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IL GATO DELLA NOSTRA GIOVENTU' - IL SUONO DEL SUO SAX SAPEVA GRAFFIARE L’ANIMA E SEGNARE IL CUORE – CON BERTOLUCCI FECE LA MERAVIGLIOSA MUSICA DI ‘ULTIMO TANGO A PARIGI’ - E’ MORTO A NEW YORK A 83 ANNI

1 - GATO BARBIERI, IN QUEL SAX I SUONI DEL MONDO

Ernesto Assante per “la Repubblica”

 

gato barbierigato barbieri

IL suono del sassofono del “Gatto” sapeva graffiare l’anima, segnava il cuore. Si è spento nella notte tra sabato e domenica a New York, il sassofonista argentino Gato Barbieri. Aveva 83 anni. Il suono del suo sassofono conteneva tutti i suoni del mondo ed era solo suo. Non era soltanto inconfondibile ma racchiudeva un’idea di musica straordinariamente completa, assoluta, fatta di jazz, pop, musica latina, radici africane, un suono comprensibile, naturale, fisico, solido ma in grado di far sognare e piangere.

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Quella che Gato Barbieri ha creato nella sua lunga avventura è stata musica popolare e sofisticata al tempo stesso, in grado di muovere il corpo e far battere il cuore, profondamente radicata nel continente latinoamericano ma aperta a contaminazioni di ogni genere. Jazz, innanzitutto «ma in un altro modo », come amava dire lui , perché era in grado di suonare di tutto, dal free allo “smooth jazz”, dalla canzone al bop, ma sempre con il suo inconfondibile tono rauco e passionale.

 

Il suo approccio alla musica, del resto, era fatto di passione, immediatezza romantica, oltre che di intelligenza melodica: «Quando suono il sassofono suono la vita, l’amore, suono la rabbia, la confusione. Io suono quando la gente urla».

 

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Barbieri, nato a Rosario in Argentina nel 1932, un padre appassionato di violino, gli studi di musica a Buenos Aires, aveva iniziato a incidere dischi all’alba degli anni Sessanta e aveva, da subito, stabilito un rapporto particolare con l’Italia, paese nel quale ha vissuto e ha collaborato con moltissimi musicisti, sia nel jazz, primo fra tutti Giorgio Gaslini, sia nel pop con Antonello Venditti (leggendario il suo assolo in Modena), Pino Daniele, Gino Paoli e Ennio Morricone (suo il sax di Sapore di sale), con molti registi e musicisti di cinema (con Piero Umiliani aveva lavorato alle musiche di Una bella grinta di Giuliano Montaldo, 1964), fino alla collaborazione con Bertolucci per la colonna sonora di Ultimo tango a Parigi.

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Gli album degli anni Sessanta a suo nome e con Don Cherry, Dollar Brand, la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e la Jazz Composer’s Orchestra lo portarono nell’elite del jazz, mentre le sue registrazioni degli anni Settanta, soprattutto i “capitoli” intitolati Latino America, Hasta siempre, Viva Emiliano Zapata lo portarono alla meritata fama internazionale, facendogli conquistare un pubblico enorme e il seguito fedele di molti giovani.

 

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Dalla metà degli anni Ottanta si era sostanzialmente ritirato dalle scene, a causa della morte della prima moglie e di una crisi cardiaca, per tornare con rinnovato entusiasmo dalla fine degli anni Novanta a calcare le scene e produrre album sempre di eccellente livello, vincendo un Grammy Latino lo scorso novembre in onore della sua straordinaria carriera.

 

2 - BERTOLUCCI: USAI “TANGO” NEL TITOLO DEL FILM IN OMAGGIO ALLA SUA ARTE

Arianna Finos per “la Repubblica”

 

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«Ho pianto tanto. Sono commosso. Non era solo un grande collaboratore, Gato. La nostra è stata una lunga amicizia. Faceva parte di un mondo che sta andando giù, che se ne va con lui». Bernardo Bertolucci è provato, mentre nel suo appartamento di Trastevere guarda le immagini in tv dello scomparso Gato Barbieri. Il loro rapporto, iniziato oltre quarant’anni fa, ha regalato alla storia del cinema e della musica Ultimo tango a Parigi.

 

Ricorda il primo incontro?

«Come fosse oggi. Gato comparve sul set di Prima della rivoluzione, nel ‘64. Era il marito della segretaria di edizione del film, Michelle Barbieri. Lei era un po’ più grande, mezza italiana e mezza argentina. Era arrivata in Argentina da New York, aveva conosciuto questo giovane sassofonista. Gato sembrava un bambino, allora. Erano una coppia stupenda. Facemmo una jazz session a Parma, rimasi folgorato dal suo talento. Era già lì, vicino a John Coltrane. Mi viene in mente che quando morì Coltrane, nel ’67, facemmo una serata insieme a Roma in omaggio alla sua musica, eravamo tutti molto commossi e invasi. Poi Gato si trasferì a New York.

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Lei lo richiamò a Parigi per “Ultimo tango”. Con il quale vinse un Grammy.

«Devo dirlo, quel titolo è un omaggio a lui, perché era argentino e perché volevo che facesse la musica del film. Cominciò a scrivere mentre a Parigi giravamo le ultime riprese. Mi ricordo che eravamo all’Hotel Lutetia e per la prima volta sentii i temi del film che sono diventati una parte del nostro passato di quegli anni».

 

Musica e immagini diedero vita a un’esplosione di sensualità.

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«Gato vide il film già al primo montaggio. Lavorammo fianco a fianco con il montatore, Franco Arcalli, unendo musica e immagini con un risultato di grande potenza e sensualità. Ricordo che con Gato telefonammo a quel grandissimo musicista argentino che è Astor Piazzolla perché facesse l’arrangiamento. Piazzolla si arrabbiò molto e mi disse “io non sono un arrangiatore, sono un musicista, mi chiamo Astor Piazzolla, goodbye”. Prendemmo Oliver Nelson».

 

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Si sarà pentito, Piazzolla.

«Tre anni dopo qui a Trastevere suona il citofono, una sera. Chiedo “chi è?”. “Sono Astor Piazzolla”. Lo feci entrare e lui mi disse: “Quel rigurgito di egoismo del momento è stato uno dei più grandi errori della mia vita. E anzi ho fatto un omaggio”. Mi consegnò un 45 giri inciso da lui che si chiamava El penultimo tango. Era il suo modo ironico di dirmi che aveva sbagliato».

 

Cosa ha reso speciale Gato Barbieri?

«La capacità di unire il jazz con la sua musica popolare argentina. Quel suo essere un sassofonista tenore bianco capace di un suono assolutamente nero. Unico».

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