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L’OCCHIO LUNGO DEL POLITBURO - XI JINPING CREA UN ENORME DATABASE PER MONITORARE LA “REPUTAZIONE” DEI CINESI, REGISTRANDO TUTTE LE LORO AZIONI, DAL PASSARE COL ROSSO AL SEMAFORO AGLI INSULTI SU INTERNET - E’ UN GRANDE DOSSIER COLLETTIVO, CON UN "SISTEMA DI VALUTAZIONE" A PUNTI, PER PUNIRE CHI NON SI ALLINEA

Francesco Leone Grotti per il Giornale

 

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Sei passato con il rosso, non hai pagato il biglietto del treno, non sei andato a trovare i tuoi genitori regolarmente come impone la legge sulla pietà filiale, hai insultato qualcuno su internet? Se ti trovi in Cina sei nei guai, perché come conseguenza non potrai più viaggiare all' estero, né essere assunto come insegnante, avvocato o giornalista, né iscrivere tuo figlio a scuola, ma neanche ottenere mutui o dormire in hotel di alto livello.

 

Sarà questo il risultato del nuovo «sistema di informazione sulla reputazione personale», che il governo comunista sta già sperimentando in 40 città e che secondo i piani dovrebbe entrare in vigore in tutta la Cina nel 2020. L'idea è quella di un unico enorme database che raccolga informazioni su come si comportano tutti gli 1,4 miliardi di abitanti della Cina e che a ciascuno assegni un punteggio, in base al quale sanzionarli.

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Verrà valutato qualsiasi comportamento: dal rispetto del codice della strada all' onestà accademica, dalla regolarità con cui si salda la rata del mutuo al rispetto dei limiti della pianificazione familiare, dal pagamento del biglietto sugli autobus alla fedina penale, dalle abitudini nello shopping all' attività di volontariato.

 

Infine, dal modo in cui ci si rivolge agli altri su internet al grado di credibilità delle notizie che si pubblicano online. Insomma, controllare tutto e tutti, sempre. Il paragone con 1984 di George Orwell viene spontaneo e del resto lo slogan più volte ripetuto nei documenti governativi è: «Permettere alle persone affidabili di viaggiare dovunque sotto il cielo e rendere impossibile agli inaffidabili muovere un singolo passo».

 

Censura Cina Censura Cina

La paranoia per il controllo e la sicurezza del partito comunista cinese è rinomata. Basta ricordare il comunicato esultante con cui, un anno fa, l' Ufficio della pubblica sicurezza di Pechino ha annunciato: «Abbiamo completato la copertura della capitale con un sistema di videosorveglianza. Ora ci sono telecamere a ogni angolo di strada».

 

Il Quotidiano del Popolo ha subito rilanciato la notizia: «Per la prima volta il 100% della capitale è osservato» 24 ore su 24, 365 giorni l' anno da oltre 430 mila telecamere. Ma la «Rete del cielo» non basta. A ottobre infatti il presidente del Paese, nonché segretario del partito comunista, Xi Jinping, ha chiesto di trovare nuove strade per «aumentare la capacità di prevedere e prevenire tutti i tipi di rischio».

 

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Ci si avvicina a un mondo di repressione 2.0 alla Minority Report ma la realtà supera anche la sterminata fantasia di Philip Dick e Steven Spielberg. Ad Hangzhou, cartelli diffusi in tutte le stazioni della metro avvisano che non pagare il biglietto potrebbe presto portare a conseguenze «ben più gravi» di una multa da sei dollari. Gli stessi avvertimenti si ripetono a Pechino e Shanghai.

 

Per il momento le diverse black list non sono integrate in un unico cervellone, anche se un database per contenerle tutte è stato creato a livello centrale e contiene già 640 milioni di informazioni su singoli cittadini inviati da 37 governi locali e dipartimenti governativi. Come conseguenza, l' acquisto di 4,9 milioni di biglietti aerei è già stato bloccato: erano stati richiesti da persone «inaffidabili». La parte più oscura e inquietante del sistema riguarda internet. In un paese dove la libertà di espressione già non esiste, il partito comunista potrebbe non limitarsi più a cancellare i post critici di singoli utenti sul famoso sito di microblogging cinese, Weibo, e punire i loro autori con il carcere, come già avviene, ma anche rendendo impossibile la vita di tutti i giorni. E chi aiuterà il regime ad ottenere tutti i dati sulla vita digitale delle persone?

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Jack Ma, a capo del gigante di e-commerce Alibaba, si è già offerto a ottobre dichiarando: «Speriamo che il governo usi internet come strumento per identificare i criminali». La sua società ha commentato: «Crediamo che utilizzare le informazioni digitali per prevenire il crimine sia coerente con i nostri valori». Chissà come si comporterebbe Mark Zuckerberg se riuscisse a portare Facebook in Cina.

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