1. COSA PENSA “ESATTAMENTE” MARPIONNE DELL’OPERAZIONE RCS-CORRIERE DI YAKI ELKANN? 2. L’INFORMAZIONE È UNA SPECIE DI RAMO SECCO CHE CON “LA STAMPA” HA PROCURATO 35 MILIONI DI PASSIVO E CHE DENTRO RCS POTREBBE SOTTRARRE ALTRE RISORSE ALLA FIAT 3. FORSE E’ SOLO UN MODO DI SBOLOGNARE I CARI RAGAZZI DI CASA FIAT. GIOCATE PURE: TU LAPO CON ‘ITALIA INDEPENDENT’, TU YAKI CON I DUE QUOTIDIANO DI TORINO E MILANO, E ANCHE TU LUCHINO CON LE “ROSSE” DI MARANELLO CHE TI PORTANO GRANDI GUADAGNI 4. C’È DA ASPETTARSI CHE ENTRO POCHI MESI I GIOCATTOLI DI CARTA DI YAKI PASSINO ALLA EXOR, LA CASSAFORTE DI FAMIGLIA CHE SE LA PASSA DI GRAN LUNGA MEGLIO DELLA FIAT 5. NUOVO SCHIAFFONE DI ELKANN ALLO SCARPARO: “VEDRÒ I SOCI PATTO, NON DELLA VALLE”

Nessuno finora è riuscito a capire che cosa pensi esattamente Sergio Marpionne sull'operazione condotta da Yaki Elkann che con 93 milioni di euro potrebbe sedersi come azionista di maggioranza nel salotto disastrato di Rcs.

Il manager dal pullover sgualcito che gli americani hanno celebrato come lo Steve Jobs dell'automobile, tiene la bocca chiusa e probabilmente aspetta il 5 luglio quando l'aumento di capitale sarà completato e tutti gli azionisti verranno allo scoperto. Mentre i giornali di sabato davano fiato alle trombe per il 37enne primogenito di Margherita Agnelli che nel 2010 è diventato presidente di Fiat Group, Marpionne ha fatto un blitz nello stabilimento di Pomigliano facendosi fotografare con gli operai, un'immagine che ha provocato una fitta al cuore del leader della Fiom Landini.

Non è un mistero che il capo di Fiat-Chrysler consideri questo stabilimento, che porta il nome di Giambattista Vico, l'unica realtà che merita di difendere in Italia, il Paese dove, come ha scritto l'anno scorso l'ex-direttore dell'"Economist" Bill Emmott, Marpionne è più detestato che amato. Ai suoi occhi Pomigliano è un gioiello che ha già ricevuto la benedizione da parte del guru giapponese Yamashina, un più che 60enne che ha girato tutto il mondo per convincere le grandi fabbriche ad adottare con qualche adattamento le leggi ferree del "toyotismo" dove l'organizzazione del lavoro è la chiave per la competitività e la globalizzazione.

In quest'ottica, tutta industriale, il figlio del carabiniere Concezio si sente lontano dal gioco italiano della politica, della burocrazia e dell'informazione che smorzano l'"improvvisazione creatrice". Nella sua partita a poker (il gioco che predilige con Chiamparino mentre sente la musica di Bach e di Mozart), non c'è spazio per andare oltre il core business dell'automobile. Tutto il resto appartiene a un alfabeto arcaico o strumentale ed è improvvisazione.

Non si capisce se questo giudizio lo porti a considerare i movimenti del giovane Yaki con occhio indulgente oppure nasconda uno scetticismo che sfiora l'incazzatura. Di certo si sa soltanto che per un uomo che in 30 giorni è riuscito a chiudere con Obama la partita della Chrysler, l'informazione è una specie di ramo secco che con "La Stampa" di Torino ha procurato 35 milioni di passivo e che dentro Rcs potrebbe sottrarre altre risorse alla società che nel giugno 2004 la Sacra Famiglia degli Agnelli gli ha messo tra le mani in un momento tragico.

Certamente, prima di raccogliere il testimone dell'auto il manager dal pullover sgualcito avrà avuto modo di capire che il "Corriere della Sera" è sempre stato nel cuore della Scra famiglia torinese e dell'Avvocato. E magari qualcuno gli ha ricordato ciò che avvenne all'inizio del 1973 quando per la prima volta Gianni Agnelli entrò come azionista nel giornale di via Solferino.

A quell'epoca Marpionne aveva solo 21 anni e dopo le due lauree in filosofia e in economia-commercio si faceva le ossa come sportellista part-time prima di mettere un piede dentro la società di certificazione Deloitte e iniziare la folgorante carriera che dal Canada lo ha portato in Svizzera e poi in Italia.

Per rinfrescare la memoria potrebbe rileggere un libro del 1977 scritto dal giornalista Giampaolo Pansa "Comprati e venduti" dove si racconta la storia dei giornali e del potere negli anni '70. Erano gli anni della grande battaglia della chimica quando Eugenio Cefis, il petroliere Monti e Rovelli tentavano di mettere le mani sul "Corriere" per difendere i loro interessi industriali e politici.

Alla fine degli anni ‘60 il "Corriere della Sera", un pezzo dell'impero tessile dei Crespi, andava benissimo, tirava 630mila copie (710mila il lunedì) ma come avviene oggi tutto il resto , e in particolare i periodici, facevano acqua da tutte le parti. Fu Giulia Crespi a rifiutare l'ultima offerta di 28 miliardi di lire da parte di Rovelli e a decidere di salvare la casa editrice del "Corriere" mettendosi nelle mani dell'amico Gianni Agnelli.

Racconta Pansa nel suo libro che i due si conoscevano da ragazzi e che per l'Avvocato salvare il "Corriere" voleva dire salvare un'istituzione della borghesia imprenditoriale e mettere un avamposto su Milano per contenere le ambizioni di Eugenio Cefis. La trattativa si concluse in un ufficetto del centro di Torino dove Giulia Maria arrivò con il suo avvocato Alberto Predieri (lo stesso che ha gestito per oltre 15 anni la liquidazione dell'Efim) mentre Agnelli era accompagnato dal vicedirettore de "La Stampa" Giovanni Giovannini, e assistito dallo studio romano di Pasquale Chiomenti.

La conclusione del patto o pattone (come lo definisce Giampaolo Pansa) portò l'Avvocato a cacciare 14 miliardi per un terzo della casa editrice mentre altri 14 furono messi da Moratti dietro il quale tutti vedevano la manina dell'Eni.

Oggi la situazione è molto diversa, ma quella storia del '73 spiega come l'amore per l'editoria abbia sempre vibrato nel cuore cinico dell'Avvocato fino al punto da lasciare sul letto di morte un messaggio di speranza per le sorti del "Corriere" che fu raccolto dal banchiere Abramo-Bazoli, lo stesso che a distanza di 10 anni dalla scomparsa di Agnelli continua ad essere un protagonista nella lunga avventura del giornale.

Questo lascito spirituale oggi ispira le operazioni di Yaki, il primogenito di Margherita che venerdì ha spiazzato tutti con l'annuncio del 20% di Rcs pagato cash per 90 milioni. E guarda caso nello stesso giorno anche il fratello Lapo (più giovane di un anno) ha fatto salti di gioia per la quotazione della piccola società "Italia Independent" che ha esordito in Borsa con uno strappo del 30%, salutata dai giornali compiacenti come se a Piazza Affari si fosse quotato Del Vecchio, il patron degli occhiali.

Resta il fatto che i due "ragazzi" sembrano aver messo , a dispetto di Dieguito Della Valle, i pantaloni lunghi per inoltrarsi nel sentiero impervio dell'informazione e della finanza.

Da parte sua Marpionne che è nato 25 anni prima conosce l'entusiasmo, la ricchezza e i limiti dei due rampolli. Sa benissimo che di fronte al motore di un'automobile Yaki potrebbe arrossire pudicamente e citare Aristotele, il primo a parlare di un "motore immobile", mentre è giusto che Lapo, dopo anni di espiazione per le marachelle erotiche, cominci a giocare.

Davanti a lui ci sono due ragazzi che nel 2003 quando morì l'Avvocato sono stati messi sulle spalle di Luchino di Montezemolo (un fardello di pannolini e di incompetenza) prima di sgambettare dentro e fuori dalla Fiat. Adesso, cari ragazzi, giocate pure: tu Lapo con il brand Italia Independent, tu Yaki con i due quotidiano di Torino e Milano, e anche tu Luchino con le "rosse" di Maranello e con gli altri giocattoli del made in Italy che ti portano grandi guadagni.

Però, per cortesia, (qui siamo entrati impropriamente nella testa di Marpionne) cercate di non rompermi i coglioni e anche se vi è sfuggito il mio disegno industriale planetario sappiate che - come ha scritto il mio fustigatore Mucchetti sull'"Unità" - i vostri giocattoli sono nei "recinti di un passato" che ha un valore soprattutto sentimentale.

L'importante è che questi giochini, aggiunti al gioco italiano e ai riti della politica, non compromettano la mia funzione di "imperatore delegato" che si muove su un paradigma diverso da quello del capitalismo familiare perche' io parlo con Obama piuttosto che con Scott Jovane e lo scarparo marchigiano Della Valle.

Se poi le vostre operazioni servono a tenere alto il vessillo sabaudo e a presidiare un Paese dove solo lo stabilimento di Pomigliano d'Arco vale la pena di essere salvato, allora giocate pure e usate i giornali per giustificare la cassa integrazione che quel Landini continua a rinfacciare come un favore ingiustificato.

Però, c'è un però grande come una casa che tocca il vile denaro, cioè le risorse con cui la commedia del Gruppo Rcs e i buchi de "La Stampa" possono essere risolti.

Se l'obiezione di Marpionne è questa, se cioe' va a toccare i quattrini da spendere per rifare il puzzle di RCS, allora c'è da aspettarsi che entro pochi mesi la quota di Yaki nel giocattolo Rcs e ogni altro disegno di integrazione tra Milano e Torino passino sotto il cappello di Exor, la cassaforte di famiglia che se la passa di gran lunga meglio della Fiat. L'esito sembra scontato e inevitabile.

Ad avvalorare questa tesi è la decisione presa all'inizio di giugno da parte di Yaki e della Sacra Famiglia di vendere per 2 miliardi il 15% di Sgs, la società svizzera leader mondiale nella certificazione. L'operazione è stata brillante e a aggiunto un altro miliardo all'1, 2 già esistenti nelle casse della holding.

Sarebbe sciocco pensare che questa operazione sia stata fatta dal giovane Yaki all'insaputa dell'imperatore delegato Marpionne e forse è bene ricordare che prima di sbarcare a Torino nel 2004 per salvare la Fiat, il manager dal pullover sgualcito ha guidato dal 2002 proprio la Sgs di Ginevra portando risultati stupefacenti che gli hanno spalancato i cancelli del Lingotto e i cancelli sabaudi.

Non c'è quindi ostilità o contrapposizione tra i rampolli , eredi di una borghesia in declino, e il figlio del carabiniere Concezio. C'è soltanto un gioco diverso che deve essere fatto su tavoli diversi in nome di una filosofia e di una visione che lascia poco spazio ai sentimenti.

In caso contrario e se per caso Yaki volesse salvare il "Corriere" e Rcs soltanto per mettere alle corde lo scarparo maleducato, allora la distanza tra Torino, Milano e Detroit diventerebbe incolmabile. Ma nemmeno l'erede designato di Gianni Agnelli vuole arrivare a tanto e secondo quanto si dice oggi a Milano , dopo aver presentato la regata Transpac sponsorizzata da Maserati, entrerà nell'ufficio del patriarca Bazoli che vuole lanciare un ramoscello d'ulivo a quel Dieguito, massimo esperto di scarpe e di harakiri finanziari.

RCS: ELKANN; VEDRO' SOCI PATTO, NON DELLA VALLE
(MF-DJ)
--"L'unico incontro di cui sono al corrente e' quello che dovrebbe svolgersi a fine mese, quando questo processo di aumento di capitale sara' concluso".

Cosi' risponde il presidente di Fiat ed Exor, John Elkann, a chi gli chiedeva - a margine di un evento a Milano - se avesse in programma un incontro con il patron di Tod's, Diego Della Valle.

Fiat ha comunicato venerdi' scorso al mercato di aver rastrellato diritti per l'aumento di capitale di Rcs che, in caso di effettivo esercizio, porteranno il Lingotto a detenere una partecipazione complessiva del 20,2% nel capitale della casa editrice milanese. Al momento non e' chiaro, invece, che cosa voglia fare Della Valle che nel recente passato ha piu' volte attaccato il rampollo di casa Agnelli per le vicende legate a Via Solferino.

"Non mi risulta che sieda nel patto", ha concluso Elkann rispondendo a chi gli chiedeva se all'incontro programmato per fine mese prendera' parte anche l'imprenditore marchigiano.

 

margherita agnelli john elkann2 lapMARCHIONNE MONTEZEMOLO YAKI ELKANN Gianni e Margherita Agnelli il giorno delle nozze con John Elkann SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN FOTO ANSA JOHN ELKANN E SERGIO MARCHIONNE jpegil Presidente de La Stampa e di Fiat John Elkann e lAd di RCS Pietro Scott Jovane NAPOLITANO SALUTA ALLA MESSA PER AGNELLI TRA LAPO E JOHN ELKANN E PIERO FASSINO FOTO LA STAMPA POMIGLIANO - FIATelkann napolitano calabresi ELKANN DELLA VALLE PERRONE ELSA FORNERO CON JOHN E LAPO ELKANN FOTO LA STAMPA ABETE DELLA VALLE ELKANN DELLA VALLE ELKANN

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