salman abedi

IL KAMIKAZE DELLA PORTA ACCANTO/ 2 - UNA BANDIERA LIBICA PIANTATA IN GIARDINO, LA BARBA CRESCIUTA, LE PREGHIERE ISLAMICHE URLATE VERSO I PASSANTI: CI VOLEVA ALTRO PER CAPIRE CHE SALMAN ABEDI FOSSE “A RISCHIO”? - CHI HA ACCOMPAGNATO IL RAGAZZO NELLA SUA RADICALIZZAZIONE?

Marco Mensurati per “la Repubblica”

SALMEN ABEDI ATTENTATORE DI MANCHESTER SALMEN ABEDI ATTENTATORE DI MANCHESTER

 

Una bandiera libica piantata in giardino, la barba improvvisamente lasciata crescere, le preghiere islamiche urlate per strada verso i passanti. Oggi i vicini di casa dicono con facce più eloquenti delle parole di aver intuito qualcosa di strano, negli ultimi tempi. Ma valli a capire i vicini di casa.

 

Quello che è certo è che nessuno poteva immaginare che tra gli abitanti delle mille villette bifamiliari di mattoncini rossi, doppio giardino e vialetto per la macchina, ci fosse anche lui, Salman Abedi Ramadan, il 22enne che lunedì sera si è lasciato esplodere in mezzo alla folla di ragazzini che tornavano a casa dopo il concerto di Ariana Grande.

SALMEN ABEDI ATTENTATORE DI MANCHESTERSALMEN ABEDI ATTENTATORE DI MANCHESTER

 

E invece la polizia non ha dubbi. A mezzogiorno di ieri una trentina di agenti hanno fatto irruzione, pistole in pugno, nella casa al civico 21 di Elsmore Road, facendo brillare la porta d' ingresso e transennando l' intera zona di Fallowfield. Più o meno negli stessi minuti, con un' operazione gemella condotta poco lontano, davanti al supermercato Morrison' s a Chorlton-Cum-Hardly, gli agenti della General Manchester Police hanno arrestato un uomo di 23 anni, con ogni probabilità Ismail, il fratello di Salman.

 

Diversi testimoni giurano che, faccia a terra e mani dietro la schiena, mentre veniva ammanettato dagli agenti, Ismail sorridesse beffardo. Che fosse un sorriso vero o solo una smorfia equivocata per suggestione, l'immagine è perfetta per riassumere gli incubi degli investigatori.

attentato di manchester   musulmani in preghieraattentato di manchester musulmani in preghiera

 

I quali temono che il kamikaze non abbia agito da solo ma che anzi sia parte di una cellula organizzata e pronta a colpire di nuovo. Come dimostra la rivendicazione dell' Isis: «Abbiamo colpito i crociati». La premier Theresa May ha innalzato il livello di allerta al grado più alto portandolo da "grave" a "critico", ovvero a quello di un possibile attacco imminente.

 

È stato dunque inevitabile scavare nel passato di questi due fratelli. I cui genitori, Samia Tabbal e Abu Ismail Ramadan Abedi, erano scappati dalla Libia di Gheddafi negli Anni 90 ed erano stati accolti a Manchester come rifugiati. Abu Ismail aveva trovato un buon lavoro come addetto alla sicurezza in aeroporto, Samia insegnava il Corano ai figli degli altri immigrati.

 

attentato di manchester   dinamica dell attaccoattentato di manchester dinamica dell attacco

Nel '93 era nato Ismail, l'anno successivo Salman, quattro anni dopo, Jomana. La famiglia era ben nota all' interno della popolosa comunità libica locale. Abu Ismail e i suoi figli erano di casa nella moschea di Didsbury dove qualche volta avevano persino prestato servizio. Problemi di integrazione, non troppi, come dimostrano la passione per il Manchester United di Salman o il profilo Facebook di Jomana (chiuso ieri pomeriggio) pieno di foto in pose molto occidentali.

attentato a manchester al concerto di ariana grande  9attentato a manchester al concerto di ariana grande 9

 

Da qualche tempo però qualcosa era cambiato, i genitori sono spariti - a quanto pare sono tornati in Libia - mentre i fratelli hanno intrapreso un percorso al contrario, di esclusione e chiusura. Un percorso che prima ha portato Salman a frequentazioni non proprio raccomandabili, e in seguito ad avere qualche problema persino in moschea, come racconta al Guardian Mohammed Saeed: «Nel 20015 stavo facendo un sermone contro l'Isis. Parlavo della sacralità della vita e, insomma, ricordo che su 2mila fedeli erano quasi tutti d' accordo con me, tranne un gruppetto».

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Di cui facevano parte Salman e Ismail: «Salman mi guardò con tale odio che qualcuno si preoccupò per me». Oggi gli investigatori sono propensi a pensare che si trattasse delle prime tracce visibili del processo di radicalizzazione. Resta da capire se chi lo ha accompagnato in questo percorso lo ha poi anche aiutato a compiere la strage di lunedì sera.

 

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La polizia esclude che possa aver fatto tutto da solo. L'elemento decisivo per giungere a questa conclusione è stata la prima analisi dei resti dell' ordigno e la visione delle immagini riprese delle telecamere a circuito chiuso della Manchester Arena. Nel video, un uomo entra nell' impianto, presumibilmente è appena arrivato in metropolitana dalla vicina Victoria station, e dopo pochi passi si lascia deliberatamente esplodere.

 

Pochi fotogrammi per dimostrare che, a differenza di quanto sospettato in un primo momento, la bomba non è stata piazzata nel punto dell' esplosione e poi successivamente innescata. Ma portata sulle spalle direttamente dall' attentatore, in quello che sembra essere uno zaino o una sacca.

 

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Il dettaglio è tutt' altro che irrilevante, vuol dire che l' uomo che ha confezionato il "dockyard confetti" (viene chiamato così l' insieme di esplosivo, viti, bulloni e chiodi usato dai kamikaze per massimizzare il danno) ha eseguito sì un lavoro "grezzo" e "fatto in casa", ma è stato abbastanza abile da produrre un ordigno stabile, «in grado di essere trasportato e gestito». Insomma, si tratterebbe se non di un artificiere quanto meno di qualcuno in grado di seguire in maniera affidabile indicazioni molto precise.

«E difficilmente - ragionano gli investigatori - i gruppi organizzati sacrificano una pedina del genere ». Insomma, la caccia è aperta.

 

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