american honey sasha lane

LA CANNES DEI GIUSTI - ''AMERICAN HONEY'', GRANDE REGIA, UNA TRAVOLGENTE PROTAGONISTA ULTRASEXY, TROPPO LUNGO E TROPPI FINALI. MA LO AMERETE SUBITO - ''THE TRANSFIGURATION'' È UNA STORIA DI VAMPIRI TEENAGER MODERNI, CUPA E SENZA SBOCCHI POSSIBILI. RESA UN FILO PIÙ DIVERTENTE DALLA CRITICA DELL'ODIATA SAGA ''TWILIGHT''

 

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Marco Giusti per Dagospia

 

Cannes. Quarta giornata. Ma quanto sono lunghi i film quest’anno? E quanti (troppi) finali hanno? Anche American Honey, corposo road movie sul profondo disastro della classe operaia americana scritto e diretto dall’inglese Andrea Arnold con grande stile di regia e una travolgente interprete ventenne ultrasexy, Sasha Lane, soffre un po’ della grande durata e di una serie di finali possibili uno dietro l’altro.

 

american honey  american honey

Glielo possiamo perdonare, vista la bellezza delle riprese (Robbie Ryan) in territori anche poco esplorati, il Texas rurale, il Kansas, l’Oklahoma, e la ricchezza della colonna sonora, che va da “Dream Baby Dream” di Springsteen all’ “America Honey” del titolo eseguita da Lady Antebellum a decine di pezzi in gran parti ignoti.

 

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E glielo perdoniamo anche perché con questo film Andrea Arnold torna a lavorare sulle ragazze della classe operaia come nei suoi lavori più celebri, Red Road e Fish Tank e affida la sua critica alla società americana solo grazie alle immagini quasi documentaristiche di questi territori dello sprofondo Sud.

 

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Costruito a partire da un reportage del “New York Times” del 2007 scritto da Ian Urbina, che studiava la vendita porta-a-porta di un gruppo di giovani senza un grande futuro davanti che bussano alla porta, spesso, di altri disgraziati, il film mette in scena proprio questo viaggio tutto americano di una texana diciottenne, Star, cioè Sasha Lane, che ancora non sa bene cosa volere dalla vita.

 

Star ha già due figli, nessuna attività lavorativa, la spesa la fa frugando tra gli avanzi del supermercato, nessuna qualifica professionale. Così, quando incontra l’intraprendente Jake, Shia Labeouf, che le propone di andare col suo gruppo di venditori a Kansas City, lascia i figli alla madre e parte in cerca di tutto, denaro, amore, futuro.

 

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Si rende conto da subito che, per vendere un abbonamento a un magazine alla gente del Sud, il furbo Jake si deve inventare delle balle terribili. Si rende anche conto che il boss di questo business, la bonazza coatta Kristal, interpreta da una favolosa Riley Keogh, che si tromba sia Jake che una serie di altri maschi, non è certo un benefattore. Ma Star non ha tante alternative e, inoltre, si innamora da subito di Jake. E Jake non un bravo ragazzo. Ma al di là della storia d’amore, quello che conta è proprio il viaggio dei giovani venditori e gli incontri che hanno sul lavoro con un’America depressa e disperata.

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C’è di tutto, dalla fanatica cattolica all’operaio dei pozzi petroliferi che offre 1000 dollari a Star per un po’ di sesso in macchina. Ma soprattutto Star si renderà conto che sta chiedendo i soldi a famiglie che stanno più o meno inguaiate come la sua e che fra i venditori e i compratori spesso non c’è tutta questa differenza di classe sociale. Costruito con grande intensità emotiva, il film affida alla giovane e mai vista Sasha Lane l’opportunità di un ruolo strepitoso dove deve soprattutto essere il più naturale possibile, ma è bravo anche Shia Labeouf come bel tomo su cui fare poco o nullo affidamento.

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Sulla lunghezza del film, è ovvio che Andrea Arnold non se la sentisse di sacrificare più di tanto dei suoi 56 giorni di riprese, e non se la sentisse neanche di abbandonare al loro destino i personaggi che ha costruito con tutta questa cura. Un film che non vi sarà difficile amare da subito.

 

Non male, a Un Certain Regard, l’opera prima americana, The Transfiguration, scritta e diretta da Michael O’Shea.

 

E’ una storia di vampiri teenager moderni, che si rifà esplicitamente a modelli come il capolavoro Martin di George Romero o Lasciami entrare di Tomas Alfredson. In quel di Queens, nel Bronx, un ragazzino triste e nero di nome Milo, l’ottimo Eric Cuffin, pensa di essere un vampiro e morde al collo la gente uccidendola. Ha perso entrambi i genitori, la mamma si è uccisa, e vive col fratello maggiore completamente rintronato sul divano dopo la guerra in Iran.

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Milo non si crede solo un vampiro, ma è uno storico dell’argomento e possiede un’intera raccolta di vecchi vhs sui vampiri, tra i quali brillano quelli di Nosferatu, Dracula Untold, ecc. Giorno per giorno Milo raccoglie la violenza gratuita di una gang del quartiere e soffre in silenzio per la scomparsa della madre. In questo contesto incontra una ragazza bianca non meno depressa di lui, Chloe Levine, che vive al nono piano del suo palazzo con un padre che la riempie di botte.

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Ovvio che le due solitudini si incontrino, ovvio che Milo si innamori perdutamente di lei, anche se non riesce a esternare questo sentimento e ovvio che con un vampiro di mezzo non sarà un rapporto facile. Piuttosto solido nell’impostazione di regia, forse anche troppo “compitino”, The Transiguration, esattamente come l’attività vampiresca di Milo, sembra un saggio sul cinema dei vampiri e un continuo omaggio a maestri come Romero, Alfredson, Bigelow.

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La continua discussione fra i due ragazzi sul cinema di vampiri realistico, da preferire ai fantasy popolari come l’odiata saga di Twilight, rende un filo più divertente un’opera di fatto cupa e senza sbocchi possibili. Ma ben costruita e diretta.

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