1- GRECIA ALLA DERIVA, ITALIA-CRAC: FORSE È ARRIVATO IL MOMENTO CHE IL GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA, IGNAZIO VISCO, PRENDA IL CORAGGIO A DUE MANI E METTA UN PO’ DI ORDINE PER EVITARE CHE L’ISTERIA E IL PANICO PRENDANO IL SOPRAVVENTO 2- SOLO PAOLO SAVONA, EX BANKITALIA ED EX-MINISTRO DELL’INDUSTRIA, SOSTIENE CHE SIA ARRIVATO IL MOMENTO DI AVERE UN PIANO B PER DECIDERE L’USCITA DALL’EURO 3- I 38 DIPENDENTI LICENZIATI DALLA RAI CORPORATION DIMENTICATI DALLA STAMPA ITALIANA 4- LE GRANDI MANOVRE PER METTERE LE MANI SUL CONI (GESTISCE 409 MILIONI DI EURO) SONO IN PIENO SVOLGIMENTO. I DUE CANDIDATI: RAFFAELE PAGNOZZI E MEGALÒ MALAGÒ 5- A PHILADELPHIA CELEBRA LA FESTA DELLA REPUBBLICA NELLA SEDE DI AGUSTA WESTLAND 6- MUSSARI È PARTICOLARMENTE INQUIETO. DOMANI SI TERRÀ A MILANO LA RIUNIONE DEI SAGGI INCARICATI DI INDIVIDUARE IL NOME DI CHI GUIDERÀ L’ABI PER I PROSSIMI TRE ANNI

1- GRECIA ALLA DERIVA, ITALIA-CRAC: DOVE SI E' NASCOSTO IL GOVERNATORE DELLA BANCA D'ITALIA, IGNAZIO VISCO?
Ai piani alti della Banca d'Italia nessuno si lascia scappare una parola sulla crisi della Grecia e sull'eventualità di un contagio a catena che arriverebbe a toccare anche l'Italia.

Eppure è difficile pensare che in qualche anfratto di via Nazionale (magari dentro l'Ufficio Studi) qualcuno non abbia cominciato già da alcuni mesi a ipotizzare le conseguenze di un default che potrebbe essere ben più drammatico di quanto finora si è immaginato.

Oggi è uscita la notizia che il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha autorizzato il rinnovo degli abbonamenti alle tre agenzie di rating Standard&Poor's, Fitch e Moody's per disporre dei loro report sui rating.

A quanto scrive il quotidiano "Italia Oggi" la Banca d'Italia spenderà 440mila euro per saperne di più sullo stato di salute degli Stati sovrani e delle banche, e forse i tanto deprecati giudizi delle tre agenzie che ieri il placido presidente della Consob, Vegas, ha bacchettato, sono gli strumenti principali sui quali anche Bankitalia valuta le dimensioni della tragedia iniziata nel 2009 all'ombra del Partenone.

Poi, oltre ai report delle tre agenzie, a Palazzo Koch leggono i giornali che negli ultimi giorni hanno dedicato un grande spazio agli scenari provocati dall'uscita dall'euro.

Uno degli articoli più raggelanti è sicuramente quello apparso su "Repubblica" sabato scorso a firma del giornalista Ettore Livini che ha descritto il crollo della Grecia sulla falsariga di una sceneggiatura teatrale. Chi ha avuto lo stomaco di leggere l'articolo fino in fondo sarà rimasto senza fiato perché l'Apocalisse finanziaria è scandita in una serie di drammatici passaggi che si concludono con una "Caporetto per i mercati e una via crucis per Italia e Spagna".

A rendere ancora più inquietante è la conclusione (strillata peraltro nel titolo del pezzo) dove si dice che secondo i calcoli di un anno fa, formulati dalla banca svizzera Ubs, gli italiani e gli spagnoli pagherebbero tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa all'anno per l'addio all'euro di Atene.

Questa cifra genera altra confusione e contrasta con l'opinione corrente secondo la quale in realtà sulla nostra testa e su quella degli spagnoli calerebbe un costo tra i 1.000-2.000 euro. In questa situazione la Banca d'Italia preferisce tacere e non anticipare qualsiasi tipo di conclusione.

Se continua così assisteremo a un crescendo di illazioni tali da incoraggiare il panico e la tesi di chi sostiene che anche per l'Italia è arrivato il momento di abbandonare la moneta unica. A scaldare il fronte dei catastrofisti non ci sono solo gli articoli dei giornali fondati su ipotesi fantasiose e sui report di banche svizzere interessate a incamerare i capitali in fuga.

C'è anche un fronte di economisti che ce la mette tutta a spiegare che delle 160 crisi finanziarie registrate tra il 1975 e il 2010, questa è di gran lunga la peggiore, più grave addirittura di quella degli anni '30 quando il cocktail micidiale di stagnazione, depressione, guerre valutarie e insolvenze dei debiti sovrani, generò un'instabilità politica foriera di esiti nefasti per l'Europa.

A parte il solito Soros che alla bella età di 82 anni sembra pronto a ripetere la performance del settembre '92 quando scatenando la speculazione mise in ginocchio la sterlina, ecco arrivare dall'America i gridi d'allarme del barbuto economista Paul Krugman che sul "New York Times" prevede per la Grecia un massimo di 30 giorni di resistenza. E naturalmente non può mancare Nouriel Roubini, il godereccio economista che per primo ha previsto la crisi dei subprime e già nel 2011 scriveva: "Marx aveva ragione. Il capitalismo a un certo punto può autodistruggersi".

Sul fronte italiano sono in pochi gli studiosi che si spingono a dire che l'uscita dall'euro non è una catastrofe. In generale il fronte degli economisti guidati dal triste Quadro Curzio e dal grafomane Angelo De Mattia (ex-braccio destro in Banca d'Italia di Antonio Fazio) preferisce scacciare dagli occhi l'ipotesi dell'Armageddon.

Uno dei pochi che parla in senso contrario è Paolo Savona, l'ex-ministro dell'Industria (messo scioccamente ai margini da Unicredit dove curava le riviste scientifiche) che sostiene sia arrivato il momento di avere un piano B per decidere l'uscita dall'euro in modo da non subire le scelte altrui.

Questa tesi Savona l'ha già accennata in un convegno di alcuni mesi fa promosso dalla Fondazione Roma, ma adesso l'ha sviluppata nel libro "Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi" che sarà presentato a Firenze a metà giugno. Il suo ragionamento arriva a ipotizzare che nonostante un ritorno all'inflazione nell'ordine del 18-20% "il vantaggio sarebbe che riprenderemmo il controllo della quantità di moneta, dei tassi di interesse e del rapporto di cambio, ossia di alcune tra le variabili strategiche per governare l'economia e responsabilizzare gli elettori".

È difficile capire se questo scenario è condiviso anche alla Banca d'Italia dove Savona è cresciuto accanto a Guido Carli. Ai piani alti di Palazzo Koch continuano a leggere i report delle agenzie di rating e nella logica low profile inaugurata da Visco nessuno sembra avere il coraggio di azzardare scenari su un dramma ormai alle porte.

È lo stesso atteggiamento che tiene in questo momento la BCE di Mario Draghi, ma forse è arrivato il momento che qualcuno prenda il coraggio a due mani e metta un po' di ordine per evitare che l'isteria e il panico prendano il sopravvento.


2- I 38 DIPENDENTI LICENZIATI DALLA RAI CORPORATION DIMENTICATI DALLA STAMPA ITALIANA
C'è un gruppo di disgraziati che cammina per le strade di New York in attesa di conoscere il suo destino.

Sono i 38 dipendenti licenziati dalla Rai Corporation, la società fondata nel gennaio 1960 che ha chiuso i battenti il 12 aprile di quest'anno. Con un blitz privo di spiegazioni la direttora di viale Mazzini, Lorenza Lei, ha buttato sul lastrico la pattuglia dei professionisti e dei tecnici che per anni hanno curato la trasmissione dei programmi italiani sul territorio americano.

La vicenda è piccola ma emblematica del modo pasticciato e confuso con cui a Roma affrontano i problemi aziendali. Dopo il licenziamento è uscita la notizia che d'ora in avanti la Rai avrebbe potuto avvalersi dei servizi dell'Associated Press, ma a Dagospia risulta che non esiste alcun contratto con la grande agenzia di informazione americana che per assolvere a un'intesa di massima raggiunta con la Rai utilizza addirittura dei services esterni.

Nel frattempo l'affitto per i locali occupati a Manhattan dalla Rai Corporation continua a correre, ma le stanze sono vuote perché le attrezzature che appartenevano all'emittente in lingua italiana sono state messe all'asta online (la prima vendita avverrà mercoledì 2 maggio alle 10 del mattino). Da parte loro i 38 dipendenti hanno scioperato inutilmente davanti al Consolato dove hanno posto il problema delle crisi familiari derivanti dal venir meno dopo il licenziamento dei visti Usa che comportano il rischio di un rimpatrio obbligato in Italia.

Adesso corre voce che qualcuno sarà riassunto per far fronte alle esigenze più impellenti, ma sarebbe bene che la causa di questi "giapponesi" dimenticati nella guerra di viale Mazzini destasse più attenzione nella stampa italiana.


3- LE GRANDI MANOVRE PER METTERE LE MANI SUL CONI
Le grandi manovre per mettere le mani sul Coni sono in pieno svolgimento.

L'elezione del presidente Petrucci a sindaco di San Felice Circeo ha risvegliato l'interesse di chi vuole gestire questa macchina per lo sport composta da 45 federazioni e alla quale sono affiliate poco meno di 100mila società sportive.

Il Coni ha una storia iniziata nel 1914 ed è sempre stato considerato un formidabile strumento politico, basti pensare alle gestioni di personaggi come Giulio Onesti che fu nominato commissario fino al 1946 poi presidente fino al 1978.

E la stessa impronta l'hanno avuta le presidenze di Franco Carraro, Arrigo Gattai, Mario Pescante e dello stesso Petrucci, un uomo che nel Governo Berlusconi e in Gianni Letta ha trovato un formidabile puntello di potere. D'altra parte questa struttura gestisce 409 milioni di euro ed è chiaro che un tesoretto di queste dimensioni fa gola a chi intende distribuirlo tenendo d'occhio gli interessi della politica.

Allo stato attuale i due candidati alla successione di Petrucci sono Raffaele Pagnozzi e Giovanni Malagò (per gli amici Megalò). Il primo è un avellinese di 64 anni che dal 1993 è segretario generale e rappresenta il braccio destro di Petrucci. Il secondo, Malagò-Megalò, è quel personaggio che dalla piccola cabina di regia del circolo Canottieri Aniene riesce a gestire un network di amicizie trasversali che hanno comunque come punto di riferimento principale Luchino di Montezemolo. Di fronte all'evoluzione dello scenario politico dove il presidente della Ferrari potrebbe occupare un ruolo importante, il Coni guidato dall'amico di vacanze Malagò diventa un tassello per nulla secondario.

Finora nessuno a Palazzo Chigi e al ministero del Turismo guidato dal commercialista di Bologna Piero Gnudi, si è pronunciato sulla successione di Petrucci, ma ai tecnici del governo non è sfuggita l'agitazione di Giovannino che a marzo nel giorno della Festa della Donna ha scelto il salone d'onore del Coni per presentare il libro scritto insieme alla giornalista Nicoletta Melone sulle 17 ragazze che hanno primeggiato nello sport italiano.

A disturbare l'accoppiata dei candidati è arrivato negli ultimi tempi un terzo personaggio: Renato Di Rocco, il calvo e baffuto presidente della Federazione del Ciclismo. Costui a marzo si è laureato in Scienze Motorie all'università Foro Italico di Roma con 110 e lode ed è considerato uno dei dirigenti più preparati a raccogliere l'eredità di Petrucci. A suo merito va detto che con una serie di tagli al budget Di Rocco si è distinto rispetto ai presidenti delle altre Federazioni.


4- A PHILADELPHIA, IL CONSOLE ITALIANO A PHILADELPHIA, LUIGI SCOTTO, HA DECISO DI CELEBRARE LA FESTA DELLA REPUBBLICA NELLA SEDE DI AGUSTA WESTLAND
Avviso ai naviganti N.1: "Si avvisano i signori naviganti che con una scelta davvero curiosa e ignara di ciò che sta avvenendo in Italia, il console italiano a Philadelphia, Luigi Scotto, ha deciso di celebrare la Festa della Repubblica del 2 giugno fuori dall'edificio rinascimentale dove ha sede il Consolato.

Per l'evento che ha già allertato i principali esponenti della comunità italiana, l'ineffabile Scotto ha preferito la sede di Agusta Westland, la società di Finmeccanica che dal 2005 ha aperto gli uffici nella città americana".


5- MUSSARI È PARTICOLARMENTE INQUIETO
Avviso ai naviganti N.2: "Si avvisano i signori naviganti che Peppiniello Mussari, l'ex-presidente di MontePaschi e attuale presidente dell'Abi, l'Associazione dei banchieri, è particolarmente inquieto.

Domani si terrà a Milano la riunione dei saggi incaricati di individuare il nome di chi guiderà l'Abi per i prossimi tre anni. All'incontro parteciperanno anche Abramo-Bazoli e Federico Ghizzoni che dovranno valutare l'opportunità di una riconferma per Peppiniello entrato nella bufera della banca senese. L'orientamento prevalente dei saggi è di una riconferma salvo sorprese della magistratura".

 

 

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