
L’AMERICA È SU UN PIANO INCLINATO VERSO IL CROLLO DEI MERCATI? – C’È UN PRECEDENTE INQUIETANTE, QUELLO DEL 19 OTTOBRE 1987, IL “LUNEDÌ NERO” DI WALL STREET, QUANDO LA BORSA USA PERSE IL 22%. PRIMA DI QUEL GIORNO, IL DOLLAR INDEX ERA SCESO DEL 7% RISPETTO ALL’INIZIO DELL’ANNO. E REAGAN SPINGEVA ATTIVAMENTE PER UN ULTERIORE INDEBOLIMENTO: IL SEGRETARIO AL TESORO, JAMES BAKER, SOLLECITAVA LA FED A RIDURRE IN MODO AGGRESSIVO I TASSI, PER FAR SCENDERE ANCORA DI PIÙ LA MONETA VERDE. RICORDA QUALCOSA?
Traduzione di un estratto dell’articolo di Mark Hulbert per https://www.marketwatch.com/
LUNEDI NERO A WALL STREET - 19 OTTOBRE 1987
La settimana appena trascorsa è stata positiva per il Dollar Index statunitense — la migliore dall’ottobre 2022, in effetti. Un netto contrasto con la prima metà di quest’anno, quando l’indice ha perso quasi l’11% — il peggior rendimento semestrale da quando è stato creato, nei primi anni ’70.
Guardando al passato, si potrebbe pensare che il dollaro debole abbia giovato alle azioni statunitensi, dato il rendimento totale del 6,2% dell’S&P 500 durante questo recente periodo di calo del dollaro. Ma il mercato azionario USA ha ottenuto risultati eccezionali anche in anni in cui il dollaro era insolitamente forte. Forse, quindi, le oscillazioni del dollaro non contano poi tanto per gli investitori […].
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Oppure, forse, se la Federal Reserve dovesse ridurre i tassi d’interesse in modo aggressivo — come l’amministrazione Trump desidera — e il dollaro crollasse di conseguenza, il mercato azionario potrebbe reagire negativamente.
È già successo: nell’ottobre del 1987.
Per approfondire, ho prima esaminato la performance del Dollar Index sia come indicatore coincidente che come indicatore anticipatore degli utili per azione (EPS) dell’S&P 500.
Come indicatore coincidente, ho trovato ben poco. Misurato attraverso una statistica chiamata r-quadro, i cambiamenti annuali del Dollar Index dal 1973 sono riusciti a spiegare o prevedere solo l’1% delle variazioni contemporanee degli utili per azione dell’S&P 500.
LUNEDI NERO A WALL STREET - 19 OTTOBRE 1987.
Questo r-quadro vicino allo zero si spiega con il fatto che la relazione tra le variazioni annuali del dollaro e gli EPS è stata molto variabile: a seconda del quinquennio analizzato dal 1973 in poi, la correlazione va da un massimo di 0,44 a un minimo di -0,83.
E come indicatore anticipatore? Ho esaminato se il tasso di variazione annuale del dollaro sia correlato al tasso di crescita futuro degli EPS. Ma la conclusione è stata simile. […] la correlazione tra il cambiamento del dollaro nei 12 mesi precedenti e la crescita degli EPS nei 12 mesi successivi, per ogni quinquennio dagli anni ’70 in poi […] non è affatto stabile.
A metà degli anni ’90 e nuovamente nel periodo che ha preceduto la crisi finanziaria globale del 2008, la correlazione era fortemente positiva — ovvero, un dollaro più forte corrispondeva a una crescita più rapida degli utili. Al contrario, negli anni ’80 e nei primi anni 2000 la correlazione era fortemente negativa. Su tutto il periodo dal 1970, le variazioni annuali del DXY spiegano solo lo 0,4% della crescita futura degli EPS dell’S&P 500 (sempre secondo l’r-quadro).
Il calo del dollaro causò il crollo di Wall Street del 1987?
In entrambi i casi — indicatore coincidente o anticipatore — non sembra esserci una base statistica per concludere che un dollaro in discesa sia di per sé positivo o negativo per gli investitori statunitensi.
Ma esiste una base non statistica per preoccuparsi: un inquietante parallelo con l’ambiente finanziario delle settimane che precedettero il crollo di ottobre 1987. Quel giorno — il “lunedì nero” — il Dow Jones perse il 22,6% in una sola seduta.
Sebbene le cause del crollo del 1987 siano molteplici, il crollo del dollaro fu uno dei fattori principali. In casi estremi, quindi, un dollaro in caduta libera potrebbe davvero meritare l’attenzione degli investitori.
Prima del lunedì nero, il Dollar Index era sceso del 7% rispetto all’inizio dell’anno. Ciò che sembrava preoccupare in modo particolare gli investitori era il fatto che l’amministrazione Reagan stesse spingendo attivamente per un ulteriore indebolimento del dollaro.
All’epoca, il segretario al Tesoro James Baker sollecitava pubblicamente la Federal Reserve a ridurre in modo aggressivo i tassi d’interesse, con l’obiettivo dichiarato di stimolare l’economia e far scendere ancora di più il dollaro.
Randall Forsyth, caporedattore di Barron’s, nella sua cronaca del crollo del 1987 scrive che i commenti di Baker, nella settimana che precedette il lunedì nero, “erano intesi a spingere il dollaro verso il basso rispetto al marco tedesco e ad altre valute.
Un dollaro debole era preferibile a tassi più alti, che Baker considerava una minaccia alla ripresa economica americana, soprattutto con le elezioni del 1988 all’orizzonte. I mercati reagirono svendendo le azioni… La prospettiva di una guerra valutaria rese gli asset rischiosi, soprattutto le azioni sopravvalutate, troppo pericolosi.”
I parallelismi con l’attuale clima finanziario e politico sono preoccupanti. Le azioni oggi sono ancora più sopravvalutate, e ancora una volta un’amministrazione presidenziale conflittuale sta facendo forti pressioni sulla Fed per abbassare i tassi. Inutile dire che un taglio dei tassi renderebbe quasi certamente il dollaro ancora più debole rispetto alle valute straniere.
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Ovviamente, il crollo del 1987 è solo un esempio, e non c’è alcuna garanzia che la storia si ripeta. Ma la storia fa rima — e in questo caso, la rima è inquietante.
LUNEDI NERO A WALL STREET - 19 OTTOBRE 1987
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