libro stazione termini

UN MARZIANI A ROMA - BARBONI, MALAVITA’, TOSSICI, LADRI E PUTTANE: L’UMANITA’ VARIA E AVARIATA DELLA STAZIONE TERMINI DENTRO GLI SCATTI DI NICCOLO’ BERRETTA - REMIGIO LEONARDIS E LA SUA PIAZZA BARBERINI PER IL BALLO PAZZO DEL PRIMO POMERIGGIO. FAUSTO DELLE CHIAIE E LE SUE INSTALLAZIONI DI “ARTE POVERISSIMA” A PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE. LA PARTE PIU’ LUMINOSA DI ROMA VIENE DALLE SUE ANIME SUL BORDO…

Gianluca Marziani per Dagospia

 

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Per un marziano in missione è una perenne gioia aver scelto Roma come residenza terrestre. Quando capisci la Capitale hai compreso il concetto di giungla urbana e il linguaggio tribale del mondo con o senza ruote. Qui il semplice diventa complicato e l’ovvio si trasforma in continua eccezione; l’importante è non avere certezze in eccesso, non dare mai nulla per scontato e adattarsi alla vaghezza come nuova disciplina del caos aerobico.

 

Roma è incrocio culturale per vocazione millenaria, snodo meticcio per cultura antropologica, cinismo spietato per attitudine collettiva. Pregi che inglobano i difetti e viceversa, dentro un’eterna contraddizione che è la vera anima affilata della città, il suo spirito aleggiante che ha un suo foro moderno privilegiato, un luogo che più degli altri sembra il coacervo di ogni agitazione e sommovimento, promontorio del passaggio umano brulicante, portofranco di razze e culture.

 

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Mi riferisco alla STAZIONE TERMINI, diventata titolo e contesto di un “lookbook” (DRAGO) firmato NICCOLO’ BERRETTA. Dal 2009 al 2021 l’autore ha fotografato persone a figura intera e posizione eretta, usando inquadratura frontale, luce naturalissima e una stessa idea di fondo: raccontare l’umanità degli umani, la loro energia individuale, le personalità oltre il personale, la loro bellezza dantesca ed espressiva. Anni e anni tra le svariate aree della più grande stazione italiana, fedele ad un rigore estetico che lo avvicina a maestri come August Sander e Thomas Ruff, dentro un’essenza in cui ogni soggetto si esprime con le medesime regole d’ingaggio, dove tutti sono sullo stesso piano, davanti ad un unico punto di vista.

NICCOLO' BERRETTA - ROMA STAZIONE TERMINI - DRAGO PUBLISHER

 

L’inquadratura di Berretta sembra lo specchio fotografico dell’anima capitolina, fatta di stratificazioni illogiche eppure armoniose, di precarietà e monumentalismo, di aristocrazia e malavita alla stessa tavola, di lingue che diventano dialetti e dialetti che diventano linguaggio. Ogni figura un mondo, ogni sguardo una storia, ogni dettaglio un viaggio: quando sfogli le pagine scorri lungo un magnifico assembramento umano, così eterogeneo da confondere le nostre idee sulle categorie sociali.

 

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Perché Stazione Termini fa quello che non riesce dentro un aeroporto, ovvero, mescolare nobiltà e povertà, barboni e malavita, ricchezza e stanchezza, sacro e profano, semplicità e complessità: nessuna barriera divisoria, stessi attraversamenti per un ministro e un tossico, per un divo e una marchetta, per un’aristocratica da Tridente e una ladruncola da metropolitana. Berretta coglie il quid dentro il flusso random delle masse, mettendo una luce nel mucchio, un ideale circoletto a Led che illumina uno tra mille, diecimila, centomila… Colgo da questo libro tante belle informazioni sui globuli umani del corpo urbano, sul valore della solidarietà e del prendersi cura, sulla salvezza che ognuno di loro si porta appresso, su come la moda confonda un barbone con un designer vestito Comme des Garçons, su sguardi che spesso sono dispersi ma mai totalmente perduti. Anche davanti alle anime più sole percepisci vita e non morte al lavoro, direi quasi che l’umano respiro si mostra qui nel suo limbo spaziale e temporale, tutti assieme nell’attesa di un treno, un passeggero, un’elemosina, un taxi, un’altra notte…

REMIGIO LEONARDIS

 

Roma è la metropoli in cui crescono fiori umani rarissimi, specialità genetiche non replicabili e dalle azioni letterarie. REMIGIO LEONARDIS (morto ad ottobre 2010) era uno di questi fiori dai colori luminosi e profumi conturbanti: per anni e anni lo si trovava a piazza Barberini la mattina e nelle prime ore del pomeriggio, fedele ai suoi orari e al suo teatro urbano per spettatori non paganti. Ottimi natali, una bella casa in via Bricchetti dove tornava per pranzo, una vita “normale” fino al giorno in cui saltò qualche sinapsi e diventò la grande magia romana.

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Usando l’autobus 94 e 175 per i suoi spostamenti minimi, lo si vedeva sempre con grande cuffia e antenne in testa, occhiali e sciarpe di varia foggia, outfit tra un clown sobrio e un direttore d’orchestra pazzerello, impegnato in una sola missione: ballare lungo il marciapiede dell’isola centrale, a pochi metri dalla statua del Bernini, come un performer stupefacente ma anche fiabesco, spudorato e gentile, antico e futuristico nella sua follia di gesti e imprecazioni. Remigio era la catarsi quotidiana dei mali romani, la virtù poetica per illuminare la prospettiva verso il Parlamento dei mali perenni. Ballava, parlava coi passanti, sputava l’acqua che beveva dalla fontana, diceva cose assurde che forse non lo erano, declamate con occhio spiritato e una leggiadria di movimenti che sarebbe piaciuta a Pina Bausch. Remigio danzava con gioia sciamanica negli occhi, talvolta sembrava aggressivo ma era il suo modo di salutare il mondo come fosse un sole che da lontano scalda e da vicino brucia…

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fausto delle chiaie

Roma è anche la città di FAUSTO DELLE CHIAIE, artista di rara potenza che anima Piazza Augusto Imperatore da diversi decenni. Ogni giorno, prendendo un pullman dalla Sgurgola, arriva in centro e si posiziona nel punto migliore sotto l’Ara Pacis. Una volta, prima che Richard Meier realizzasse l’attuale contenitore, Fausto aveva maggior spazio per una visibilità che lo metteva al centro del palco urbano, come un regista di piccole poesie installative. Da quando la piazza ha iniziato un definitivo (speriamo) ripensamento architettonico, le certezze espositive di Fausto sono diminuite ma non lo è la voglia di continuare un progetto tra i più radicali, visionari e concettualmente intuitivi che si siano mai visti a Roma.

 

Ho avuto la fortuna di frequentare Massimo Riposati, editore e gallerista che capì Delle Chiaie meglio e prima degli altri, aiutandolo con l’acquisto quotidiano di almeno un’opera, producendo alcune sue mostre, dandogli quel poco con cui Fausto da sempre ha vissuto. Delle Chiaie appartiene a Piazza Augusto Imperatore quanto l’illustre signore che dà nome alla piazza, forse un giorno dovranno cambiare nome al lato in cui Fausto esponeva, ricordando al mondo che qualcuno può essere re senza corona e maestro senza cattedra.

 

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Questa piazza è il luogo elettivo per le sue poesie tascabili, opere di puro riuso in cui il titolo diventa la chiave, concettuale e poetica, che definisce il frammento riciclato. Per capirci meglio, le sue creazioni nascono da tutto ciò che l’artista trova per terra, lungo il tragitto, nei secchi, sui marciapiedi, ovunque esistano scarti in attesa di nuova e inattesa poesia. Una volta concluso il suo rifornimento materico, installa le opere come una vera mostra all’aperto, vendendo sempre a prezzi popolari, poche decine di euro per portarsi a casa piccoli capolavori che farebbero sfigurare molti artisti da biennale. La sua è “arte poverissima” in apparenza ma ricchissima di senso, intelligenza, amore, veggenza…

 

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Da qualche giorno gira una petizione su Change per dare a Fausto Delle Chiaie l’accesso alla Legge Bacchelli. Il vostro marziano chiede a tutti, soprattutto ai romani che amano Roma, di supportare un patrimonio umano prezioso e non replicabile. Quando morirà ne sentiremo la mancanza, così come la sentiranno le pietre, la polvere di Augusto, i topi amici, gli alberi al centro della piazza, i pollini di primavera, l’acqua del Tevere, le fontanelle… chissà se un giorno andremo a pranzo a Piazza Fausto Delle Chiaie.

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