queer

IL CINEMA DEI GIUSTI – FINALMENTE ARRIVA SUI NOSTRI SCHERMI “QUEER”, TRATTO DALL’OMONIMO ROMANZO DI WILLIAM S. BORROUGHS. PER ME È IL CAPOLAVORO DEL CINEMA DI LUCA GUADAGNINO. ALMENO QUELLO DOVE SI ESPONE DI PIÙ. PER QUESTO ANCOR PIÙ DIVISIVO DEL SOLITO. E SGRADEVOLE. MA ALMENO È UN FILM CHIARO E SENZA COMPROMESSI -PUÒ NON PIACERVI. MA SE NON VI PIACE “QUEER”, ALLORA NON VI PIACE IL CINEMA DI GUADAGNINO E QUELLO CHE OGGI RAPPRESENTA PER IL CINEMA INTERNAZIONALE… - VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

 

DANIEL CRAIG QUEER

Amanti di William S. Burroughs, ma anche dei film di Powell&Pressburger e di Douglas Sirk, preparatevi. Perché giovedì 17, diciamo per Pasqua, finalmente arriva sui nostri schermi “Queer”, tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs presentato in concorso a Venezia lo scorso settembre, dove però nulla vinse.

 

E fu un’ingiustizia perché il Leone d’Oro allo stanco film per signore di Pedro Almodovar, “La stanza accanto”, era un’assurdità e ancora più la Coppa Volpi a Vincent Lindon in quanto amico di Isabelle Huppert, presidente della giuria, per “Jouer avec le Feu” di Delphine e Muriel Coulin, e non allo strepitoso Daniel Craig protagonista di “Queer”. E, se vogliamo, era pure un’esagerazione il Leone d’Argento alla regia per Brady Corbet, visto che “The Brutalist” è un film, alla fine, molto più debole di quel che appare.

 

DREW STARKEY DANIEL CRAIG QUEER

“Queer”, ribadisco, è per me il capolavoro del cinema di Luca Guadagnino. O, almeno quello dove si espone di più. Per questo ancor più divisivo del solito. E sgradevole. In un momento poi dove non c'è alcuna attenzione per le tematiche omosessuali. Tanto che non ha avuto nemmeno una nomination agli Oscar e incassi non all’altezza in America. Ma almeno è un film chiaro e senza compromessi.

 

Che da una parte punta a dialogare col grande cinema del passato, Powell, Sirk, Fassbinder, Schroeter, ma anche i film messicani di Don Siegel e Robert Parrish con gli americani alla Robert Mitchum in fuga storditi da droga e alcool e dall’accettare i propri sentimenti. Da un’altra mette in scena la solitudine, la tristezza del suo protagonista rispetto al desiderio impossibile per un ragazzo etero, che Daniel Craig si reinventa totalmente togliendosi anche l’ombra ricoperta di pallottole di James Bond.

 

DANIEL CRAIG E LUCA GUADAGNINO SUL SET DI QUEER

Ripeto. Può non piacervi. Ma se non vi piace “Queer”, o anche se dite che non lo avete capito, allora non vi piace il cinema di Guadagnino e quello che oggi rappresenta per il cinema internazionale, fosse pure una rilettura continua della classicità di Hollywood, dei suoi generi, dei suoi autori e della sua fortuna critica in Europa. Penso alla messa in scena lubitschiana di “Challengers”, alla componente tourneriana di “Bones and All”, a quella (probabilmente) hitchcockiana del suo prossimo film, “After the Hunt”.

 

daniel craig drew starkey queer

Ogni film di Guadagnino è costruito, come quello di Tarantino, in maniera diversa con sfide diverse, ma sono sempre sfide di messa in scena cinematografica mediate da una lettura critica. Scollate o quasi dal tema. Mentre per Tarantino il tema o il genere, penso a “Django Unchained” e “Hateful Eight”, serve per rifare il cinema più amato, magari usando il SuperPanavision 70 mm, ma per parlare alla fine d’altro, razzismo e blaxploitation o l’America violenta di oggi, per Guadagnino il tema è spesso solo funzionale per la costruzione della messa in scena.

DREW STARKEY DANIEL CRAIG QUEER

 

Perché proprio lì, come già per Bertolucci, sta la sua autorialità. E questo, se per un pubblico più giovane, abituato a continue riletture, è immediato, per il cinéphile conservatore settantenne, un po’ ottuso, diventa un problema. Non lo capisce. Perché il cinéphile ragiona su un cinema d’autore scomparso da mezzo secolo e non sa come etichettare i suoi film. Ma Guadagnino diventa autore dei suoi film mettendoli in scena e dialogando direttamente col cinema, coi suoi generi, coi suoi meccanismi.

 

E, soprattutto, con la costruzione, totalmente hollywoodiana, o se volete bertolucciana-hollywoodiana, dei personaggi. Il Daniel Craig di “Queer” nei panni del fascinoso, genettiano, autopunitivo Lee, alter ego di Burroughs, così vale il Marlon Brando di “Ultimo tango” di Bertolucci. Tutti e due gli attori si portano dietro altri personaggi, altro cinema e il “tema”, che può essere Bataille come Burroughs, la morte come la solitudine, l’amore come il sesso, finisce tutto nella messa in scena. Come l’autorialità del regista.

 

DANIEL CRAIG DREW STARKEY QUEER

Al di là delle sue origini letterarie e della incredibile presenza di Daniel Craig, è il suo film più coraggioso e personale. “Queer” è il film dove tutte le sue storiche ossessioni, cinematografiche, letterarie, produttive, scenografiche, confluiscono e prendono una nuova vita lì, nella magic land di un border messicano dove tutto è possibile. E qui le sue abilità di regista, produttore, art director, perfino fan o, se preferite, studioso di cinema sono più evidenti e si liberano dai modelli accademici.

 

DANIEL CRAIG QUEER

Al punto di vivere finalmente di luce propria, fosse anche tutta quella necessaria, e fintissima, da studio felliniano di Cinecittà che serve per illuminare il suo spettacolare protagonista, vero motore del film, affogato sia nell’abito bianco da “Improvvisamente l’estate scorsa”, che nasconde la pistola che a un certo punto dovremo pur veder sparare (fosse anche in flashback, fosse anche puntata sulla persona sbagliata), sia in una iper-letteraria, iper-cinematografica Ciudad de Mexico dove nessuno della troupe ha messo piede, ma dove Guadagnino può modellare il suo desiderio di querellismo, di cinema saggistico sul cinema del passato.

 

Ma anche, perché no?, liberarsene in una giungla finta dove si muove una spettacolare Lesley Mainville. Inserito in un momento di totale felicità creativa, quale altro regista può vantare altrettanto oggi?, fra film che hanno avuto esiti alterni al box office, ma tutti molto amati dalla critica internazionale e coraggiosi, come “Bones and All” e “Challengers”, e il già pronto “After the Hunt” con Julia Roberts, Ayo Edebiri e Andrew Garfield che vedremo a Venezia 2025, “Queer” è un’opera maggiore, decisamente e volutamente ambiziosa e personale.

DREW STARKEY DANIEL CRAIG QUEER

 

Prodotta in prima persona assieme a Lorenzo Mieli, fatta scrivere al Justin Kuritzkes già sceneggiatore di “Challengers”, ma a lungo pensata e sognata come un progetto d’amore inseguito da anni, per il quale Guadagnino ha riconfermato il suo gruppo creativo, Sayombhu Mukdeeprom alla fotografia, Trent Reznor e Atticus Ross alla musica, Marco Costa al montaggio, sembra qualcosa che, con un doppio salto mortale, faceva in qualche modo già parte del suo repertorio visivo.

DANIEL CRAIG QUEER

 

Come i progetti molto sognati e da molto tempo accarezzati, penso non a caso all’ultimo film di Werner Schroeter, “Nuitn de chien”. Arriva sullo schermo con la carica del testo letterario di Burroughs, per molti intraducibile per immagini, un testo iniziato nel 1952, dopo la fuga del Texas (e dopo l’omicidio “per sbaglio” della moglie Joan Vollner) e l’arrivo in Messico, e portato avanti trent’anni, tra droghe, alcol, ripensamenti, ma che Luca ha avuto tempo di modellare narrativamente e visivamente all’interno del suo stesso lavoro e del cinema che ama.

 

daniel craig in queer

Lee, Daniel Craig, è uno scrittore spiaggiato nei gay-bar di Ciudad de Mexico in cerca di ragazzi, che ha molto da farsi perdonare e forse da dimenticare, così tanto da non osare nemmeno descriverlo, che a un certo punto si innamora di Allerton, Drew Starkey, ebreo americano freddo e distante, pronto a vendersi per soldi, ma che non mostra per lui lo stesso interesse.

daniel craig in queer

 

Tra droghe, alcol, scopate non memorabili coi pantaloni calati, il compiacimento di un auto-massacro alla Camus, Lee si trascina fino nella giungla, alla ricerca di qualcosa di magico, lo yage, che potrebbe dargli il controllo della mente. Come in un film americano anni ’50 diretto da Don Siegel o Byron Haskin, quello che vince su tutto non è l’amore, è la costruzione dell’idea di avventura di un personaggio che vuole dimenticare e al tempo stesso esserci per raccontare una storia che lo vede protagonista della propria disfatta.

queer di luca guadagnino

 

Guadagnino, come Burroughs, sembra ossessionato dalla costruzione del disfacimento del protagonista. Non è l’amore per Allerton, a muoverlo, ma l’idea dell’amore e il perdercisi dentro, letterariamente. Nel Novecento di Fassbinder, Camus, Pasolini, ormai senza confini, regioni, paragrafi. Daniel Craig è così bravo, in questo percorso, da far vivere anche i piccoli momenti di pausa che precedono le sue minime azioni. Mi dispiace solo non aver visto la versione di tre ore e mezzo con i gay bar di Ciudad de Mexico. In sala da giovedì 17. E’ il film di Pasqua. Diciamo…

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