“TRUMP? FLUTTUANTE E INCOERENTE. FA UNA SORTA DI RESET OGNI MATTINA PERCHÉ HA DIMENTICATO QUELLO CHE PENSAVA IL GIORNO PRIMA” – EMANNUEL CARRERE PARLA DEL PRESIDENTE USA, DEL SUO ULTIMO LIBRO, DELLA GUERRA IN UCRAINA: "AL G7 IN CUI ERO CON IL PRESIDENTE MACRON NON SI PARLAVA PIÙ DELLE QUESTIONI DELL’INCONTRO MA DI COME CIASCUNO LEADER SAREBBE STATO TRATTATO DA TRUMP, PERCHÉ UN GIORNO ERA GENTILE E IL GIORNO DOPO TI CALPESTAVA. ASSISTERE A QUESTO ERA SPAVENTOSO" – E SU PUTIN E ZELENSKY…
Cédric Petit, Jean-Claude Vantroyen per Le Soir/Lena, Leading European Newspaper Alliance pubblicato da la Repubblica - Estratti
Con Emmanuel Carrère, l'equazione è semplice: ogni suo libro è un evento. Che si occupi del caso di Jean-Claude Romand, il padre di famiglia che ha ucciso la moglie e i figli prima di togliersi la vita in L'adversaire, che racconti il processo per gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi in V13, o ancora quando affronta la biografia dello scrittore e politico russo Limonov nell'omonimo romanzo.
Tutti sono accolti dalla stessa valanga di superlativi e premi. Kolkhoze, pubblicato alla fine di agosto, non ha fatto eccezione alla regola, essendo stato subito indicato tra i favoriti per i premi letterari autunnali, in particolare per il Goncourt. Se il premio è andato a Laurent Mauvignier per La maison vide, Kolkhoze non ha usurpato l'attenzione che gli è stata riservata, né il premio Médicis che gli è stato assegnato.
Emmanuel Carrère vi cerca le radici del suo amore filiale per sua madre Hélène Carrère d'Encausse, specialista dell'URSS e poi della Russia, e di tutta la sua stirpe. Il romanziere, giornalista, regista (Ouistreham) e sceneggiatore (Le mage du Kremlin) era di passaggio a Bruxelles; l'occasione per parlare con calore del suo lavoro di scrittore, dell'accoglienza riservata al suo ultimo romanzo (tirato in 250.000 copie) e dell'attualità internazionale che per lui è diventata illeggibile.
Ha vinto il Médicis con Kolkhoze, ma per lei, a cui tutti promettevano il Goncourt, è stato un premio di consolazione?
EMMANUEL CARRERE CON LA MADRE HELENE CARRERE D'ENCAUSSE
No, è un bel premio. Se si guarda la lista dei giurati o quella dei vincitori, è un premio molto soddisfacente. Lo hanno ricevuto Georges Pérec, Claude Simon, Hélène Cixous. Anche i belgi Pierre Mertens e Jean-Philippe Toussaint. Per molti era il premio delle edizioni Minuit. Jérôme Lindon, il suo direttore, diceva: «È il nostro premio». Georges Pérec è uno degli scrittori che mi ha segnato di più quando ero giovane. È proprio grazie a lui che sono entrato a far parte della P.O.L., casa editrice alla quale sono fedele ormai da 41 anni...
Il filo conduttore di Kolkhoze è la genealogia e la memoria familiare. In un'epoca guidata dal breve termine e dall'urgenza, questi racconti che lei definisce «verticali» diventano sempre più necessari?
Non so se siano necessarie a tutti, non posso generalizzare. A me erano necessarie. Ho persino l'impressione che la situazione in cui ci troviamo possa relativizzare molti progetti letterari, compreso il mio. Ma questo non ci impedisce di continuare a realizzarli.
Cos'altro si può fare, del resto?
Mi piacerebbe essere in grado di dare vita a una rappresentazione globale del momento presente, di dove ci troviamo. In mancanza di ciò, credo di poterlo fare a “piccoli pezzi”. L'evocazione della mia famiglia in questo romanzo mi porta anche a parlare di un momento particolare della storia della Russia, di quello che potremmo chiamare l'imperialismo russo di oggi, dell'Ucraina, della Georgia.
Oggi è più proficuo partire dal “particolare” (i morti, la famiglia, i ricordi) piuttosto che affrontare le crisi mondiali che saturano un po' la visione (le guerre, l'intelligenza artificiale)?
Mi piacerebbe essere in grado di scrivere su un argomento come l'intelligenza artificiale. Ma devo ammettere che non so come farlo. Innanzitutto, il mio livello di informazione è insufficiente. Inoltre, non sono un saggista. Per me, dovrebbe assumere la forma di un racconto. Ma non sono nemmeno un romanziere, nel senso che non invento storie di fantasia. Dovrei quindi arrivare a un lavoro di indagine narrativa. Perché no? Ma, al momento, non vedo come affrontarlo.
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In che modo la memoria della Russia evocata in Kolkhoze risuona con il tragico presente dell'Ucraina in questo inizio di dicembre?
Il problema è che la situazione odierna è così mutevole, fluttuante... Onestamente, non ho idea di come andrà a finire. Il piano di pace proposto dai russi e che si sta cercando di modificare sarà approvato, e in che modo? Trovo comunque assolutamente terribile la posizione in cui si trova Zelensky.
O molli e ti arrendi. Oppure non ti arrendi, ma ti esponi al rischio che ti venga rimproverato di non volere la pace. È terribile, di una violenza terrificante. Non so come potrebbe evolversi la situazione e chi potrebbe saperlo. Si suppone che nei prossimi giorni o settimane si troverà una soluzione, buona o cattiva, più probabilmente cattiva. Ma forse non ci sarà alcuna soluzione e tutto potrebbe continuare, con Putin che bombarda dicendo di essere aperto alla negoziazione, ma che la palla è nel campo ucraino che non la vuole. Se si segue il suo ragionamento, si arriva quasi a considerare che sono gli ucraini gli aggressori e che l'operazione speciale è una sorta di intervento umanitario...
Tra la propaganda sovietica e l'era della disinformazione e dei deepfake, vede una continuità?
Mi sembra che siano molto simili. George Orwell ha descritto perfettamente questo fenomeno, il fatto che si dica esattamente il contrario della realtà. Cito come una sorta di mantra la frase totalmente orwelliana di Georgij Piatakov, un compagno di Lenin, che affermava: «Se il partito dice che il nero è bianco e il bianco è nero, un buon bolscevico deve crederci». Era detto senza alcuna ironia. E noi ci siamo proprio dentro.
Lei dice: «Non so come potrebbe evolversi la situazione»; sorprendente da parte di un grande conoscitore della Russia?
Mia madre conosceva molto bene la Russia, io no. E lei stessa sarebbe estremamente sconcertata, credo, tanto più che a un certo punto ha sbagliato a fidarsi di Putin. Neanche lei se lo aspettava.
In realtà, tutte le persone che per molto tempo hanno nutrito illusioni su Putin, senza arrivare a pensare che fosse un grande umanista, ma sostenendo che giocasse secondo le regole, oggi sono ampiamente disilluse. Come diceva Churchill: «La Russia è un enigma all'interno di un segreto avvolto nel mistero».
VOLODYMYR ZELENSKY DONALD TRUMP VLADIMIR PUTIN
Nel suo libro riprende una frase dello storico Tacito, che a sua volta riprendeva una frase di un capo iberico: «Quando hanno distrutto tutto, i Romani lo chiamano pace». È quello che sta succedendo a Gaza e forse in Ucraina?
Sì, ed è quello che è successo anche in Iraq. C'è senza dubbio una sorta di tropismo naturale dei totalitarismi o degli imperialismi a dare corpo a questa formula.
Il modo in cui gli americani danno carta bianca a Putin gli permette, in fin dei conti, di agire come meglio crede...
Oltre ad essere dannosa, la posizione americana è totalmente fluttuante e incoerente, proprio come Trump. Ciò che sembra più costante nei leader americani è l'intesa con Putin sulle spalle di questi poveri ucraini. Putin e Trump, oggi, sono come personaggi di una tragedia, molto contrastanti.
Uno è estremamente concentrato, sa esattamente dove sta andando, cosa vuole, non molla mai, considera che il tempo gioca a suo favore. L'altro va in tutte le direzioni, fa una sorta di reset ogni mattina perché ha dimenticato quello che pensava il giorno prima.
donald trump vladimir putin anchorage alaska foto lapresse
Ne sono stato testimone in occasione di un G7 in cui ero in reportage embedded con il presidente Macron. Era allo stesso tempo comico e spaventoso. Non si parlava più delle questioni del G7, e Dio solo sa se ce n'erano, ma di come ciascuno sarebbe stato trattato da Trump. Era la loro unica preoccupazione. Perché un giorno era gentile e il giorno dopo ti calpestava. Assistere a questo era spaventoso.
(...)
Questo significa che la letteratura non è morta
No, la letteratura non è morta. Io faccio parte di quelle persone che, in ogni caso, hanno qualcosa da fare. Si tratta di costruire frasi, con queste frasi costruire paragrafi, con questi paragrafi costruire capitoli, con questi capitoli costruire un libro. Un piccolo bricolage che è sempre stata la mia attività preferita.
In una precedente intervista a Le Soir, lei aveva citato Joan Didion: «Molto spesso, diceva, mi sento come una sonnambula che attraversa il mondo senza essere consapevole delle grandi questioni del tempo». E lei provava la stessa sensazione. È ancora sconcertato?
VOLODYMYR ZELENSKY E VLADIMIR PUTIN COME PUGILI SUL RING - FOTO CREATA CON GROK
Non ho alcuna sensazione di poter agire. Ma cerco di descrivere, di approfondire, sì, lo faccio. Soprattutto facendo giornalismo come in V13. Nel giornalismo ci sono due famiglie: quella che si occupa di analisi, tribuna, commento, e quella che si occupa di reportage, narrazione. Io appartengo decisamente alla seconda categoria, il che non significa affatto che disprezzi la prima, ma non so scrivere un editoriale, per esempio. In compenso, posso provare a raccontare una storia, a far capire una questione e la sua complessità attraverso i personaggi, ciò che vivono, ciò che sono.



