IL CINEMA DEI GIUSTI - “SEMPLICE CLIENTE” E' UNO SCATENATO, PICCOLO MA BEN FATTO DOCUMENTARIO SU UNO DEI MOMENTI PIÙ STRACULT DELLO SPETTACOLO ITALIANO DEL VECCHIO SECOLO: IL COMPLESSO SCHERZO DELLA LAVATRICE SAN GIORGIO, CHE AVREBBE COSTRETTO MARIO MAGNOTTA A RICOMPRARSI UNA LAVATRICE OGNI SEI ANNI (“NON LA VOGLIO!” – “MI ISCRIVO AI TERRORISTI!”) - MAGNOTTA, IL SUO FACCIONE, LA SUA VOCE, IL SUO CADERE NELLO SCHERZO, RACCONTANO UN’ITALIA LONTANA, POPOLARE, PRE-SOCIAL, CHE NON ESISTE PIÙ… - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
“So’ Magnotta”. Ridi subito. Incredibile, dopo quasi quarant’anni. Appena lo senti, anche in questo scatenato, piccolo ma ben fatto documentario, “Semplice cliente” diretto da Alessio De Leonardis per la Mescalito Film che ieri sera insieme a Nino Frassica siamo andati a vedere in onore di uno dei momenti più stracult dello spettacolo italiano del vecchio secolo.
E con noi ride tutta una generazione che è cresciuta, prima dei social, con gli scherzi telefonici. Forse perché Magnotta ha questo faccione compatto coi baffoni neri e il riporto, questo fisico tarchiato, quest’accento abruzzese irresistibile, pronto a esplodere con bestemmie che nessuna tv passerebbe e che oggi nessuno dice più (porcoXX porcaXX).
Anche se non ti ricordi bene il complesso scherzo della lavatrice San Giorgio, che avrebbe costretto Magnotta a ricomprarsi una lavatrice che si carica dall’alto che non gli serviva ogni sei anni come da contratto (“Non la voglio!” – “Mi iscrivo ai terroristi!”).
E, oggi, forti delle decine di telefonate patacca che ci fanno da tutto il mondo ogni minuto e che noi abilmente schiviamo, non capisci perché il signor Mario Magnotta, bidello di non so quale istituto tecnico dell’Aquila, non riagganciasse agli scherzi telefonici che gli fecero due bontemponi della stessa città che già lo avevano massacrato da studenti, a scuola. No. Magnotta non solo ci casca, ma parla coi suoi torturatori, che non sa di conoscere benissimo, perché abitano all’Aquila.
E si incazza sempre di più fino a esplodere (“Nooooooo!”). E tutta Italia ci ha riso per anni. Basta un nome, Magnotta, e un oggetto, la lavatrice, per riportarci a quel momento. Nel documentario viene ricostruito sia il personaggio, fenomenale, nella città prima del terremoto, sia la genesi dello scherzo. I due oggi vecchiotti signori che glielo fecero raccontano che non solo Magnotta ci cascò immediatamente.
Ma fu quasi lui a volere andare avanti. Anche quando lo invitarono a cena quasi per chiedere perdono, lui preferì tornare a casa per aspettare la telefonata. Dietro c’era probabilmente la tristezza di un personaggio un po’ solo, lasciato dalla moglie, con una bambina piccola, che alla fine si aggrappava a quella telefonata come fosse un raro momento di sfogo. E il documentario ci racconta quello che capitò dopo a Magnotta, che divenne quasi una star dello spettacolo.
Andava all’Alien a Roma esibito come fosse una bella donna (“sei quello della lavatrice?” – “So’ Magnotta”), gli venivano tributati pezzi musicali, trasmissioni locali, lo chiamò perfino Frizzi a “I fatti vostri”. Ricordo che nei primi anni di Blob, parliamo del 1989, passammo qualche telefonata di Magnotta, ovviamente senza bestemmie, ma personalmente mi sembrò un metodo facile per far ridere il pubblico. Poi lo scherzo telefonico mi sembrava qualcosa di destra, un po’ fascista.
Era brutto ridere di un poveraccio che finiva nello scherzo quasi per disperazione. Eppure, anche se non è affatto bello quello che capitò a Magnotta e alla famiglia, lui è morto a 66 anni di un brutto male, la figlia racconta di aver molto sofferto il fatto che il padre fosse diventato lo zimbello della città, poi arrivò il terremoto a farle perdere la casa, oggi le cose acquistano un valore diverso.
Perché proprio Magnotta, con il suo faccione, la sua voce, il suo cadere nello scherzo, raccontano un’Italia lontana, popolare, pre-social, che non esiste più, dove il rispondere al telefono era comunque un tentativo di socializzare col prossimo. E anche un bidello dell’Aquila poteva diventare un eroe popolare, una stella dello spettacolo.
Il regista del documentario dosa molto le telefonate, anche se quando le fa partire una dopo l’altra ottiene un clamoroso e irresistibile effetto comico. E’ allora che la voce di Magnotta torna su da un paese profondo che pensavamo di non ricordare più. E io, maledetto blob, penso che se ne potrebbe far qualcosa tipo Beckett a teatro o tipo “La voce di Hind Jab” al cinema o un vero e proprio show in tv, “Serata Magnotta”. In sala, qui e là.
semplice cliente - il docufilm sul caso di mario magnotta
semplice cliente - il docufilm sul caso di mario magnotta





