L’INCOMPRENSIBILE MONDO DEGLI SMASHING PUMPKINS CONQUISTA ROMA CON DUE CONCERTI IN UNO

Andrea Andrei per Dagospia
(Foto da "Onstageweb.com")

Valli a capire, gli Smashing Pumpkins. Quello di Billy Corgan è il gruppo rock più ambiguo e indecifrabile dell'universo mondo. Va bene che se appare così è pure perché con questa caratteristica ci ha giocato e ci gioca parecchio.

Ma quello che è successo ieri sul palco dell'Ippodromo delle Capannelle di Roma, nell'ambito della rassegna "Rock in Roma", è la conferma, l'ennesima, che loro sono proprio così. Doppi. Yin e Yang. Bene e male. Le melodie dolci, struggenti e romanticissime di "Mellon Collie and the Infinite Sadness" e le rabbiose e diaboliche distorsioni di "Tarantula". Il tutto compreso nel prezzo di un solo biglietto, che in questo caso, nello specifico, era di circa 40 euro.

Una bella cifra, ma insomma, per andare a sentire una band come quella di Billy Corgan, che ha avuto una storia travagliata (è rimasto solo lui della formazione originale) ma che comunque è una delle poche ancora in grado di trasmettere le atmosfere della Seattle degli anni '90, si possono spendere volentieri.

O almeno è quello che si poteva pensare prima dell'inizio del primo concerto. No, non quello dei Beware of Darkness né tantomeno quello di Mark Lanegan, quel signore tenebroso che nonostante la sua straordinaria carriera e le sue immense qualità accetta ancora di fare da gruppo spalla ai suoi colleghi. I concerti degli Smashing Pumpkins sono stati due.

Il primo è iniziato con "Quasar" e "Panopticon", due pezzi tratti dall'ultimo album "Oceania", in cui peraltro figura una canzone splendida che si chiama "The celestials" e che però Billy Corgan, un po' angelo e un po' demone com'è, ieri sera ha preferito non suonare.

Arrivati alla terza canzone, la potente "Starz", sembra quasi che il concerto debba ancora iniziare. La scenografia ridotta all'osso, nessuna interazione col pubblico, nemmeno un banale "ciao Roma" per sbaglio. A dirla tutta Starz è più bella sul cd che dal vivo. Il pensiero dei 40 euro andati in fumo comincia a farsi strada. Guardando le scalette dei concerti passati, ci si rende conto che si assomigliano un po' tutte, e che gli Smashing Pumpkins stanno rispettando pedissequamente l'ordine prestabilito. Il problema è che quelle scalette durano solo 16 canzoni. Facendo un rapido calcolo, di questo passo entro un'ora tutti a casa.

"Rocket" prova a dare una spinta, ma per scuotere questa esibizione non basta. Poi è il turno della cover di "Space Oddity", un omaggio assai gradevole a David Bowie che però non fa che confermare i sospetti sulla scaletta preimpostata.

Per i nostalgici, arriva finalmente la triade della consolazione, il minimo sindacale di emozioni: "X.Y.U", con un Billy Corgan che dimostra di avere ancora la forza di devastarsi le corde vocali, seguita dalle commoventi "Disarm" e "Tonight, Tonight". I brividi non durano molto, perché si torna subito al presente, con "Pimwheels".

Ed è qui che succede l'inspiegabile. Gli Smashing Pumpkins hanno suonato dieci canzoni senza nemmeno salutare il pubblico, eppure ora accade qualcosa che è rarissimo vedere a un concerto rock. La successione preimpostata di brani (eseguiti sempre più velocemente) si interrompe. La musica si ferma. Billy Corgan si mette a chiacchierare con il pubblico. Letteralmente. Scherza, ride, improvvisa gag con gli altri membri della band, prende in giro l'esagerata gestualità degli italiani e un po' di cliché, fra cui le belle donne, le belle macchine e i centurioni romani di fronte al Colosseo.

L'angelo-demone si è svegliato. Parla e interagisce per diversi minuti nel silenzio assoluto, e la gente si diverte sul serio. Il secondo concerto può iniziare.

Si apre con "Oceania", che dà nome all'album, ma quello che succede subito dopo è qualcosa di ben più della riproposizione di un "best of". Sulle note della splendida "Thirty-Three", eseguita alla perfezione, i brividi si sprecano, ma a ricacciare le lacrime che erano lì lì per uscire ci pensa subito una micidiale "Ava Adore". Chi è seduto sulle gradinate scatta in piedi, si passa da un'atmosfera assorta all'energia purissima, ancora una volta dal romanticismo al diabolico nel giro di pochissimi secondi. E il risultato è eccezionale.

Perché non c'è nemmeno tempo di tirare il fiato che è già partita "Bullet with butterfly wings", e quella platea ammutolita, timida e mezza addormentata che prima ascoltava il concerto al massimo battendo i piedi a ritmo, diventa un'indistinta massa pogante, nelle prime file come nelle retrovie, si alza una nuvola di polvere che sfuma i colori e per qualche minuto pare veramente di essere nella migliore Seattle, quella degli anni '90, dove alcuni che vengono sollevati di peso navigano in un mare di mani alzate per poi riaffondare e scomparire in una selva di teste.

Molti pensano che ci si stia preparando al finale. Niente di più sbagliato, perché è solo l'inizio. Si susseguono "One diamond, one heart", "Pale horse", "Today" (dove Corgan lascia cantare il pubblico in visibilio), una violentissima "Zero" che scatena anche quei pochi che non avevano ancora ceduto al pogo, "Stand inside your love", "United States". Finalmente gli Smashing lasciano il palco.

Chi prima sentiva un po' freschetto per il venticello serale romano adesso è bagnato di sudore con un sorriso stampato in volto. Di solito chiudono con questa, sarà finita qui. Ma le possibilità di prevedere gli Smashing Pumpkins sono più o meno simili a quelle di beccare un terno secco sulla ruota di Venezia, e chi non l'aveva capito, qui l'ha capito per forza.

Billy e gli altri rientrano e si scatenano: "I am one", "Siva", "Rhinoceros". Escono. Rientrano. Suonano una cover di "Immigrant Song", ultima follia di uno show di folli. Con "Cherub rock" è il delirio finale.

Il bilancio del concerto, anche questo, riesce difficile, fra la prima parte tanto sottotono e la seconda tanto esplosiva. Ma è più che mai chiaro che proprio questa è la forza degli Smashing Pumpkins. Perché alla fine, fra le sensazioni contrastanti, quella che emerge è un piacere unico. Con loro si ride e si soffre, ci si rilassa e ci si incazza. Forse è solo che certe volte non c'è niente da capire. Basta vivere.

 

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