STUPRO CON APPLICAZIONE – PERMESSO REVOCATO A UBER A NEW DELHI DOPO LO STUPRO DI UNA CLIENTE – IL SITO PARLAVA DI “CONTROLLI RIGOROSI” SUGLI AUTISTI, MA L’AUTISTA ERA GIÀ STATO IN GALERA PER VIOLENZA SESSUALE
Maria Grazia Coggiola per “la Stampa”
Una batosta per Uber, il servizio internazionale di taxi on-line, questa volta a New Delhi, la città che da due anni si è conquistata la triste reputazione di «capitale degli stupri». La start-up americana è stata messa al bando e inserita nella black list dopo lo stupro di una giovane di 27 anni che venerdì sera aveva chiamato con il telefonino un taxi per tornare a casa dopo una cena con amici.
Il tassista arrestato, Shiv Kumar Yadav , di 32 anni e padre di tre figli, è risultato un personaggio poco raccomandabile. Era già stato in prigione con l’accusa di stupro e dopo essere stato scarcerato era stato ingaggiato da Uber sei mesi fa evidentemente senza un adeguato controllo delle referenze. Un compito che è arduo in un Paese caotico e ancora corrotto come l’India nonostante gli sforzi del dinamico premier della destra Narendra Modi.
Assicurare il trasporto pubblico nella megalopoli da 18 milioni di abitanti è una sfida da supereroi. La nuova rete metropolitana, fiore all’occhiello di Delhi, trasporta 1,5 milioni di persone al giorno, ma chiude alle 11 di sera. Le decine di migliaia di «tuc tuc» gialli e verdi assicurano soltanto i brevi spostamenti e anche loro fino a una certa ora. Fino a pochi anni fa, gli unici taxi disponibili erano le Ambassador, quasi sempre sgangherate e decisamente sgradevoli dal punto di vista olfattivo.
L’arrivo dei radio taxi come Easy Cabs, Mega Cabs and Meru è stato quindi accolto con grande entusiasmo soprattutto dalle donne single che si sentivano più sicure su auto dotate di Gps e seguite da una centrale operativa. Poi, da pochissimo, sono arrivate le app, come Olacabs e Taxi For Sure, in pratica dei «cloni indiani» di Uber. A differenza dei radio taxi che hanno una flotta e dei tassisti assunti, i taxi via smartphone occupano uno spazio che non è ancora regolamentato. Le irregolarità riscontrate in India, dopo il clamore dello stupro, sono quelle comuni a molti altri Paesi.
Il dipartimento dei Trasporti di Delhi ha revocato il permesso a Uber con il motivo che «ingannava i clienti». Sul website della società, nel capitolo sicurezza, si legge infatti che «gli autisti di corse condivise o di società a noleggio vengono sottoposti a controlli rigorosi, impostati su standard che migliorano di giorno in giorno». E così non è stato per il tassista che, mentre la donna dormiva, ha parcheggiato in una zona isolata dove l’ha stuprata dopo aver bloccato le portiere. Poi, convinto di passarla liscia, l’ha portata a casa minacciandola di ucciderla se lo avesse denunciato.
La messa al bando di Uber a New Delhi (rimane comunque in altre sei città indiane) di sicuro farà gioire l’agguerrita concorrenza e anche la lobby dei tassisti. La società fondata dal dropout Travis Kalanick era stata accusata ad agosto di violare le norme per le transazioni di valuta straniera accettando carte di credito internazionali e di memorizzare sul proprio sito i codici usati per il pagamento. In un tweet, Kalanik che ha concepito Uber nel 2008 in una notte di gelo a Parigi quando non riuscì a trovare un taxi, è passato al contrattacco ricordando le «lacune» del governo nei controlli delle licenze di trasporto commerciale.
È paradossale che il boom dei taxi via smartphone sia iniziato proprio dopo la morte di una studentessa di New Delhi, soprannominata Nirbhaya (colei che non ha paura), stuprata selvaggiamente su un autobus dal conducente e da altri cinque compari. Il secondo anniversario del tragico fatto ricorre tra pochi giorni e questa nuova violenza sessuale, questa volta su un taxi, dimostra come poco sia cambiato da allora nonostante le leggi più severe e le proteste delle femministe.