, che le assomiglia molto. Ho conosciuto anche lei. E sono stato amico di suo nonno, Normanno Messina, un vecchio giornalista parlamentare della Dc».
Del successo della Lega che cosa pensa?
«Che è l'unico partito possibile, dal momento che è l'unico diverso, insieme a quello di Di Pietro. Paradossalmente sarebbe stato meglio che Berlusconi e Veltroni si alleassero tra loro: la compatibilità tra gli opposti è più alta di quella tra gli alleati. E poi erano gli anni Settanta quando ho sentito pronunciare per la prima volta la parola "Padanìa", dal mio professore di storia dell'arte all'università di Bologna, Roberto Longhi».
Si candida a diventare l'intellettuale che manca alla Lega?
«È il mio progetto. Sappia che Bossi inizialmente parlava di "Padana": sono stato io a dirgli che quello era un aggettivo, che la parola giusta è "Padanìa". Peccato che lui si sia perso l'accento».
Lei invece, negli anni, che cosa ha perso? Almeno un po' delle sue abitudini da dongiovanni?
«Quella è un'indole. La parte divertente dei rapporti amorosi è la ricerca, la seduzione. Non intendo accasarmi. Non ho un punto d'arrivo, famiglia o cose del genere».
Il sesso quanto conta nella sua vita?
«Poco. È come l'inizio di una notte d'estate: hai mangiato e stai per andare a riposare quando trovi un banchetto di cocomeri. Non hai fame, e fino a quel momento non hai pensato che volevi un cocomero, ma ti fermi e lo mangi. Consumi e te ne vai».
Con che tipo di donna?
«Mi piacciono molto truccate, con la faccia un po' da sgualdrina. Ma non puttane vere: io posso scopare solo una donna che mi vuole molto, è lei che deve pagare me».
Da quasi dieci anni, però, lei ha una fidanzata, l'attrice Sabrina Colle.
«Una ragazza intelligente. Avrà avuto momenti di sofferenza, ma in linea generale mi guarda con grande comprensione. Poi tutti la ammirano. E questa era anche la ragione per cui mi piaceva Elenoire Casalegno: mi piace il fatto che la mia donna piaccia, che tutti approvino. Il caso di Elenoire era eclatante perché la sua era una bellezza vistosa, quella di Sabrina è più misteriosa, da palati più sofisticati. Come quello di Cossiga. È piena di ammiratori che la chiamano "la martire", come se stare con me richiedesse molta pazienza».
Non è vero?
«La durata di un rapporto secondo me dipende dalla leggerezza: io sono pesantissimo ma ci sono poco, quindi la mia incidenza sulla vita altrui è relativa. Sabrina, invece, ha una leggerezza naturale».
Non ha mai preteso di più dal vostro rapporto?
«Direi di no: tra noi non ci sono ingombri, pretese. Di sposarci non me l'ha mai chiesto, sa che per me il matrimonio è inconcepibile, se non per motivi di interesse».
C'è chi si sposa per avere diritti non economici, come quello di assistere il partner in caso di malattia.
«Una visione di catastrofi emergenziali che con l'amore non c'entra nulla. L'unità nella sofferenza è una cosa che solo sentirla mi fa orrore».
Sabrina le ha mai chiesto un figlio?
«Ogni tanto».
E lei?
«Difficile che possa rimanere incinta di me, dal momento che non scopiamo da anni. Lo troverei improprio: scopare sempre la stessa donna è una forma di perversione, da maniaci sessuali».
Lei però figli ne ha.
«Tre, o forse due, perché la causa per il riconoscimento della paternità della terza è ancora in corso. Come ho più volte fatto notare, in Italia gli uomini non hanno voce in capitolo sulla decisione di avere o meno un figlio, la scelta spetta alla madre. Per questo mio pensiero si è verificata una situazione paradossale: mi hanno chiesto di farmi portavoce dei diritti dei padri verso i figli. Ma io questi diritti non li voglio. Quello del padre è un ruolo importante, che presuppone una volontà. Se io non ce l'ho, non è giusto che per legge debba assumermi delle responsabilità».
E le madri?
«Per la prima (la stilista milanese Patrizia Brenner, morta nel 2002, ndr) questo figlio era l'unica cosa che esisteva. La seconda era felicissima della bambina, mi scriveva: "Perché non ne facciamo un altro?", ma a me fare sesso con la madre di mio figlio sembrerebbe un incesto. La terza sarebbe una storia comica, se non fosse tragica. È una cantante, viene per uno spettacolo alla Camera, la invito a Mediaset, dove conducevo Sgarbi quotidiani. Lì avevo un'abitudine: tutte le ragazze che mi venivano a trovare le portavo sull'impianto luci dello studio della De Filippi, e lassù le scopavo. Ci vediamo due volte, poi non la sento più. Passa un mese e mezzo, suona il campanello, è lei, mi dice: grazie, mio marito è sterile e cercavo da tanto di restare incinta, gli ho fatto credere che è avvenuto il miracolo e che il figlio è suo. Nasce la bambina, tutto bene. Ma dopo tre mesi al marito viene un ictus, muore. Da quel momento lei mi ha fatto causa. Adesso ho ottenuto dal giudice che, prima di sottopormi al test del Dna, venga riesumata la salma, per accertare che il padre non fosse davvero lui».
Il suo figlio più grande ormai ha vent'anni. In che rapporti siete?
«Sta qui a Milano, lo vedo poco. Però è un bel tipo, mi assomiglia. E non è finocchio».
Sta dicendo che sarebbe stato un problema per lei avere un figlio omosessuale?
«Sarebbero stati fatti suoi. Ma, visto che per me l'omosessualità non è una cosa naturale e neanche una scelta, e penso sia dovuta soprattutto alla famiglia, non avrei voluto sentirmi responsabile di un destino, conseguenza del fatto di essere cresciuto senza padre. Invece so che piace alle donne, è forte. Ed è anche di destra».
Perché un critico d'arte famoso com'era lei negli anni Ottanta ha iniziato a fare politica?
«Perché, come Di Pietro, ho pensato di dover far tesoro della popolarità che avevo ottenuto: temevo non sarebbe durata».
Oggi in effetti si continua a parlare di lei.
«Credo dipenda più che altro dal mio temperamento. Sento ancora persone che parlano di quando, nell'89, ho dato della stronza a una preside».
Ha notato che la gente si ricorda soprattutto delle parolacce?
«Appunto. Sarà meglio che continui a usarle».
Rimpianti, frustrazioni?
«No, perché non ho mai avuto obiettivi o aspirazioni. Tutto nella mia vita succede per accadimenti improvvisi e casuali. La parola a me più estranea è "carriera". L'unica cosa che penso sempre è che avrei dovuto fare il direttore d'orchestra: il solo ruolo che ti garantisce applausi incondizionati, che ti consente di essere osannato e di essere chiamato maestro anche se non sei un intellettuale».
Invecchiare le dà fastidio?
«Non ancora. Mi comporto sempre come un diciottenne».
Pensa mai alla morte?
«Mai. Però so che morirò a 84 anni. Lo ha predetto una veggente, una volta, a una mia ex fidanzata».
E lei ci crede?
«Sì, perché ha detto 84, non ottanta. Un numero preciso è sempre convincente».
Dagospia 27 Maggio 2008
Abita davvero qui?
«E certo. Il proprietario di questo albergo è una delle persone più intelligenti della città».
L'albergo, per la cronaca, è il Town House di Milano, il primo sette stelle d'Europa. Vittorio Sgarbi vive in una delle suite all'ultimo piano, due stanze e due bagni con affaccio su Galleria Vittorio Emanuele. Quando entro è stravaccato sul divano, circondato da pile di giornali e fogli di carta. Il televisore al plasma è acceso e lo resterà per tutto il tempo dell'intervista. Idem il suo telefono cellulare, che suona in continuazione.
Quanto paga per stare in un posto così?
«No, non ha capito. È il proprietario che mi paga: gliel'ho detto che è la persona più intelligente della città. Sgarbi è l'ottava stella di questo albergo. Vivo qui da quando facevano i lavori, pensi: non c'erano ancora i letti e scopavo sul pavimento».
Presto però potrebbe lasciare Milano. Il sindaco Letizia Moratti le ha revocato l'incarico di assessore alla cultura.
«Un gesto che non mi spiego. A meno di non pensare che siamo di fronte a un caso di insufficienza culturale. La cultura, infatti, presuppone che ogni forma di contrapposizione venga apprezzata e promossa. Invece siamo nella situazione assurda in cui chi ha fatto bene viene cacciato».
La Moratti la incolpa di aver truccato una delibera comunale per far approvare una rassegna di teatro gay, e di aver tenuto una condotta eccessiva durante la puntata di Annozero su Grillo.
«Per quanto riguarda la delibera, ho cambiato il titolo della rassegna - togliendo la parola "omo" - solo per evitare altre polemiche dopo quelle che il sindaco aveva scatenato censurando la mostra "Vade retro, arte e omosessualità": avrebbe fatto di nuovo la figura della bigotta nei confronti del mondo gay, che la cultura largamente presuppone. Pensi a un film come "Morte a Venezia": nessuno mette in discussione che sia un capolavoro, anche se parla di pedofilia e pornografia, ma sarei pazzo a proiettarlo in una rassegna chiamandola "cinema pedofilo".
Se parliamo di Annozero, poi, la punizione è ancora più paradossale: vengo invitato a una trasmissione dove Grillo è l'oracolo che si permette di insultare gente assente, di chiamare Veronesi "Cancronesi", in studio l'unica reazione degli esponenti della sinistra è quella di chiedersi se un comico come lui abbia rilevanza politica, e io non dovrei reagire?».
Forse sono stati i modi che hanno dato fastidio alla Moratti, e non solo a lei.
«Il tema è il contesto, dice Luigi Russo parlando di Verga. Mi adeguo al contesto che ho intorno: se sono invitato a una trasmissione che si chiama "Vaffa", e dove c'è uno che insulta, rispondo a tono. Anzi, le dirò che mi sono anche controllato».
Con la Moratti vi siete anche scontrati sui grattacieli del progetto City Life.
«Mi sembrano brutti, penso che la città meriti di meglio. Ma, soprattutto, credo che in democrazia dell' aspetto di Milano debbano decidere i cittadini e gli amministratori, non tre architetti. Del resto, ho solo anticipato il giudizio di Berlusconi. Non credo che la Moratti possa licenziare Berlusconi. Mi auguro, se mai, che avvenga il contrario».
Andrà a Roma a dare una mano ad Alemanno?
«A vivere a Roma torno certamente, però è escluso che faccia l'assessore lì: più probabili altri incarichi».
Ma Alemanno le piace?
«Mi piace perché la prima cosa che ha fatto, da sindaco di Roma, è stato annunciare lo smantellamento dell'Ara Pacis, quello cioè che gli avevo consigliato in campagna elettorale: adoro le persone che mi apprezzano. Ma devo ancora capire se ha personalità».
E i rapporti con Berlusconi?
«Ottimi. Quando nel '94 arrivò per la prima volta in Parlamento, disse: "Vi confesso che ho un complesso di superiorità". Gli risposi: "Io invece sono superiore senza complessi". Il suo complesso di superiorità lo porta a circondarsi di figure piccoline, mentre io se ho collaboratori titanici sono contento, perché non soffro il confronto».
Si riferisce alle persone che ha scelto per l'attuale governo?
«È il miglior governo possibile per lui: a parte qualcuno della Lega, sono tutti suoi dipendenti, e si compiacciono del fatto di essere inferiori. Le interviste della Carfagna sono meravigliose: non fa che ringraziare Berlusconi, come se fosse diventata ministro per grazia divina. Emblematica di questo sistema è il commento di Berlusconi alle dichiarazioni allucinanti di Ciarrapico sul fascismo: "Non c'è da preoccuparsi, tanto diventerà senatore e non conterà più niente". Una persona cioè, appena diventa una cosa, smette di esserla. Oggi chi fa il parlamentare non è nulla, al massimo non fa la fila al ristorante e non paga sull'aereo. È la fine della democrazia».
Addirittura?
«Sì, e la colpa non è di Berlusconi, ma di un processo che è malauguratamente iniziato nel 92, con Tangentopoli e grazie a Di Pietro. Sono spariti non solo i partiti, ma anche i criteri di meritocrazia politica. Un tempo chi veniva eletto doveva portare qualcosa, dei voti, che magari otteneva con scambi e corruzione, ma un criterio c'era. Oggi invece candidato può essere chiunque, sono automi. Sa come li sceglie Berlusconi? Ti invita a cena, fa due battute, ti dice: "Ma sai che tu mi sembri la persona adatta a risolvere i problemi della moda in Italia?". E se tu rispondi che hai dubbi perché non hai mai fatto politica, lui ti dice "meglio", e se tu insisti che non sei in grado, insiste: "Tranquillo, tu non devi fare proprio niente". Quando ti hanno convinto, ti danno un biglietto aereo gratis e ti mettono lì».
Non è che vorrebbe esserci lei, al governo?
«A me Berlusconi non mi vuole neanche come servo. Ma quello più incazzato di tutti con lui è Formigoni, perché è un vecchio democristiano, con i coglioni, i suoi voti, la sua corrente. E anche Casini lo odia. Il vero democristiano vede in Berlusconi la negazione del suo modo di fare politica».
Lei invece che cosa vede in lui?
«Nel tragico panorama politico, è quello che mi piace di più. Al suo posto, sarei stato ancora più provocatorio: avrei eletto gente presa per strada a caso, o ancora meglio, avrei fatto un governo di stranieri. Del resto nel Partito democratico non si sono comportati molto diversamente. Berlusconi ha fatto eleggere la Carfagna, Veltroni la Madia, una che ha detto: "Porterò la mia inesperienza in Parlamento". Pensi che all'inizio ero convinto di riconoscere in lei una mia fidanzata».
La Madia?
«La sua faccia era stranamente familiare. Poi ho ricordato: ho avuto un flirt con sua madre, che le assomiglia molto. Ho conosciuto anche lei. E sono stato amico di suo nonno, Normanno Messina, un vecchio giornalista parlamentare della Dc».
Del successo della Lega che cosa pensa?
«Che è l'unico partito possibile, dal momento che è l'unico diverso, insieme a quello di Di Pietro. Paradossalmente sarebbe stato meglio che Berlusconi e Veltroni si alleassero tra loro: la compatibilità tra gli opposti è più alta di quella tra gli alleati. E poi erano gli anni Settanta quando ho sentito pronunciare per la prima volta la parola "Padanìa", dal mio professore di storia dell'arte all'università di Bologna, Roberto Longhi».
Si candida a diventare l'intellettuale che manca alla Lega?
«È il mio progetto. Sappia che Bossi inizialmente parlava di "Padana": sono stato io a dirgli che quello era un aggettivo, che la parola giusta è "Padanìa". Peccato che lui si sia perso l'accento».
Lei invece, negli anni, che cosa ha perso? Almeno un po' delle sue abitudini da dongiovanni?
«Quella è un'indole. La parte divertente dei rapporti amorosi è la ricerca, la seduzione. Non intendo accasarmi. Non ho un punto d'arrivo, famiglia o cose del genere».
Il sesso quanto conta nella sua vita?
«Poco. È come l'inizio di una notte d'estate: hai mangiato e stai per andare a riposare quando trovi un banchetto di cocomeri. Non hai fame, e fino a quel momento non hai pensato che volevi un cocomero, ma ti fermi e lo mangi. Consumi e te ne vai».
Con che tipo di donna?
«Mi piacciono molto truccate, con la faccia un po' da sgualdrina. Ma non puttane vere: io posso scopare solo una donna che mi vuole molto, è lei che deve pagare me».
Da quasi dieci anni, però, lei ha una fidanzata, l'attrice Sabrina Colle.
«Una ragazza intelligente. Avrà avuto momenti di sofferenza, ma in linea generale mi guarda con grande comprensione. Poi tutti la ammirano. E questa era anche la ragione per cui mi piaceva Elenoire Casalegno: mi piace il fatto che la mia donna piaccia, che tutti approvino. Il caso di Elenoire era eclatante perché la sua era una bellezza vistosa, quella di Sabrina è più misteriosa, da palati più sofisticati. Come quello di Cossiga. È piena di ammiratori che la chiamano "la martire", come se stare con me richiedesse molta pazienza».
Non è vero?
«La durata di un rapporto secondo me dipende dalla leggerezza: io sono pesantissimo ma ci sono poco, quindi la mia incidenza sulla vita altrui è relativa. Sabrina, invece, ha una leggerezza naturale».
Non ha mai preteso di più dal vostro rapporto?
«Direi di no: tra noi non ci sono ingombri, pretese. Di sposarci non me l'ha mai chiesto, sa che per me il matrimonio è inconcepibile, se non per motivi di interesse».
C'è chi si sposa per avere diritti non economici, come quello di assistere il partner in caso di malattia.
«Una visione di catastrofi emergenziali che con l'amore non c'entra nulla. L'unità nella sofferenza è una cosa che solo sentirla mi fa orrore».
Sabrina le ha mai chiesto un figlio?
«Ogni tanto».
E lei?
«Difficile che possa rimanere incinta di me, dal momento che non scopiamo da anni. Lo troverei improprio: scopare sempre la stessa donna è una forma di perversione, da maniaci sessuali».
Lei però figli ne ha.
«Tre, o forse due, perché la causa per il riconoscimento della paternità della terza è ancora in corso. Come ho più volte fatto notare, in Italia gli uomini non hanno voce in capitolo sulla decisione di avere o meno un figlio, la scelta spetta alla madre. Per questo mio pensiero si è verificata una situazione paradossale: mi hanno chiesto di farmi portavoce dei diritti dei padri verso i figli. Ma io questi diritti non li voglio. Quello del padre è un ruolo importante, che presuppone una volontà. Se io non ce l'ho, non è giusto che per legge debba assumermi delle responsabilità».
E le madri?
«Per la prima (la stilista milanese Patrizia Brenner, morta nel 2002, ndr) questo figlio era l'unica cosa che esisteva. La seconda era felicissima della bambina, mi scriveva: "Perché non ne facciamo un altro?", ma a me fare sesso con la madre di mio figlio sembrerebbe un incesto. La terza sarebbe una storia comica, se non fosse tragica. È una cantante, viene per uno spettacolo alla Camera, la invito a Mediaset, dove conducevo Sgarbi quotidiani. Lì avevo un'abitudine: tutte le ragazze che mi venivano a trovare le portavo sull'impianto luci dello studio della De Filippi, e lassù le scopavo. Ci vediamo due volte, poi non la sento più. Passa un mese e mezzo, suona il campanello, è lei, mi dice: grazie, mio marito è sterile e cercavo da tanto di restare incinta, gli ho fatto credere che è avvenuto il miracolo e che il figlio è suo. Nasce la bambina, tutto bene. Ma dopo tre mesi al marito viene un ictus, muore. Da quel momento lei mi ha fatto causa. Adesso ho ottenuto dal giudice che, prima di sottopormi al test del Dna, venga riesumata la salma, per accertare che il padre non fosse davvero lui».
Il suo figlio più grande ormai ha vent'anni. In che rapporti siete?
«Sta qui a Milano, lo vedo poco. Però è un bel tipo, mi assomiglia. E non è finocchio».
Sta dicendo che sarebbe stato un problema per lei avere un figlio omosessuale?
«Sarebbero stati fatti suoi. Ma, visto che per me l'omosessualità non è una cosa naturale e neanche una scelta, e penso sia dovuta soprattutto alla famiglia, non avrei voluto sentirmi responsabile di un destino, conseguenza del fatto di essere cresciuto senza padre. Invece so che piace alle donne, è forte. Ed è anche di destra».
Perché un critico d'arte famoso com'era lei negli anni Ottanta ha iniziato a fare politica?
«Perché, come Di Pietro, ho pensato di dover far tesoro della popolarità che avevo ottenuto: temevo non sarebbe durata».
Oggi in effetti si continua a parlare di lei.
«Credo dipenda più che altro dal mio temperamento. Sento ancora persone che parlano di quando, nell'89, ho dato della stronza a una preside».
Ha notato che la gente si ricorda soprattutto delle parolacce?
«Appunto. Sarà meglio che continui a usarle».
Rimpianti, frustrazioni?
«No, perché non ho mai avuto obiettivi o aspirazioni. Tutto nella mia vita succede per accadimenti improvvisi e casuali. La parola a me più estranea è "carriera". L'unica cosa che penso sempre è che avrei dovuto fare il direttore d'orchestra: il solo ruolo che ti garantisce applausi incondizionati, che ti consente di essere osannato e di essere chiamato maestro anche se non sei un intellettuale».
Invecchiare le dà fastidio?
«Non ancora. Mi comporto sempre come un diciottenne».
Pensa mai alla morte?
«Mai. Però so che morirò a 84 anni. Lo ha predetto una veggente, una volta, a una mia ex fidanzata».
E lei ci crede?
«Sì, perché ha detto 84, non ottanta. Un numero preciso è sempre convincente».
Dagospia 27 Maggio 2008