LOGGIA, P2, SOLDI E DOSSIER: IL LATO OSCURO DELLA GUARDIA DI FINANZA - DAL CASO POLLARI ALL’INDAGINE “FIAMME SPORCHE” DEL 1994 PASSANDO PER IL DOSSIERAGGIO AI DANNI DEL POOL DI MILANO E MAGISTRATI DELLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA

Gianni Barbacetto per il “Fatto Quotidiano”

guardia di finanzaguardia di finanza

 

Nec recisa recedit. Non arretra neppure tagliata. Il motto della Guardia di finanza, letto oggi, richiama inevitabilmente visioni contrapposte di eroismi e oscurità. I tanti che fanno il loro lavoro con passione, come quel colonnello Renzo Nisi che avviò le indagini sul Mose e, prima di essere trasferito, profetizzò: “La pietra ha cominciato a rotolare e presto diventerà una valanga”. E i molti che invece hanno tradito. Già Luigi Einaudi scrisse in un suo saggio che “il contrabbando, la grassazione e l’abuso di potere erano attività abituali dei militari che avrebbero dovuto estirparli”.

 

guardia di finanzaguardia di finanza

Dalle pontificie “b ri g at e delle gabelle” a oggi, quante brutte storie hanno macchiato l’onore delle Fiamme gialle. Gli ultimi protagonisti del serial Fiamme Sporche sono a Venezia il generale Emilio Spaziante e il braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese. A Bari la squadretta che sosteneva il procuratore di Bari Antonio Laudati alle prese con Giampi Tarantini e le sue escort.

 

A Napoli il colonnello Fabio Mendella, accusato da un imprenditore di pretendere il pizzo. A Roma il generale Michele Adinolfi che parla e sparla con il Giglio magico. E che dire dell’ex comandante generale Roberto Speciale, che si faceva portare le spigole in montagna da un aereo della Gdf?

Nicolò Pollari in divisaNicolò Pollari in divisa

 

Più indietro nel tempo, c’è il ruolo del generale Nicolò Pollari, diventato direttore del servizio segreto militare Sismi, nel sequestro Cia dell’imam Abu Omar e nel dossieraggio illegale della sua ombra (Shadow) Pio Pompa. C’è lo scontro, durissimo, tra il Gico della Guardia di finanza di Firenze e il pool Mani pulite della procura di Milano.

 

C’è, soprattutto, l’indagine Fiamme Sporche che nel 1994 ha portato in carcere e sotto processo più di cento finanzieri, accusati di pretendere tangenti per ammorbidire le verifiche fiscali. Prima ancora, due scandali ne hanno pesantemente segnato la storia: la truffa dei petroli e il ritrovamento dell’elenco degli iscritti alla P2. Fu nell’autunno del 1980 che decollò un’inchiesta giudiziaria che svelò i contorni di una colossale truffa all’erario sui prodotti petroliferi: il 20 per cento dei prodotti raffinati ogni anno in Italia, per almeno sette anni, era stato sottratto ai controlli e al fisco.

 

Michele AdinolfiMichele Adinolfi

Risultato: oltre 2 mila miliardi di lire (a valori dell’epoca) sottratti allo Stato. Più che truffa era un sistema, attraverso il quale i petrolieri evadevano il fisco e finanziavano sottobanco i partiti politici di governo. Il tutto con il beneplacito del Corpo che avrebbe dovuto vigilare e proteggere l’erario. Risultarono coinvolti infatti i massimi vertici della Guardia di finanza: il comandante generale Raffaele Giudice e il suo capo di Stato maggiore, Donato Lo Prete.

EMILIO SPAZIANTEEMILIO SPAZIANTE

 

Nel 1981, a scandalo ancora caldo, la pubblicazione delle liste P2 mise in luce che alla loggia di Licio Gelli erano iscritti anche molti appartenenti alla Guardia di finanza: l’elenco per categorie allinea 37 nomi di ufficiali delle Fiamme gialle, tra cui non solo i due generali già coinvolti nella truffa dei petroli, Giudice (tessera numero 1634) e Lo Prete (1600), ma anche il nuovo comandante del Corpo succeduto a Giudice, il generale Orazio Giannini (2116), il colonnello Sergio Acciai, il comandante del nucleo speciale valutario di Roma, i capi dei nuclei di polizia tributaria di molte province, il comandante della Finanza di Arezzo, parecchi ufficiali.

 

ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO

In quei mesi di atroce tormento istituzionale, la Guardia di finanza mostrò al Paese contemporaneamente le sue vergogne e il suo riscatto: furono i finanzieri, inviati il 17 marzo 1981 dai giudici istruttori Giuliano Turone e Gherardo Colombo alla ditta Giole di Castiglion Fibocchi, a sequestrare le carte di Gelli; furono i finanzieri a indagare, interrogare, arrestare decine e decine di commilitoni coinvolti nella truffa dei petroli. Quelle vecchie ombre dimenticate si ripresentarono in piena Mani pulite.

 

LICIO GELLI E ANDREOTTI LICIO GELLI E ANDREOTTI

Era il 26 aprile 1994 quando il giovane brigadiere Pietro Di Giovanni si recò dal comandante della sua sezione, il tenente colonnello Gianluigi Miglioli, per riferirgli un fatto imbarazzante: nel corso delle indagini sulle tangenti ai partiti pagate dalla Edilnord di Paolo Berlusconi al fondo pensioni della Cariplo, un suo superiore, il maresciallo Francesco Nanocchio, gli aveva passato una busta contenente 2 milioni e mezzo di lire. Doveva essere la sua parte di un “premio” alla squadra per non vedere le irregolarità fiscali nella compravendita di un palazzo in via Senato a Milano.

 

Dalla reazione di un finanziere onesto parte l’inchiesta sulle Fiamme Sporche, condotta inizialmente dai pm Raffaele Tito e Antonio Di Pietro. Scattano le manette, si riempiono le prime celle del carcere militare di Peschiera del Garda. Le porte delle celle del vecchio forte si chiudono anche alle spalle del generale Giuseppe Cerciello, per cinque anni comandante del nucleo regionale della Lombardia. Seguono settimane drammatiche. Per i magistrati che, increduli, si sentono traditi da chi operava al loro fianco, da chi credevano dalla parte della legalità.

 

ANTONIO DI PIETRO INTERROGA BETTINO CRAXI DURANTE UN'UDIENZA DEL PROCESSO ENIMONTANTONIO DI PIETRO INTERROGA BETTINO CRAXI DURANTE UN'UDIENZA DEL PROCESSO ENIMONT

Dalle indagini emerge, ancora una volta, un sistema. Non è l’episodico scivolone di qualche finanziere che non riesce a resistere alle tentazioni, ubriacato dai fiumi di denaro che vede passare sopra la sua testa, è un vero e proprio sistema collaudato, operante da anni e ad alto rendimento: la sola procura di Milano recupera, a titolo di risarcimento, ben 8 miliardi e 600 milioni di lire. Una storia esemplare è quella di Massimo Maria Berruti.

 

Da ufficialetto delle Fiamme gialle era stato coinvolto in una storia di mazzette degli anni Ottanta, che gli archeologi di Tangentopoli classificano come “scandalo Icome c”: un’inchiesta condotta da Francesco Greco che ebbe tra i suoi imputati nientemeno che Gianfranco Troielli (che poi si scoprirà essere il grande cassiere di Bettino Craxi) e Antonio Natali (padre politico di Craxi, considerato l’inven tore del sistema milanese delle tangenti).

bettino craxi bettino craxi

 

Come succedeva prima di Mani pulite, la sentenza d’appello mandò assolti quasi tutti gli imputati, e anche Berruti, che dimenticò presto la condanna a 5 anni di reclusione ottenuta in primo grado, uscì dalla Guardia di finanza e fece carriera. Greco e il pool lo ritrovano infatti, qualche anno dopo, come consulente del gruppo Fininvest, assoldato dopo una verifica a Berlusconi finita benissimo e in seguito coinvolto in più d’una vicenda di corruzione.

 

A metà degli anni 90 viene scoperta una squadretta di finanzieri (“legati da solidarietà massonica”, si legge negli atti) che facevano sotterranea azione di dossieraggio ai danni del pool di Milano, alla ricerca di materiali per infangare Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e altri magistrati milanesi. Con scarsi risultati. Non si nascondono invece i militi del Gico della Guardia di finanza di Firenze, che nel 1995 producono un dossier contro i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano (Armando Spataro, Alberto Nobili, Maurizio Romanelli...).

 

spataro spataro

Il materiale del Gico di Firenze viene poi riciclato nell’autunno 1996 dalla procura di La Spezia, che arresta, è vero, il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e il manager delle Ferrovie Lorenzo Necci, ma finisce per avere come obiettivo principale le presunte irregolarità e i pretesi abusi commessi dal pool di Milano, Di Pietro in testa, accusato di aver coperto e salvato alcuni imputati di Mani pulite. Finisce in una bolla di sapone, ma il fango è girato a lungo nei tubi dell’informazione.

 

Ultimi Dagoreport

benjamin netanyahu giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – CORRI A CASA IN TUTTA FRETTA, C’È UN CAMALEONTE CHE TI ASPETTA: QUELLA SIGNORINA ALLA FIAMMA CHE VUOLE MANTENERE UN RAPPORTO CON L’EUROPA MA NELLO STESSO TEMPO, TEMENDO DI ESSERE SCAVALCATA A DESTRA DA SALVINI, SBATTE GLI OCCHIONI A TRUMP. LA STESSA CHE IMPLORA LA FINE DELLA TRAGEDIA DI GAZA MA L’ITALIA CONTINUA A FORNIRE ARMI A ISRAELE (SECONDO PAESE DOPO GLI USA DOPO LA DECISIONE DI MERZ DI FERMARE L’INVIO DI ARMI A NETANYAHU) - A UNA DOMANDA SULL'EXPORT MILITARE ITALIANO VERSO ISRAELE, CROSETTO IN PARLAMENTO HA DETTO: "ABBIAMO ADOTTATO UN APPROCCIO CAUTO, EQUILIBRATO E PARTICOLARMENTE RESTRITTIVO". RISULTATO? NESSUNO È PIÙ IN GRADO DI SAPERE CON ESATTEZZA COSA L’ITALIA VENDE O ACQUISTA DA ISRAELE – TRA LA DISCORDANZA DELLE DICHIARAZIONI UFFICIALI E LA TRACCIABILITÀ REALE DELLE FORNITURE BELLICHE A NETANYAHU, C’È DI MEZZO LO SPORT PREFERITO DEL GOVERNO MELONI: IL SALTO TRIPLO DELLA VERITÀ… - VIDEO

elly schlein giuseppe conte goffredo bettini gaetano manfredi piero vincenzo de luca roberto gualtieri silvi salis vincenzo decaro michele emiliano

DAGOREPORT - IL PD GUIDATO DA ELLY SCHLEIN? E' COME "'A PAZZIELLA 'MMAN 'E CRIATURE". IL GIOCATTOLO STA IN MANO AI BAMBINI. E LORO CHE FANNO? CI GIOCANO, SO' BAMBINI. E LO FANNO A PEZZI - CONFONDENDO LA LEADERSHIP CON L'AMBIZIONE, LA SEGRETARIA DEL PD SI E’ RINTANATA IN UN BUNKER: DIFFIDA DI TUTTI E SI CIRCONDA SOLO DEI SUOI “PASDARAN”: BONAFONI, ALIVERNINI E TARUFFI - NON SOPPORTA L’ASSE TRA CONTE E BETTINI; VIVE CON LA PAURA CHE BONACCINI VOGLIA SOSTITUIRLA AL PRIMO PASSO FALSO E CHE SILVIA SALIS LE FREGHI LA SEGRETERIA – SOSPETTI VERSO IL SINDACO DI NAPOLI GAETANO MANFREDI, POSSIBILE “PAPA STRANIERO” DEL “CAMPO LARGO” – ELLY DIFFIDA (EUFEMISMO) DI PRODI, CHE NON LA VEDE CANDIDATA PREMIER, E DI FRANCESCHINI, CHE LA PENSA ALLO STESSO MODO MA NON LO DICE - IL FASTIDIO VERSO MISIANI, GUALTIERI, MANCINI E ONORATO - VOLEVA ELIMINARE I ''CACICCHI'' MA HA RINCULATO CON DE LUCA E SOFFRE LE SMANIE DI EMILIANO IN PUGLIA - QUALCHE ANIMA PIA SPIEGHI ALLA GRUPPETTARA DI BOLOGNA CHE NON SIAMO ALL’OCCUPAZIONE DEL LICEO, NÉ TANTOMENO SUL CARRO DEL PRIDE DOVE SI È ESIBITA IN MODALITÀ “CUBISTA” SULLE NOTE DI “MARACAIBO” (VIDEO)

beppe grillo marco travaglio giuseppe conte elly schlein eugenio giani

DAGOREPORT: IL CONTE TRAVAGLIATO - DI BOTTO, SIAMO RITORNATI AI TEMPI DI BEPPE GRILLO: SULL’OK ALLA CANDIDATURA IN TOSCANA DEL DEM EUGENIO GIANI, CONTE NON TROVA IL CORAGGIO DI METTERCI LA FACCIA E RICICCIA IL ''REFERENDUM'' ONLINE TRA GLI ISCRITTI, L’UNO VALE UNO, LA “BASE” DA ASCOLTARE - MA L'EX "AVVOCATO DEL POPOLO" NON DOVEVA ESSERE IL LEADER CHE I 5STELLE NON HANNO MAI AVUTO, QUELLO CHE SI IMPONE E TRACCIA LA VIA AL SUO PARTITO? - DATO CHE GIANI, PER VINCERE, PUO' FARE A MENO DEI VOTI 5STELLE, NEL PD S'INCAZZANO CON LA SUBALTERNITÀ A CONTE DI ELLY SCHLEIN CHE HA ACCETTATO E PROMOSSO LA CANDIDATURA DEL 5STELLE ROBERTO FICO IN CAMPANIA: "QUESTI INGRATI È MEGLIO LASCIARLI CHE PRENDERLI" - MA TRA ELLY E PEPPINIELLO, C’È DI MEZZO LA COLONNA DI PIOMBO DI MARCO TRAVAGLIO, CHE DETTA OGNI MATTINA I DIECI COMANDAMENTI DELL'IDEOLOGIA M5S, CONVINTO COM'È CHE IL "CAMPOLARGO" PD-M5S SIA UNA DISGRAZIA PEGGIORE DELL''ARMATA BRANCA-MELONI...

netflix disney plus streaming

DAGOREPORT - “TOPOLINO” HA FAME - DISNEY SCUCE 3 MILIARDI DI DOLLARI PER COMPRARSI LE ATTIVITÀ MEDIA DELLA NFL, LA LEGA DEL FOOTBALL AMERICANO. QUALE SARÀ IL PROSSIMO PASSO? UN CONSOLIDAMENTO NELLO STREAMING È INEVITABILE (IL MERCATO È SATURO DI SERVIZI E CONTENUTI) E C’È CHI SI SPINGE A UN’ACQUISIZIONE DI PESO, COME NETFLIX - LA PIATTAFORMA CAPITALIZZA IL DOPPIO MA FATTURA UN TERZO DELLA DISNEY  – RUMORS ANCHE SU UN INTERESSE DI AMAZON PER SPOTIFY: LÌ I SOLDI NON SAREBBERO UN PROBLEMA (IL SERVIZIO DI E-COMMERCE DI BEZOS CAPITALIZZA 2MILA MILIARDI CONTRO I 130 DELLO STREAMING MUSICALE)...

matteo piantedosi giorgia meloni carlo nordio giusi bartolozzi alfredo mantovano almasri

DAGOREPORT - GIORGIA MELONI RISCHIA DI BRUTTO SUL CASO ALMASRI: PRENDERSI LA RESPONSABILITÀ DELLA SCARCERAZIONE E DEL RIMPATRIO (CON VOLO DI STATO) DEL TORTURATORE LIBICO EQUIVALE A UNA PUBBLICA SCONFESSIONE DEI MINISTRI NORDIO E PIANTEDOSI, CHE IN AULA HANNO MINIMIZZATO CON BUGIE LA QUESTIONE ATTACCANDO I GIUDICI – IL TRIBUNALE DEI MINISTRI, SCAGIONANDO LA STATISTA DELLA GARBATELLA E RINVIANDO A GIUDIZIO I DUE MINISTRI E IL SOTTOSEGRETARIO ADDETTO AI SERVIZI SEGRETI, HA APERTO UNA BOTOLA DOVE, DALL'ALTO DEL SUO DILENTATTISMO, MELONI È CLAMOROSAMENTE CADUTA - LO "SCUDO" PER SALVARE GIUSI BARTOLOZZI NON ESISTE: NON ESSENDO STATA RINVIATA A GIUDIZIO, IL GOVERNO NON PUÒ  ESTENDERE "IL CONCORSO" NEL REATO COL MINISTRO NORDIO. COSI', IL PARLAMENTO PUO' NEGARE L'AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE CONTRO PIANTEDOSI, NORDIO E MANTOVANO, MA LA PROCURA DI ROMA NON AVRÀ ALCUNO OSTACOLO A RINVIARE A GIUDIZIO LA BARTOLOZZI, CON CONSEGUENTI ''RICADUTE POLITICHE'' SU MELONI - PERCHE' NON HANNO MESSO IL SEGRETO DI STATO...