LA “PRIMA VOLTA” DI KABOBO: DUE ANNI FA TIRAVA PIETRE AI POLIZIOTTI

Gianni Santucci per "il Corriere della Sera"

Anche quel giorno inizia tutto all'alba. Poco prima delle 6. Il macchinista di un treno merci partito da Falconara e diretto a Brindisi trova i binari occupati da un centinaio di immigrati del Centro Africa. Sono appena usciti dal centro di accoglienza per i «richiedenti asilo» (Cara). Il treno si blocca all'altezza di Bari-Palese. Sarà una delle giornate più dure affrontate dalle forze dell'ordine italiane negli ultimi anni.

Nove ore di guerriglia. Sassaiole. Lanci di bottiglie. Auto distrutte. Una statale e due linee ferroviarie interrotte. Un autobus assaltato. Il macchinista del treno merci resta «sequestrato» nella locomotiva fino al primo pomeriggio. Su quei binari c'è anche Mada Kabobo, allora 29 anni, l'assassino col piccone del quartiere Niguarda di Milano. Partecipa agli assalti. Raccoglie pietre tra i binari e le scaglia contro la polizia. Quel giorno, per la prima volta da quando è arrivato in Italia, il volto di Kabobo appare anche in una fotografia. Oggi quello scatto è allegato agli atti del processo sulla rivolta nel Cara in corso a Bari.

Inizia così, il primo agosto di due anni fa, la storia giudiziaria del killer col piccone. Jeans, maglietta bianca, una mano appoggiata al volto. Nello scatto pubblicato due giorni fa dalla Gazzetta del Mezzogiorno, Kabobo è fermo e osserva. Tra altri uomini incappucciati e armati di bastone. Qualche ora dopo, alcuni agenti della Polfer di Bari lo seguono mentre abbandona il campo di battaglia insieme a un altro ragazzo ghanese. Stanno cercando di rientrare nel centro di accoglienza e confondersi tra gli altri immigrati.

I poliziotti lo identificano e lo bloccano. La loro relazione finisce nel faldone delle indagini della Digos di Bari, guidata dal dirigente Michele De Tullio, che ora è alla base del processo in cui Kabobo è accusato di violenza, resistenza e altri reati. In Italia era arrivato pochi giorni prima: sbarcato a Lampedusa tra il 10 e il 20 luglio del 2011, per essere poi trasferito a Bari come richiedente asilo.

Dagli atti di quel processo si scopre anche un altro elemento chiave del suo passato. Il filo che dopo 31 anni ha portato al massacro di tre persone in strada a Milano, avrebbe origine nel distretto di Lawra, in Ghana. Lì dichiara di essere nato Mada Kabobo, in una delle zone più povere del mondo, un'area quasi desertica all'estremo confine Nord-Ovest del Paese africano, a pochi chilometri dal Burkina Faso.

Nell'agosto 2011, dopo la rivolta, Kabobo incontra l'avvocato che ancora lo assiste nel processo di Bari, Marco Grattagliano. Che spiega: «Era una persona in stato di prostrazione, ma non dava assolutamente segni di un deficit psichico o di un qualche squilibrio. Grazie all'aiuto di un interprete riuscì anzi a spiegarsi piuttosto chiaramente e a ricostruire i fatti, tanto da giustificarsi, dichiarandosi estraneo a ciò di cui veniva accusato».

È un Kabobo completamente diverso da quello che è stato arrestato sabato scorso dal Nucleo radiomobile dei carabinieri di Milano e che durante l'interrogatorio di fronte al gip, Andrea Ghinetti, ha raccontato di aver massacrato tre uomini a caso perché una voce nella testa gli avrebbe detto: «Vai e colpisci». Nell'estate 2011 (stando alle accuse) era un violento, ma non un folle. La domanda chiave allora è: qual è l'origine della sua ossessione di uccidere?

Nell'informativa che a breve i carabinieri depositeranno in Procura sono riassunte le altre tappe della storia di Kabobo in Italia: 6 mesi nel carcere di Lecce a seguito della rivolta; una nuova denuncia per danneggiamento di un televisore all'interno del penitenziario; a metà febbraio 2012 il trasferimento nel Cara di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia. Data della «fuga», sconosciuta. Ricompare a Milano il 16 aprile del 2013, quando viene controllato dai carabinieri. A Milano però succede qualcosa d'altro. Ed è importante per rispondere alla domanda sulla sua follia.

È stato lo stesso Kabobo a raccontare sotto interrogatorio di essere abituato a bere molto. Abuso di alcol. Non solo: nelle sue notti vagabonde ha abitualmente, o quanto meno spesso, fumato droga. Non è stato ancora possibile determinare se si tratti di hashish o, molto più probabilmente, di crack. Gli esami tossicologici hanno dimostrato che la mattina del massacro non aveva tracce di stupefacenti nel sangue. Il killer però ha raccontato: «In passato ho fumato molta droga». E soprattutto: «Quando fumo droga le voci che sento nella testa sono molto più forti, molto più nitide».

 

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