
CHE FINACCIA PER GIULIO CESARE: È FINITO NEL SOTTOSCALA – PIERLUIGI PANZA E IL “GIULIO CESARE IN EGITTO” DI HAENDEL, DIRETTO DA DMITRI TCHERNIAKOV, IN SCENA A SALISBURGO: “SPETTACOLONE SÌ, MA LA DRAMMATURGIA NON È ESPLICITA. NON C’È UN RACCONTO ALTERNATIVO AL LIBRETTO MA NON C’È NEMMENO IL LIBRETTO, OTTIMI CANTANTI-ATTORI SU UNA SCENA LUGUBRE DOVE LE COLONNE DI FERRO ARRUGGINITE STANNO ALL’OPERA LIRICA COME I TUBI INNOCENTI AGLI ALLESTIMENTI D’ARTE CONTEMPORANEA” – IL REGISTA SUL PERCHÉ L’EGITTO SIA AL “PIANO MENO UNO”: “PENSO CHE L’ESTETICA DI UN MODERNO EGITTO SIA QUELLA DA FAST FOOD, UNO SPAZIO DAL DESIGN DISORDINATO…”
GIULIO CESARE ASSERAGLIATO NEL SOTTOSCALA
Pierluigi Panza per https://fattoadarte.corriere.it/
Perché l’Egitto sia il piano meno uno, quello dedicato a magazzino e bidoni della spazzatura, bisogna chiederlo al regista del “Giulio Cesare in Egitto” di Haendel in scena al Festival di Salisburgo Dmitri Tcherniakov.
“Non sino mai stato in Egitto, ma penso che l’estetica di un Egitto moderno sia quella da fast food, uno spazio dal design disordinato” racconta. Talmente disordinato, pieno di materassi e stoviglie che si capisce subito che le autentiche porte di sicurezza non sono quelle sullo sfondo da dove entrano ed escono i protagonisti bensì la musica di Haendel, l’esecuzione del Concert d’Astrée, l’ottima direzione di Emmanuelle Haim, i cantanti ben in nota anche se – tutti stranieri a parte Sesto – scandiscono assai poco anche i recitativi in lingua italiana.
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Controtenori e soprani maschi hanno voci sublimi e grandi attrici sono Olga Kulchynska (Cleopatra) e Lucile Richardot (Cornelia). Quanto ai vestiti sono sempre i soliti cappottoni, canotte e sottovesti che scendono e risalgono: sul costume il teatro di regia tedesco non inventa più niente da decenni.
Come racconta Tcherniakov, qui non ci sono i centurioni del Colosseo o gli egizi con la corona dell’Alto e Basso Egitto perché in scena ci sono personaggi dal diverso animo umano e basta.
Il più caratterizzato è, forse, Tolomeo, una specie di psicopatico dal capello all blonde a onda che sembra a tratti Boris Johnson a tratti Donald Trump. Il cattivo Achilla dagli occhi di ghiaccio (Andreay Zhilikhovsky) è più crudele di lui che, in fondo, è un “solo” un sadico che cambia idea ogni secondo e gode nel veder soffrire Cornelia e l’agitato Sesto, anche troppo saltimbanco per il virtuoso ruolo romano.
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La testa silenziosa di Pompeo fa parlare gli altri. Innanzitutto, Cesare. Ma cosa esattamente ha suscitato l'indignazione di Cesare? L’assassinio politico in sé o il modo brutale in cui è stato compiuto?
Il "selvaggio spettacolo" della testa di Pompeo ha un impatto brutale sulla nostra percezione, creando – per usare il concetto di Judith Butler – una "cornice" dell’opera.
Mentre osserviamo quelle scene stile asserragliati nei sotterranei della acciaieria Azovstal, riflettiamo sulla spaventosa urgenza dell'assassinio politico. Quale vita è degna di lutto? Tcherniakov aggiunge spavento a spavento facendo scattare l’allarme del teatro, botti che fa tremare le sedie… tanto che allo squillare del solito telefonino in sala c’è da chiedersi se sia parte della regia o il solito sventurato.
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Spettacolone sì, ma la drammaturgia non è esplicita. Non c’è un racconto alternativo al libretto ma non c’è nemmeno il libretto, ottimi cantanti-attori su una scena lugubre dove le colonne di ferro Ipe arrugginite stanno all’opera lirica come i tubi innocenti agli allestimenti d’arte contemporanea.
Né i tubi né le travi arrugginite sono innocenti e nemmeno Cleopatra che, prima di amare, seduce con fare da gran maliarda di strada. Cleopatra entra nella competizione maschile per il potere usando il “genere” come arma che le conferisce un vantaggio, altroché, in una lotta senza regole.
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“Non amo il lieto fine” dice Tcherniakov che, però, con ‘ste regie situazioniste deve stare attento che non facciano la fine della sua dimenticabile e dimenticata “Traviata” alla Scala, con Violetta che stira e affetta le zucchine in una casa di campagna.
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tcherniakov
dmitri tcherniakov.