fabiano fabiani

"SONO STATO VICINO AI DEMOCRISTIANI DI SINISTRA. MI DEFINIREI UN ANIMALE POLITICAMENTE ANOMALO" - FABIANO FABIANI, GRANDE BOIARDO DEMOCRISTO (RAI, IRI, FINMECCANICA) APRE LE VALVOLE CON GNOLI: “IO AL CENTRO DELLE STRATEGIE DI POTERE? QUALCHE VOLTA MI SONO TROVATO TESTIMONE DI FATTI” - LA “CENA DEI CRETINI” CON SCALFARI, ENZO SICILIANO, GIORGIO RUFFOLO, MARIO PIRANI, LUIGI ZANDA E ALFREDO REICHLIN (“ADATTAMMO IL TITOLO DI UN FILM ALL’IDEA CHE SI POTESSE CON LEGGEREZZA SCHERZARE SU TUTTO”) - ETTORE SCOLA COMPAGNO DI BANCO, L’OFFERTA DELLA MONDADORI E IL RAPPORTO CON COSSIGA - QUANDO BERLUSCONI DISSE: “FABIANI? LO CONOSCO, ERA UNO CHE PICCHIAVA I FIGLI”

https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ldquo-fabiani-conosco-era-che-picchiava-figli-rdquo-391579.htm

 

 

Antonio Gnoli per “la Repubblica – Robinson” -Estratti

 

FABIANO FABIANI IN UN DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI

La sua faccia ricorda un antico volto etrusco. Essendo nato 94 anni fa a Tarquinia, zona di necropoli e di reperti archeologici, l’accostamento è fin troppo facile. Meno facile è riuscire a riassumere la lunga vita professionale di Fabiano Fabiani: «In Rai mi chiamavano “l’etrusco”. Prima di finire a Roma ho vissuto a Tarquinia, e frequentato le scuole a Volterra. 

 

(...)

Non proprio una lezione di storia, ma qualcosa che si avvicini a un resoconto fedele di un’Italia a cavallo tra gli anni Cinquanta e primi Ottanta, dominata dalla Democrazia cristiana. Lei ha un passato democristiano?

«Sono stato vicino ai democristiani di sinistra. Mi definirei un animale politicamente anomalo».

 

Cattolico?

«Anche. Potevi essere cattolico senza essere democristiano. Ma non viceversa».

 

La politica che si sposava con la religione.

ettore scola fabiano fabiani eugenio scalfari

«Neanche tanto. Quel connubio, per fortuna, non ha prodotto teocrazie».

 

Ma clericalismo sì.

«Non a caso ero vicino ai democristiani di sinistra».

 

Qual era la differenza tra un Dc di destra e uno di sinistra?

«I primi erano notoriamente più chiusi, meno disponibili ad accogliere o a tener conto delle trasformazioni sociali».

 

La sua televisione ne teneva conto?

«Ho vissuto in Rai per 25 anni e molto di quello che ho fatto e deciso ha tenuto conto del modo in cui la società italiana stava mutando».

 

 Perché ha scelto di lavorare in televisione?

fabiano fabiani lilli fabiani

«Mio padre voleva che diventassi ingegnere, la mia ambizione era il giornalismo. Cominciai appena ventenne con una collaborazione allaVoce repubblicana ero il vice responsabile prima di una rubrica di critica teatrale e poi cinematografica. In precedenza avevo collaborato alMarc’Aurelio. Mi ci portò il mio amico Ettore Scola».

 

Era una palestra irriverente. Lei non dà questa idea.

«Con Ettore, compagno di classe e di banco al liceo, ci siamo scambiati molti pensieri irriverenti».

 

Voleva anche lei fare cinema?

«A me il cinema piace vederlo. Per farlo ci devi essere portato. Scola era un predestinato. La mia strada, come le dicevo, era il giornalismo. La Rai mi offrì l’opportunità di unire la passione per le immagini con la cronaca. Entrai, dopo un concorso, nel 1955».

 

Andò al Tg?

fabiano fabiani e la moglie lilli foto di bacco

«No, conobbi, è vero, il primo direttore del telegiornale, Vittorio Veltroni, padre di Walter: un cronista di razza che sapeva guardare al futuro. Purtroppo il futuro gli riservò un destino tragico, perché l’anno dopo morì per una leucemia fulminante. A quel tempo mi occupavo di documentari».

 

C’era già Ettore Bernabei?

«Arrivò nel 1960 sotto il governo guidato da Amintore Fanfani. Il quale oltre alla nomina di Guido Carli alla banca d’Italia, mise Bernabei alla direzione della Rai. Fu quest’ultimo a nominarmi direttore del telegiornale nel 1966. Avevo 36 anni».

 

Com’erano i rapporti tra voi?

«Sospetto che voglia chiedermi se interveniva pesantemente sul mio operato. Le rispondo no».

 

Forse non ce ne era bisogno.

«Forse l’autocensura precedeva la censura, la verità è che interagendo frequentemente c’era molta sintonia. Ci davamo del lei. Mi telefonava tutti i giorni tra le cinque e le sei del pomeriggio. Si faceva riassumere i fatti del giorno, come li avrei esposti e in che ordine. Era raro che desse dei suggerimenti e mai l’ho sentito censorio».

 

fabiano fabiani con la moglie lilli foto di bacco

Eppure è noto il peso che Bernabei ha avuto nell’allontanamento di alcuni personaggi considerati scomodi o non in linea con il dettato fanfaniano.

«Riguardarono soprattutto il varietà. Ci furono casi che coinvolsero personaggi come Tognazzi e Vianello».

 

Ma anche Dario Fo.

«Certo, anche Fo e altri ancora. Bernabei voleva una televisione che fosse il baricentro del paese. Senza scosse. Voleva liberarla dal gruppo di potere torinese per il quale la televisione era una radio con le immagini. Per Bernabei la televisione doveva essere un mezzo autonomo, dotato di un proprio linguaggio: popolare e non elitario».

 

(...) Lasciai la direzione nel 1969».

 

Lasciò perché?

Fabiano Fabiani Mario Draghi

«La situazione era politicamente complicata. Il Sessantotto stava cambiando i connotati della società italiana e non solo di questa. Ricordo la forte incazzatura di Saragat, allora presidente della Repubblica, per un servizio di Furio Colombo sulla guerra in Vietnam, dove per la prima volta si documentava l’uso del napalm da parte degli americani».

 

Perché Saragat se la prese?

«Perché era a pranzo con l’ambasciatore mentre Tv7 trasmetteva il servizio. Si sentì probabilmente in imbarazzo, o in difficoltà. Gli americani non ne uscivano bene».

 

So che lei non ha amato il Sessantotto.

«Era disordine che produceva altro disordine. In quel clima caotico ci fu un gruppo di redattori del mio Tg, guidato da Enzo Forcella, che decise di fare degli incontri redazionali fuori dall’ambito di lavoro. A me sembrava un po’ una pazzia. Questo, per dire, il clima di allora».

 

(...)

Torniamo a lei.

Fabiano Fabiani Ciampi

«Nel ’69 lasciai la direzione del Tg. Ci fu una trattativa con Bernabei che per me immaginò un ruolo che non esisteva nell’organigramma dell’azienda: segretario generale. Era un passaggio professionale da giornalista a manager».

 

Le stava bene?

«Mi stava bene, sì. Ma sorsero delle complicazioni. Gianni Granzotto, presidente della Rai, si oppose all’ordine di servizio di Bernabei. Ci fu uno scontro violento tra i due. Fu così che, tornando da Piazza del Gesù, dove aveva sede la Democrazia cristiana, Bernabei mi disse di essere desolato perché i dorotei, una corrente della Dc, si erano opposti».

 

 A quel punto?

 «Fu laconico: Fabiani si cerchi un altro posto. Il posto ce l’ho come direttore, risposi brusco».

 

E lui?

Fabiano Fabiani

 «Lei, Fabiani si sta montando la testa. Lei vuole i comunisti al governo. Io voglio servire nel modo migliore questa azienda, replicai. A quel punto mi proposero il ruolo di direttore centrale della Radio. Rifiutai dicendo che non era mia intenzione finire alla Caienna. Cosa che offese il direttore Leone Piccioni. Alla fine trovammo un accordo: mi fu offerta la direzione dei programmi culturali e finalmente accettai».

 

La televisione aveva contribuito tra gli anni Cinquanta e Sessanta all’innalzamento culturale del paese.

«Ebbe un ruolo fondamentale nell’accompagnare il passaggio da un mondo prevalentemente contadino a quello industriale. Ci furono trasmissioni come quella del maestro Manzi che contribuirono all’alfabetizzazione degli italiani. Nel mio nuovo incarico dovevo affrontare e interpretare una società completamente cambiata. Ne tenni conto senza perdere l’identità originaria».

 

Cosa intende?

«Su un punto Bernabei ha sempre avuto ragione: la televisione è popolare o non è. Portai gran parte della squadra che aveva lavorato con me al telegiornale e dissi pressappoco questo: dobbiamo coinvolgere scrittori, compositori, registi e proporgli noi il “format”. Fu così che iniziò un viaggio dentro la musica popolare con Luciano Berio, mandammo Moravia a girare un documentario inAfrica, Antonioni in Cina, Flaiano in Canada. Pasolini realizzò un documentario bellissimo sulle mura di Sana’a nello Yemen, commentate da lui».

Cossiga e Fabiano Fabiani

 

A proposito di “popolare” fece anche una “Vita di Gesù” con Zeffirelli.

«Fu una coproduzione con gli inglesi. A dire il vero, all’inizio proposi Bergman. Mi piacevano i suoi film. Chiesi un’entratura a Fellini e ottenni un appuntamento a Stoccolma».

 

Vi vedeste dove?

 «In un ristorante. Avevamo già avuto uno scambio di idee per lettera. Si presentò con una quindicina di paginette dove aveva messo a punto non la storia della vita di Gesù ma i giorni della “Passione”. Chiesi perché? Mi rispose che lì, in quel dramma, c’era il vero Gesù. Alla fine quelli che misero i soldi decisero di affidare la regia a Zeffirelli».

 

Tutto sommato videro giusto.

 «Fu appunto un Gesù popolare. Una volta, incontrandomi, Zeffirelli disse: ma sai che palle se alla fine davi il film a Bergman! Dopo la direzione dei programmi culturali passai alla vice direzione generale. Infine mi fu chiesto di fare il progetto per la nuova Terza Rete».

Scalfari con Lilli e Fabiano Fabiani

 

E dopo?

«Passai all’Iri. Appena 15 giorni dal mio insediamento mi fu offerta la direzione della Stampa ma rifiutai. Non mi sembrava corretto andarmene».

All’Iri cosa faceva?

«Ero capo delle relazioni esterne. Quando arrivò Pietro Sette, mi mandarono alle Autostrade. Poi sono stato 15 anni in Finmeccanica, ricoprendo vari incarichi fino alvertice. Ma qui entriamo in una storia più economica. Comunque ebbi anche un’offerta alla Mondadori».

 

In che occasione?

«Dopo la morte di Mario Formenton, sua moglie, Cristina Formenton, pensò a me per prendere il suo posto. Dissi che avrei accettato solo se l’intera famiglia fosse stata d’accordo. A opporsi fu Leonardo Mondadori. E allora non se ne fece niente».

 

È stato spesso al centro delle strategie di potere?

«Qualche volta mi sono trovato testimone di fatti».

Per esempio?

«Ero molto amico di Cossiga. Quando ebbe l’incarico per un nuovo governo, decise a casa mia chi imbarcare. Ricordo che venne con l’idea di insediare al ministero del commercio Filippo Maria Pandolfi, dopo il pranzo, uscì il nome di Gaetano Stammati».

 

Com’era Cossiga in privato?

«Grande personalità che nel tempo è diventata imprevedibilità. Intorno a sé voleva soprattutto sardi. Fu un duro colpo per lui la morte di Aldo Moro. Da quel momento cominciò a soffrire di depressioni».

 

Lei come reagisce alle malattie?

«A 94 anni è una corsa a ostacoli. Fortunatamente la salute non è mai mancata».

 

È stato amico di Eugenio Scalfari.

Fabiano Fabiani

«Ci conoscemmo quando ero alla direzione del telegiornale. Lui commentava i fatti economici. È stata un’amicizia lunghissima. Fui io a presentargli Montanelli».

 

C’era un rituale tra voi che Scalfari chiamava la “cena dei cretini”».

«Ah certo! La definizione fu mia moglie Lilli a darla una volta che eravamo a Capalbio. Poi divenne un appuntamento settimanale in un ristorante romano».

Chi eravate? «Oltre Eugenio e me c’erano Enzo Siciliano, Giorgio Ruffolo, Mario Pirani, a volte Luigi Zanda e immancabilmente Alfredo Reichlin».

 

Cretini perché?

«All’inizio c’era stato un film francese della fine degli anni Novanta. In realtà adattammo quel titolo all’idea che si potesse con leggerezza scherzare su tutto. Mi mancano quegli incontri. Ma la nostra pattuglia si è di molto assottigliata».

fabiano fabiani saluta lucia annunziata foto di bacco

 

Come passa le sue giornate?

«Seguendo la Borsa, guardando il tennis di Sinner, leggiucchiando qualche libro e andando con mia moglie ormai a rare presentazioni. Sono ancora un giurato dello Strega».

 

 Come definirebbe la sua vita?

 «Felice, molti successi sul lavoro e una bella famiglia».

 

Perché Fabiano Fabiani?

«Mio padre amava il poeta Aleardo Aleardi e pensò bene di chiamarmi Fabiano».

 

Tra i due Ettore chi è stato più importante?

«Non ci si lega più di tanto ai propri capi. E Bernabei fu un capo. Scola è stato tutt’altro: la giovinezza che si è allungata nella maturità e prolungata nella vecchiaia. Non potrei mai dimenticarlo».

fabiano fabiani e mogliefabiano fabianifabiano fabiani

Ultimi Dagoreport

rafael - palantir

DAGOREPORT - L’ENNESIMA PROVA CHE LA TECNOLOGIA SIA OGGI UN‘ARMA ASSOLUTA SI CHIAMA ‘’RAFAEL ADVANCED DEFENSE’’ - E’ UNA DELLE TRE MAGGIORI AZIENDE ISRAELIANE NEL SETTORE DELLA DIFESA, CHE HA CONTRIBUITO AL SISTEMA DI DIFESA AEREA IRON DOME - GRAZIE AL SUCCESSO DELL’ULTIMA ARMA LASER, IRON BEAM 450, CAPACE DI INTERCETTARE E ABBATTERE DRONI, RAFAEL HA CONQUISTATO I MERCATI DEGLI STATI UNITI, EUROPA, ASIA, MEDIO ORIENTE, AMERICA LATINA E AFRICA - OTTIMI SONO I RAPPORTI CON LA PALANTIR DI PETER THIEL, “ANIMA NERA” DI TRUMP E DELLA TECNO-DESTRA USA, GRAZIE A UN SISTEMA DI INTERCETTAZIONI RAFAEL CHE FA A MENO DI INOCULARE SPYWARE NEL TELEFONINO, SOSTITUENDOLO CON UN LASER - IN CAMBIO DELLA TECNOLOGIA RAFAEL, THIEL AVREBBE PRESO A CUORE IL TRACOLLO ECONOMICO ISRAELIANO, PER GLI ALTISSIMI COSTI DELLA GUERRA A GAZA, RACCOGLIENDO MILIONI DI DOLLARI NEGLI STATI UNITI PER FINANZIARE IL GOVERNO DI NETANYAHU - CHE COMBINA LA RAFAEL NEL PORTO DI RAVENNA - DRONI RAFAEL: COME LA STRAGE DI GAZA DIVENTA UNO SPOT PROMOZIONALE VIDEO

elly schlein giorgia meloni marche matteo ricci acquaroli

DAGOREPORT - SOTTO L’ALA DEL MASOCHISMO-HARD, IL PD DI ELLY AFFRONTA DOMENICA L'ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLE MARCHE - UN VOTO CHE VEDE IL MELONISSIMO FRANCESCO ACQUAROLI CONTRO UN BIG RIFORMISTA DEL PD, MATTEO RICCI, CHE I SONDAGGI DANNO IN SVANTAGGIO DI UNA MANCIATA DI PUNTI - MOLTO DIPENDERÀ DALL’ASTENSIONE, MALATTIA CHE HA CONTAGIATO UNA BELLA MAGGIORANZA DI ELETTORI DI CENTROSINISTRA, CHE NE HANNO PIENE LE SCATOLE DELLE ZUFFE E SCISSIONI E RIVALITÀ DA COMARI DI COLORO CHE DOVREBBERO DAR VITA A UN’ALTERNATIVA SALDA E UNITA ALL’ARMATA BRANCA-MELONI - PERDERE LE MARCHE PER LA DUCETTA SAREBBE UNO SCHIAFFO TALE CHE L'UNICA ''RICOMPENSA" SAREBBE IL CANDIDATO DI FDI ALLA REGIONE VENETO, DOVE LA LISTA DI LUCA ZAIA, CHE ALLE REGIONALI 2020 INCASSÒ IL 42% DEI VOTI, E' DIVENTATA UNA VARIABILE CHE NE' MELONI NE' SALVINI RIESCONO PIÙ A CONTROLLARE...

almasri carlo nordio alfredo mantovano matteo piantedosi

CASO ALMASRI: I MINISTRI NORDIO E PIANTEDOSI HANNO RACCONTATO SOLO MENZOGNE AL PARLAMENTO – NON SERVE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER CAPIRLO, BASTA LEGGERE I LORO INTERVENTI ALLA CAMERA - 5 FEBBRAIO 2025, NORDIO: ‘’IL MANDATO D'ARRESTO DELLA CORTE DELL'AJA NEI CONFRONTI DI ALMASRI ERA NULLO: È ARRIVATO IN LINGUA INGLESE SENZA ESSERE TRADOTTO E CON VARI ALLEGATI IN LINGUA ARABA, CON UNA SERIE DI CRITICITÀ CHE AVREBBERO RESO IMPOSSIBILE L'IMMEDIATA ADESIONE DEL MINISTERO ALLA RICHIESTA ARRIVATA DALLA CORTE D'APPELLO DI ROMA’’ - 7 AGOSTO 2025: IL GOVERNO INGRANA UNA CLAMOROSA MARCIA INDIETRO CHE SMENTISCE NORDIO E PIANTEDOSI, LEGITTIMANDO L'ILLICEITÀ DEI LORO ATTI: '’AGITO A DIFESA DELL'INTERESSE DELLO STATO” - DEL RESTO, SECONDO QUANTO SI LEGGE DALLA RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE DEI GIUDICI, "APPARE VEROSIMILE CHE L'EFFETTIVA E INESPRESSA MOTIVAZIONE DEGLI ATTI E DELLE CONDOTTE TENUTE" DA NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO SIANO LEGATE ALLE "PREOCCUPAZIONI PALESATE" DAL DIRETTORE DELL'AISE CARAVELLI SU "POSSIBILI RITORSIONI PER I CITTADINI E GLI INTERESSI ITALIANI IN LIBIA" - IL VOTO DELLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE DELLA CAMERA È PREVISTO PER IL 30 SETTEMBRE…

charlie kirk melissa hortman

FLASH! - MELONI E SALVINI, CHE OGGI PIANGONO COME PREFICHE PER L’ASSASSINIO DI CHARLIE KIRK, GRIDANDO ALL’’’ODIO E VIOLENZA DELLA SINISTRA’’, DOVE ERANO QUANDO IL 15 GIUGNO SCORSO LA DEPUTATA DEMOCRATICA DEL MINNESOTA, MELISSA HORTMAN, 54 ANNI, È STATA UCCISA INSIEME AL MARITO DA COLPI D’ARMA DA FUOCO, CUI SEGUÌ UNA SECONDA SPARATORIA CHE FERÌ GRAVEMENTE IL SENATORE JOHN HOFMANN E SUA MOGLIE? L’AUTORE DELLE SPARATORIE, VANCE BOELTER, ERA IN POSSESSO DI UNA LISTA DI 70 NOMI, POSSIBILI OBIETTIVI: POLITICI DEMOCRATICI, IMPRENDITORI, MEDICI DI CLINICHE PRO-ABORTO - PERCHÉ MELISSA HORTMAN NON È STATA COMMEMORATA ALLA CAMERA, COME KIRK?

beatrice venezi teatro la fenice venezia alessandro giuli gennaro sangiuliano giorgia meloni nicola colabianchi

DAGOREPORT - VENEZIA IN GONDOLA PER DARE IL BENVENUTO A BEATRICE VENEZI, NOVELLA DIRETTORE MUSICALE DEL TEATRO LA FENICE – LA NOMINA DELLA “BACCHETTA NERA” DI FRATELLI D’ITALIA, FIGLIA DI UN EX DIRIGENTE DI FORZA NUOVA, HA FATTO ESULTARE IL MINISTRO GIULI-VO (ETTECREDO, L’HA DECISA LUI!), PASSANDO PER BRUGNARO E ZAIA, FINO AL SOVRINTENDENTE DELLA FENICE, NICOLA COLABIANCHI, CHE PER PARARSI IL SEDERINO METTE IN MEZZO IL CRITICO MUSICALE DI “REPUBBLICA”, ANGELO FOLETTO – L’ASCESA DELLA BIONDA E FATALE VIOLINISTA È STATA SEMPRE BOMBARDATA DI POLEMICHE, A PARTIRE DAGLI ORCHESTRALI: “LA POLITICA NON C’ENTRA, NON SA PROPRIO DIRIGERE” -  AL CONCERTO DI CAPODANNO DEL 2024 A NIZZA, FU PRESA DI MIRA DA QUATTRO SPETTATORI AL GRIDO: “NON VOGLIAMO I FASCISTI” - QUANDO VIRGINIA RAFFAELE SCODELLÒ SUGLI SCHERMI RAI UNA STREPITOSA IMITAZIONE DELLE PRODEZZE SANREMESI E PUBBLICITARIE DI VENEZI (SPOT “TIRA FUORI IL TUO LATO BIOSCALIN”), L’ALLORA MINISTRO DELLA CULTURA SANGIULIANO PERSE LA TESTA PER LA SUA “CONSIGLIERE PER LA MUSICA”: AVREBBE ADDIRITTURA CHIESTO UN INTERVENTO DEI VERTICI RAI SUL CAPO DELLA STRUTTURA RESPONSABILE DEL PROGRAMMA DELLA RAFFAELE (FATTO CHE SCATENÒ LA “GELOSIA” INSTAGRAMMABILE DI MADAME BOCCIA AL PUNTO CHE “BEA-TROCE” LA QUERELÒ…)