‘’INFAME’’. ‘’LA PAGHERAI’’. ‘’AMMAZZATI’’: MINACCE A BOSSETTI IN CELLA - LE VIOLENZE SUI MINORI NEL CODICE NON SCRITTO DEI CARCERATI SONO CONSIDERATE UN REATO INACCETTABILE

Paolo Berizzi per ‘La Repubblica’

 

Ha paura adesso Massimo Giuseppe Bossetti. Teme per la propria incolumità e per quella dei suoi familiari: in particolare di sua madre, Ester Arzuffi, la donna che, secondo le indagini, potrebbe avere custodito più di un segreto sul conto del figlio, rendendo oltremodo difficile il lavoro degli investigatori impegnati a fare luce sulle responsabilità di cui è accusato.

giuseppe guerinoni e massimo giuseppe bossettigiuseppe guerinoni e massimo giuseppe bossetti

 

Nella cella del “Gleno” dove è ancora rinchiuso in regime di isolamento, al presunto assassino di Yara Gambirasio nelle ultime ore sono arrivati messaggi minacciosi da parte di altri detenuti. «Infame». «Bastardo». «La pagherai». «Ammazzati ». E via con altri insulti di questo tenore.

 

Lo ha confidato lo stesso Bossetti a don Fausto Resmini, il cappellano del carcere che da un paio di giorni, senza clamori, con le cautele richieste da un caso che il sacerdote definisce «delicatissimo», sta costruendo «un difficile percorso di sostegno umano».

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L’accordo preso dal cappellano (affiancato al “Gleno” da don Giambattista Mazzucchetti) con il direttore del carcere Antonino Porcino, prevede, soprattutto nelle prime tappe, che i contatti tra Bossetti e il religioso siano tutelati da un dovuto riserbo. Anche per non “inquinare” il progressivo inserimento del detenuto nel circuito del carcere. Quello che trapela, per ora, sono le preoccupazioni del muratore accusato di avere ucciso e abbandonato Yara nel campo di Chignolo d’Isola.

massimo giuseppe bossettimassimo giuseppe bossetti


«Ho paura. Gli altri detenuti sono ormai convinti che sia io l’assassino, il responsabile di questa atrocità. E mi hanno minacciato. Temo per me e per i miei familiari. Soprattutto per mia madre ». Così ha risposto Bossetti a chi gli ha chiesto come si sentisse dopo il malore — una tachicardia da stress — che lo ha colto l’altro giorno in cella. E che forse ha avuto tra le sue cause, oltre all’arresto, anche le “ambasciate” giunte a voce da altri reclusi fino allo spazio occupato dal quarantaquattrenne di Mapello.

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Come anticipato giovedì scorso da “Repubblica” (che ha dato conto delle sue dichiarazioni in carcere e dei colloqui con lo psicologo), e come poi riferito in udienza al gip
Ezia Maccora, Bossetti continua a dichiararsi innocente. Tira in ballo i suoi figli, tre, uno di 13 anni, per dire che «non potevo uccidere Yara», e che «se fossi io il colpevole mi sarei già ucciso». Ma tant’è, per i detenuti del “Gleno”, e non solo per loro, il colpevole è lui: e lui «deve pagare ».

 

Le violenze sui minori nel codice non scritto dei carcerati sono considerate un reato infame, inaccettabile. Che “macchia” l’accusato ancora prima del verdetto della giustizia. Da qui le minacce a Bossetti.


La cella del presunto killer di Brembate confina con l’infermeria a piano terra, lui è in regime di isolamento ma non è distante dalle celle occupate da altri detenuti: uno su tutti Isaia Schena, il killer dell’assassina romena Madalina Palade.

 

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Una sezione che Gino Gelmi, vice presidente dell’associazione Carcere e territorio, conosce bene. «Al di là della vicenda giudiziaria, che non mi compete, va fatta una riflessione su un aspetto che ritengo fondamentale — dice — La necessità di tutelare i diritti delle persone, in particolare di quelle che ruotano intorno alla vita del detenuto Bossetti, e parlo soprattutto dei minori coinvolti».

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