POTERE LETTERARIO - VALERIO RIVA: "IL GRUPPO '63? FU COME LA P2! ANZI, COSI' INIZIO' LA P2 DI GELLI." - NANNI BALESTRINI: "RIVA? UN CASO CLINICO."
Da Il Riformista (www.ilriformista.it)
Pensieri e parole in libertà, nel più classico degli stili d'avanguardia - per quanto possa apparire stagionata, a quaranta anni di distanza, la parabola del gruppo '63 che in questi giorni si celebra a Bologna. Mentre i critici letterari si interrogano se la neoavanguardia abbia o meno dato frutti letterari degni del clamore mediatico e dell'acume critico-teorico che l'hanno caratterizzata, uno dei suoi più discussi animatori apre scenari impensabili sull'eredità che quell'esperienza ha lasciato alla società politica italiana. Per Valerio Riva - il negletto padre fondatore del gruppo, o l'imbucato di turno, certamente l'editor del gruppo presso Feltrinelli - «La P2 è nata proprio sul modello del gruppo '63. Il meccanismo è lo stesso. Un'accolita di persone che si organizza per raggiungere posti di potere, come una cattedra universitaria o un posto di comando alla Rai».
E per dimostrare la sua tesi, oltre a parlare di Eco e Guglielmi, Riva si diletta in un ragionamento per assurdo. Chi voleva entrare nel gruppo '63? Chi poi si è iscritto alla P2. «Prendiamo un caso esemplare: Roberto Gervaso. Voleva a tutti i costi entrare nel gruppo, ma non c'è riuscito. Allora decise di andare con Pier Carpi da Licio Gelli, per proporre qualcosa di simile al gruppo '63, da realizzare con Maurizio Costanzo. L'operazione non andò in porto, ma si iniziò a parlare di P2». Con un pizzico di crudeltà si diverte poi a ricordare un altro escluso eccellente: Alberto Bevilacqua. Anche lui «scartato e sfottuto», dice Riva: «Gli rode ancora il fegato».
Da Bologna, dove si è riunito con i compagni di ieri e di oggi della neoavanguardia, Nanni Balestrini ironizza: «Sì, siamo la lobby più potente d'Italia», e risponde per le rime a Riva che lo accusa di averlo ostracizzato perché «anticomunista o anticastrista». L'autore di Vogliamo tutto non ha dubbi: «È un caso clinico. Non voglio entrare nei particolari, preferirei non commentare neanche. Lui non era uno scrittore, veniva alle nostre riunioni come osservatore per la Feltrinelli». E sulla paternità del gruppo ricorda che questo «nacque nell'ottobre del 1962, a Palermo, su suggerimento di Luigi Nono che a Francesco Agnello propose di fare qualcosa di simile al gruppo '47 tedesco». Una data che inserita tra le altre porta al seguente cortocircuito anagrafico, da sixties bug: il gruppo '63 è nato nel '62 ma prendeva le mosse dall'antologia - vagamente "anticiceroniana" - dei Novissimi curata nel '61 da Luciano Anceschi. «Guardi, dica così - conclude Balestrini in un impeto di totale riduzione dell'io - il gruppo '63 non ha fondatori».
Ma Riva, da inguaribile editor gloriusus, ribatte di aver inventato lui il gruppo '63, «la cosa migliore che ho fatto. Un'operazione di marketing letterario senza precedenti. Una formula che poi ha avuto i suoi cloni in quello che ha fatto Bonito Oliva con la transavanguardia, o che fa ogni giorno Toscano con i prodotti che vende, o l'Einaudi con i Cannibali: puro marketing».
Con la consueta cortesia, Edoardo Sanguineti - anch'egli da Bologna - chiude: «È un peccato che Valerio abbia perso il gusto di litigare amabilmente, come facevamo nelle nostre riunioni. Eravamo un gruppo di amici nemici che si scontravamo anche duramente, ma sempre in modo ragionevole, argomentando. Poi ognuno è andato per la sua strada. Non eravamo certo una cordata d'assalto, una lobby. Non so cosa gli sia preso con queste accuse a Balestrini. So solo che Riva adesso è di destra, un berlusconiano d'ordine. Forse con questa operazione vuole correggere l'immagine che di lui si aveva come direttore editoriale di una casa di sinistra come la Feltrinelli. Ognuno - conclude Sanguineti - è libero di manipolare il suo passato come meglio crede». In omaggio a Eco, il gruppo '63 rimane un'opera aperta, dove una rosa può non essere una rosa.
LETTERA DI REPLICA DI VALERIO RIVA A IL RIFORMISTA
Caro Direttore, vedo che un'affermazione alquanto scalcagnata di Nanni Balestrini (che cioè io sarei un «caso clinico») diventa sul suo bel giornale un titolo a quattro colonne. Il che fa oggettivamente un'ingiuria. Ma stia tranquillo: non ho nessuna intenzione di querelarla. Semplicemente perché se le querele non mi piacciono quando ne sono io la vittima, figurarsi quando dovrei farne io ad altri.
Così come non ho intenzione stare a polemizzare con Sanguineti: noto solo che da quando ne feci un fenomeno nazionale ad oggi deve essere sceso ben in basso. Berlusconiano d'ordine io? Manipolatore del mio proprio passato? Ma se non faccio che vantarmi d'essere stato direttore editoriale della Feltrinelli? Di aver pubblicato il Dottor Zivago? Di aver scoperto e pubblicato spesso in anteprima mondiale gli scrittori del boom latinoamericano, "Cent'anni di solitudine" compreso? E naturalmente di avere anche inventato il Gruppo 63. Per non parlare di tutto il resto.
Sostiene Balestrini che io mi limitavo ad «andare alle loro riunioni come osservatore per la Feltrinelli»: si dimentica che io pubblicavo i loro libri, pagavo i loro conti, davo corpo alle loro aspirazioni, li toglievo dall'anonimato di solitari scrittori di provincia. Allora, fuori del mio ufficio facevano la fila. Adesso fanno finta di essere nati sotto i cavoli. Che vuol che le dica? Kurt Wolff, Brice Parrain, Jason Epstein erano meglio o peggio degli scrittori che scoprivano e pubblicavano? E tuttavia si trattava di nomi da Kafka in giù. E qui di Kafka non ne vedi poi tanti.
Grazie dell'ospitalità
Valerio Riva
Dagospia.com 13 Maggio 2003
Pensieri e parole in libertà, nel più classico degli stili d'avanguardia - per quanto possa apparire stagionata, a quaranta anni di distanza, la parabola del gruppo '63 che in questi giorni si celebra a Bologna. Mentre i critici letterari si interrogano se la neoavanguardia abbia o meno dato frutti letterari degni del clamore mediatico e dell'acume critico-teorico che l'hanno caratterizzata, uno dei suoi più discussi animatori apre scenari impensabili sull'eredità che quell'esperienza ha lasciato alla società politica italiana. Per Valerio Riva - il negletto padre fondatore del gruppo, o l'imbucato di turno, certamente l'editor del gruppo presso Feltrinelli - «La P2 è nata proprio sul modello del gruppo '63. Il meccanismo è lo stesso. Un'accolita di persone che si organizza per raggiungere posti di potere, come una cattedra universitaria o un posto di comando alla Rai».
E per dimostrare la sua tesi, oltre a parlare di Eco e Guglielmi, Riva si diletta in un ragionamento per assurdo. Chi voleva entrare nel gruppo '63? Chi poi si è iscritto alla P2. «Prendiamo un caso esemplare: Roberto Gervaso. Voleva a tutti i costi entrare nel gruppo, ma non c'è riuscito. Allora decise di andare con Pier Carpi da Licio Gelli, per proporre qualcosa di simile al gruppo '63, da realizzare con Maurizio Costanzo. L'operazione non andò in porto, ma si iniziò a parlare di P2». Con un pizzico di crudeltà si diverte poi a ricordare un altro escluso eccellente: Alberto Bevilacqua. Anche lui «scartato e sfottuto», dice Riva: «Gli rode ancora il fegato».
Da Bologna, dove si è riunito con i compagni di ieri e di oggi della neoavanguardia, Nanni Balestrini ironizza: «Sì, siamo la lobby più potente d'Italia», e risponde per le rime a Riva che lo accusa di averlo ostracizzato perché «anticomunista o anticastrista». L'autore di Vogliamo tutto non ha dubbi: «È un caso clinico. Non voglio entrare nei particolari, preferirei non commentare neanche. Lui non era uno scrittore, veniva alle nostre riunioni come osservatore per la Feltrinelli». E sulla paternità del gruppo ricorda che questo «nacque nell'ottobre del 1962, a Palermo, su suggerimento di Luigi Nono che a Francesco Agnello propose di fare qualcosa di simile al gruppo '47 tedesco». Una data che inserita tra le altre porta al seguente cortocircuito anagrafico, da sixties bug: il gruppo '63 è nato nel '62 ma prendeva le mosse dall'antologia - vagamente "anticiceroniana" - dei Novissimi curata nel '61 da Luciano Anceschi. «Guardi, dica così - conclude Balestrini in un impeto di totale riduzione dell'io - il gruppo '63 non ha fondatori».
Ma Riva, da inguaribile editor gloriusus, ribatte di aver inventato lui il gruppo '63, «la cosa migliore che ho fatto. Un'operazione di marketing letterario senza precedenti. Una formula che poi ha avuto i suoi cloni in quello che ha fatto Bonito Oliva con la transavanguardia, o che fa ogni giorno Toscano con i prodotti che vende, o l'Einaudi con i Cannibali: puro marketing».
Con la consueta cortesia, Edoardo Sanguineti - anch'egli da Bologna - chiude: «È un peccato che Valerio abbia perso il gusto di litigare amabilmente, come facevamo nelle nostre riunioni. Eravamo un gruppo di amici nemici che si scontravamo anche duramente, ma sempre in modo ragionevole, argomentando. Poi ognuno è andato per la sua strada. Non eravamo certo una cordata d'assalto, una lobby. Non so cosa gli sia preso con queste accuse a Balestrini. So solo che Riva adesso è di destra, un berlusconiano d'ordine. Forse con questa operazione vuole correggere l'immagine che di lui si aveva come direttore editoriale di una casa di sinistra come la Feltrinelli. Ognuno - conclude Sanguineti - è libero di manipolare il suo passato come meglio crede». In omaggio a Eco, il gruppo '63 rimane un'opera aperta, dove una rosa può non essere una rosa.
LETTERA DI REPLICA DI VALERIO RIVA A IL RIFORMISTA
Caro Direttore, vedo che un'affermazione alquanto scalcagnata di Nanni Balestrini (che cioè io sarei un «caso clinico») diventa sul suo bel giornale un titolo a quattro colonne. Il che fa oggettivamente un'ingiuria. Ma stia tranquillo: non ho nessuna intenzione di querelarla. Semplicemente perché se le querele non mi piacciono quando ne sono io la vittima, figurarsi quando dovrei farne io ad altri.
Così come non ho intenzione stare a polemizzare con Sanguineti: noto solo che da quando ne feci un fenomeno nazionale ad oggi deve essere sceso ben in basso. Berlusconiano d'ordine io? Manipolatore del mio proprio passato? Ma se non faccio che vantarmi d'essere stato direttore editoriale della Feltrinelli? Di aver pubblicato il Dottor Zivago? Di aver scoperto e pubblicato spesso in anteprima mondiale gli scrittori del boom latinoamericano, "Cent'anni di solitudine" compreso? E naturalmente di avere anche inventato il Gruppo 63. Per non parlare di tutto il resto.
Sostiene Balestrini che io mi limitavo ad «andare alle loro riunioni come osservatore per la Feltrinelli»: si dimentica che io pubblicavo i loro libri, pagavo i loro conti, davo corpo alle loro aspirazioni, li toglievo dall'anonimato di solitari scrittori di provincia. Allora, fuori del mio ufficio facevano la fila. Adesso fanno finta di essere nati sotto i cavoli. Che vuol che le dica? Kurt Wolff, Brice Parrain, Jason Epstein erano meglio o peggio degli scrittori che scoprivano e pubblicavano? E tuttavia si trattava di nomi da Kafka in giù. E qui di Kafka non ne vedi poi tanti.
Grazie dell'ospitalità
Valerio Riva
Dagospia.com 13 Maggio 2003