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“RISORGIAMO ITALIA” – BAR E RISTORANTI DI TUTTA ITALIA ACCENDONO SIMBOLICAMENTE LE INSEGNE PER UNA SERA PER PROVARE A FAR CAPIRE AL GOVERNO CHE RISCHIANO DI NON RIAPRIRE MAI PIÙ – LE REGOLE E I COSTI PER ADEGUARSI ALLE NORME PER MOLTI SARANNO IMPOSSIBILI DA SOSTENERE: SARÀ PIÙ CONVENIENTE RIMANERE CHIUSI – A MILANO SONO A RISCHIO PIÙ DI 2MILA ESERCIZI PUBBLICI SU 7MILA – VIDEO

 

 

 

 

I LOCALI DI ROMA RIAPRONO PER UNA SERA CON “RISORGIAMO ITALIA”

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(askanews) – Sono diverse centinaia i locali di Roma che il 28 aprile hanno riacceso simbolicamente le insegne per una sera, aderendo all’iniziativa nazionale dei ristoratori “Risorgiamo Italia”, per attirare l’attenzione su uno dei settori più duramente colpiti dalle restrizioni causate dal coronavirus.Nelle immagini – raccolte dal gruppo “La Voce dei locali di Roma” – si vedono alcuni tra i locali più conosciuti della Capitale chiusi da quasi due mesi: Al Grappolo d’oro, Peppone, Ottavio, Acqua e Farina, Stella Gemella, ma anche il Caffé dietro l’Angolo, il Bar Coppelia e il bar pasticceria di Frascati Fermate n’attimo.Il Dpcm di aprile prevede la riapertura per ristoranti, bar e pasticcerie dal 1 giugno (per asporto dal 4 maggio), ma con regole severe e costi non facili da sostenere.

 

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In molti, anche le aziende più avviate, valutano di non riaprire.“La voce dei locali di Roma” unisce le voci di ristoratori e proprietari di esercizi pubblici della Capitale, con l intento di raccogliere idee e soluzioni di fronte a una crisi senza precedenti. Promotori dell iniziativa sono Gianfranco Contini, Francesca de Acutis e Augusto Tudini. Un movimento spontaneo, che appoggia le richieste avanzate dalla rete dei Ristoranti del Buongusto dell Altomilanese per aiutare il settore a ripartire, tra cui misure di sostegno a fondo perduto, la cancellazione delle imposte nazionali e locali, la rateizzazione dei pagamenti degli acconti IRES, IRAP previste a giugno e senza interessi; la proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza, l’armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l accesso al credito e un credito d imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31.12.2020 con 40% dell importo a carico del locatario e misura semplificata (cedolare secca).

 

2 ­– RISORGIAMO ITALIA A MILANO

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Stefania Chiale per www.corriere.it

 

Tra il 25 e il 30 per cento di bar, ristoranti e locali di Milano non riusciranno a riaprire il primo giugno, data indicata per la ripartenza del settore nella scaletta di governo per la «Fase 2». Considerando i circa 7mila esercizi pubblici presenti in città, si rischia la chiusura definitiva o quasi di oltre duemila imprese milanesi.

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Non c’è stata solo la delusione per il rinvio di una riapertura che si sperava in maggio (per ogni settimana di lockdown , il settore, che in Italia conta 1 milione e 200 mila addetti e 300mila imprese, perde 1,7 miliardi). «Occorre capire come, con quali norme, a quali costi, con quali investimenti e con quali certezze poter riaprire», spiega Alfredo Zini, ristoratore e presidente Imprese storiche di Confcommercio Milano. Per questo, ieri sera oltre 2.500 locali di Milano hanno «aperto per l’ultima volta - dice Zini -, accendendo le luci che illuminano la città», e questa mattina consegneranno virtualmente le chiavi al sindaco Beppe Sala, affinché si faccia interprete della categoria.

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Sono molte le questioni su cui il settore, tra i più colpiti dall’emergenza sanitaria e dal successivo lockdown , chiede un chiarimento per poter riaprire. Partendo dalle norme di sicurezza. Oltre alla riduzione e al maggiore distanziamento dei tavoli, i ristoratori si interrogano su «quante volte al giorno occorrerà sanificare i locali e in che modo? Come andranno ampliati i protocolli di sicurezza che già abbiamo? Potremo continuare a utilizzare i tovagliati in cotone? Qual è il numero massimo di persone che potranno sedere per tavolo?».

 

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C’è poi il lato del sostegno economico: le imprese stanno anticipando la cassa integrazione (e si chiedono se verrà interrotta con la ripartenza), attendono ancora i prestiti dalle banche (che per molti si stanno rivelando impossibili da ottenere), ci sono fornitori e utenze da pagare. Confcommercio ha stimato, per un ristorante di 200 metri quadrati con quattro dipendenti e due titolari, un costo solo per la riapertura di 6mila euro. Alla ripartenza, il contingentamento degli ingressi e il maggiore distanziamento dei tavoli significheranno meno clienti e minori incassi a fronte di spese che per molti non saranno sostenibili: «Per questo chiediamo una revisione dei costi strutturali: le accise sull’energia, i costi sul personale, un’altra modalità per gli affitti, per esempio dividendo il recupero del credito d’imposta tra affittuario e locatore».

 

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Tra le categorie che il primo giugno non riusciranno ad aprire, ci sono i locali serali: «Prendiamo i Navigli, dove l’80 per cento dei locali sono serali. Non possono riaprire: la loro stessa natura di pub dove si va in compagnia, dall’aperitivo alla tarda serata, non è contemplata nella “Fase 2”. Come possono pensare di far entrare un cliente alla volta? Preferiranno stare chiusi perché i costi saranno superiori agli incassi». A rischio anche i locali con affitti alti, per grandezza degli spazi e zone in cui sorgono, e quelli con molti dipendenti. I piccoli, se a gestione familiare, potrebbero sopravvivere più facilmente. Tra quelli che probabilmente non riapriranno, tutti i bar che lavorano sulle pause pranzo in zone uffici e università: «Con gli atenei vuoti e i dipendenti delle aziende che dovranno continuare il più possibile a lavorare in smart working, saranno costretti a rimanere chiusi perché non avranno clienti».

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Chi può, resiste. Ma non ha vita facile: «Ci hanno lasciati da soli - dice Raffaele Sangiovanni, titolare del ristorante Taglio di via Vigevano, che ieri ha partecipato alla manifestazione di protesta -. La nostra banca, Ca.Ri.Ge, verso cui non abbiamo mai avuto neanche un insoluto, ci rifiuta un piccolo prestito di 25mila euro che ci è necessario per ripartire: in questi mesi abbiamo accumulato 20mila euro di debiti. Hanno deciso di sacrificare le piccole imprese?».

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